MOCCHI, Walter
– Nacque a Torino il 27 sett. 1871 da Luigi Ferdinando e da Laura Lazzaro. Conseguì il grado di tenente di artiglieria presso la scuola militare della sua città ma, insofferente della disciplina militare, nel 1892 abbandonò l’esercito e si trasferì a Napoli, dove si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza.
A Napoli iniziò a far politica attiva, inserendosi nel vivace e confuso ambiente formato da socialisti, anarchici e repubblicani, dove si andavano dibattendo tematiche teoriche e di pratica organizzazione della Sinistra più avanzata. Di fatto la Federazione socialista napoletana, costituita nel 1893, cui il M. si aggregò, non fu particolarmente attiva negli anni del governo Crispi. Nel 1897, comunque, il M. partecipò alla spedizione militare organizzata dall’anarchico A. Cipriani per portare aiuto ai Greci nella guerra scoppiata dopo l’insurrezione di Candia contro la dominazione turca.
Autonomo rispetto alla formazione di Ricciotti Garibaldi, il corpo volontari di Cipriani – in cui militavano, tra gli altri, Arturo Labriola e C. Lazzari – operò con azioni di guerriglia alle spalle dell’esercito turco in Macedonia e partecipò alla sfortunata battaglia di Domokòs (27 maggio 1897).
Rientrato in patria, il M., che aveva cominciato a collaborare con vari giornali, fra cui l’Avanti!, fu tra i protagonisti delle sollevazioni popolari che caratterizzarono il 1898 a Napoli.
Come esponente della locale federazione socialista, in fase di riorganizzazione, e di una Camera del lavoro che era stata appena rifondata, il M., il 4 marzo 1898, tenne una conferenza che fu l’unica manifestazione del partito in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario dello Statuto. Dopo i moti del 30 aprile, la proclamazione dello stato d’assedio da parte del prefetto G. Cavasola e l’intervento dell’esercito in città, proprio a casa del M., l’8 maggio, si tenne la riunione in cui fu deciso che il giorno seguente Labriola pronunciasse all’Università partenopea un discorso di commemorazione per la morte di M. Musso – ucciso il 5 maggio a Pavia –, discorso che fu l’elemento scatenante di nuovi e più violenti scontri.
Arrestato, dopo un mese trascorso in carcere il M. fu condannato al domicilio coatto nelle isole, prima a Capri quindi a Procida. Liberato il 2 agosto, il 1° settembre sposò a Perugia Emma Carelli, giovane e brillante soprano napoletano a inizio di carriera, che si trovava in tournée in quella città. L’anno seguente il M. si trasferì a Milano, dando inizio alla fase più intensa del suo impegno politico. In base alla riflessione critica sugli eventi del 1898 in Italia e in particolare a Napoli – oggetto del suo volume I moti italiani del 1898. Lo stato d’assedio a Napoli e le sue conseguenze (Napoli 1901) – e, nel prosieguo della sua attività giornalistica, sull’Avanti! e su altri periodici, il M. elaborò alcune conclusioni che avrebbero avuto un ruolo nella gestazione del sindacalismo rivoluzionario e che, successivamente, transitarono almeno in parte nella definizione della linea politica rivoluzionaria del Partito socialista italiano (PSI).
Per il M. il partito, e più in generale le Sinistre, non avevano saputo né prevedere né gestire a loro vantaggio i moti verificatisi in varie regioni italiane nel 1898 – che pure erano stati qualcosa di più di una spontanea insorgenza popolare – e di conseguenza da tali eventi era derivata solo la riappacificazione fra la borghesia crispina e quella anticrispina, che aveva prodotto, nello specifico, il ministero Pelloux, strettamente legato alla monarchia, estensore di provvedimenti liberticidi e contrario a prendere in qualsivoglia considerazione le istanze della classe operaia. Ne derivava, per il PSI, la necessità di un totale distacco dall’attività dei governi borghesi attraverso il rifiuto di ogni gradualismo riformista e di ogni possibile accordo, anche tattico; e, nel contempo, un accentuato antistatalismo che imponeva di considerare impossibile la convivenza con l’istituto monarchico, sostenendo l’avvento della Repubblica. Contestualmente, impegno precipuo del partito avrebbe dovuto essere quello di favorire la maturazione di strutture organizzative politiche funzionali agli interessi delle classi lavoratrici, con particolare riguardo e attenzione alle Camere del lavoro; le classi lavoratrici, inoltre, avrebbero dovuto considerare possibile, e in particolari circostanze auspicabile e necessario, l’uso della violenza.
