Schroeter, Werner
Regista e sceneggiatore cinematografico tedesco, nato il 7 aprile 1945 a Georgenthal, in Turingia. Autore tra i più originali della nuova scena tedesca degli anni Sessanta, ha perseguito con preziosità figurativa e furore sperimentale le ossessioni e le visioni sul gioco dei sentimenti, sui deliri amorosi, sui tormenti erotici ma anche sulle condizioni morali della diversità sociale e sessuale. L'amore, il dolore, la morte, il melodramma, la messa in scena del proprio corpo d'artista occupano lo spazio della rappresentazione, mentre ogni film è vissuto come un'esperienza totale, intellettuale e fisica. Ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino per Palermo oder Wolfsburg (1980; Palermo o Wolfsburg) e ha ottenuto premi e riconoscimenti in diversi festival internazionali.
Dopo aver studiato psicologia all'università di Mannheim e cinema alla Hochschule für Fernsehen und Film di Monaco, si occupò di giornalismo e cominciò a interessarsi al teatro e all'opera; quest'ultima avrebbe costituito l'elemento ricorrente in tutta la sua carriera artistica, dalla maggior parte dei primi cortometraggi, alcuni dei quali dedicati a Maria Callas, al lungometraggio Deux (2002). Sceneggiatore, montatore, produttore, attore, esordì nel cinema tra il 1967 e il 1968, anni in cui realizzò diciotto lavori in 8 mm e quattro in 16 mm, nel segno, oltreché dell'opera lirica anche dell'avanguardia, con particolare riferimento a quella americana e alla visionarietà mitologica di un cineasta come Gregory J. Markopoulos (v. New American Cinema). In questo ambito di riferimento si inscrivono le opere più note del periodo, Argila (1969), film su situazioni d'amore e di gelosia, proiettato su due schermi non in sincrono, e Neurasia (1969), sul rapporto tra immagini mute e uso della musica. In entrambe è presente Magdalena Montezuma, icona del cinema di S. per lungo tempo (interprete successivamente anche di Salome, 1971, in cui l'estetismo di O. Wilde e gli arabeschi musicali di R. Strauss si concentrano in una messinscena ipnotica ed estenuata, e di Les flocons d'or, noto anche come Goldflocken, 1976, sorta di favola musicale intrisa di funebre decadentismo). Alla fine del 1967 S. incontrò al Festival di Knokke-le-Zoute in Belgio Rosa von Praunheim, esponente dell'Underground tedesco più radicale; insieme diressero Grotesk-burlesk-pittoresk (1968). La poetica del cineasta tedesco confluì quindi nel suo primo lungometraggio, Eika Katappa (1969) girato in Italia e composto di nove parti che ruotano su una relazione erotica. In seguito S. diresse Der Tod der Maria Malibran (1972), ritratto in forma simbolica e allucinata della famosa cantante dell'Ottocento. In Italia girò alcuni dei suoi lungometraggi più significativi, in cui il discorso politico si intreccia con il melodramma straniante: Neapolitanische Geschwister, noto anche come Nel Regno di Napoli (1978) ripercorre trent'anni di storia seguendo le vicende di due famiglie proletarie napoletane, contaminando il didascalismo brechtiano con accenti espressionisti; Palermo oder Wolfsburg descrive invece una storia di immigrazione dalla Sicilia alla Germania. La visionarietà che caratterizza la filmografia di S. trovò sviluppo anche in opere come Tag der Idioten (1981), dolente e febbrile ritratto di donna alienata pervaso da follia e delirio che sfociano in un suicidio; Der Rosenkönig (1986), viaggio nel desiderio e nella relazione fra due uomini il cui leitmotiv è la venerazione per la rosa, simbolo d'amore e di morte; Malina (1991), dal romanzo di I. Bachman, con un'intensa Isabelle Huppert calata nelle ossessioni nevrotiche della scrittrice; Poussières d'amour (1996), omaggio alla lirica e ad alcune sue cantanti, con brani documentaristici mescolati a improvvise fantasie e visioni; Deux, tragedia familiare nella quale l'opera e la passione d'amore riuniscono i destini di una madre e delle due figlie gemelle. Tra i numerosi documentari realizzati da S., sono da ricordare in particolare Die Generalprobe, noto anche con il titolo La répétition générale (1980), sul teatro e la danza, con Pina Bausch e Kazuo Ono, e Die Königin ‒ Marianne Hoppe (2000), dedicato alla figura della grande attrice tedesca.
Il Nuovo cinema tedesco negli anni Sessanta, a cura di G. Spagnoletti, Milano 1985, pp. 55-64, 178-81, e passim.