Nella concreta gestione del momento politico, però, l’avvento, nel febbraio 1901, del ministero Zanardelli-Giolitti, di tendenze progressiste, portò piuttosto al rafforzamento della corrente riformista del PSI, che faceva capo a F. Turati, anche se il M. mantenne, con altri compagni, le sue posizioni rivoluzionarie. Per evitare che lo scontro diretto con i riformisti, verificatosi nel luglio 1901 con la temporanea uscita dal partito di Turati, C. Treves e Anna Kuliscioff (Anna Rosenstein), si concretasse in una vera e propria scissione, fu deciso, fra l’altro, di mettere il M. e C. Lazzari alla direzione di Azione socialista, foglio della federazione milanese, con il compito di individuare una linea di compromesso fra le due correnti. Sul finire del 1902, però, quando Labriola si trasferì a Milano fondandovi (25 dic. 1902) un nuovo giornale, Avanguardia socialista, espressione della corrente rivoluzionaria, il M. non tardò ad affiancare il suo vecchio compagno assumendo la condirezione. Attraverso la diffusione del nuovo foglio – cui collaborò dalla Svizzera e quindi a Milano anche B. Mussolini – e una capillare opera di proselitismo fra i quadri operai, nel 1903 la corrente rivoluzionaria riuscì a conquistare la federazione milanese e, nel 1904, la locale Camera del lavoro.
In questa fase il M. si dedicò in particolare al coordinamento dell’attività sindacale con quella del partito, attraverso la costituzione di un Comitato di azione economica; contemporaneamente, sulla stampa e con l’azione politica, faceva pressione su deputati e consiglieri comunali socialisti, richiamandoli a una linea di più esplicita e convinta intransigenza rivoluzionaria.
Al congresso regionale lombardo del PSI (Brescia, 14-15 febbr. 1904), che confermò la prevalenza dei rivoluzionari, il M. presentò un ordine del giorno, poi approvato, in cui molti punti nodali della speculazione teorica elaborata a partire dai moti del 1898 divenivano programma politico. Infine, per concretare i successi fin lì ottenuti, al congresso nazionale di Bologna (8-11 aprile) il M. e Labriola, forti dell’appoggio delle sezioni meridionali, attraverso il compromesso e l’alleanza con la corrente «intermedia» di E. Ferri, crearono una nuova maggioranza che ottenne il controllo del PSI.
Dopo questa vittoria, Avanguardia socialista, con una serie di articoli dei due direttori, si consacrò soprattutto alla definizione teorica e pratica dello sciopero generale, considerato strumento fondamentale e necessario alla lotta politica dei lavoratori.
Proclamato dalla Camera del lavoro di Milano il 15 sett. 1904, dopo gli eccidi proletari di Buggerru e di Castelluzzo, lo sciopero, rivelatosi sostanzialmente un fallimento, fu seguito dal M. attraverso una serie di rendiconti e commenti pubblicati nei tre numeri di Sciopero generale. Bollettino della Camera del lavoro di Milano, di cui egli fu direttore.
Presentatosi candidato alle elezioni politiche del 1905 nel collegio di Corteolona, dove non riuscì eletto, il M., a partire dal 1906, si allontanò di fatto dalla politica attiva.
A questa decisione contribuirono vari fattori, tra cui probabilmente quello risolutivo rimane legato alla personalità e al carattere del M., ritratto da chi lo conobbe (cfr. Carelli, 1963) come coraggioso, intuitivo, ma carente di metodo e di misura; superattivo – una vera e propria fucina di progetti e di idee –, capace di sperperare e ricostruire più volte la sua fortuna; dotato di molteplici interessi, cui probabilmente, una volta tramontata la prospettiva di una rapida carriera politica, il mestiere di giornalista e attivista politico andava stretto. Comunque lo specifico episodio che determinò la rinuncia alla politica risulta legato alla carriera della moglie. Emma Carelli si era rivelata artista di valore, assai apprezzata per la voce e il temperamento sia dal pubblico sia dalla critica, specialmente dopo il debutto, nel maggio 1899, al teatro Costanzi di Roma, come Iris nell’omonima opera di P. Mascagni, con un’interpretazione del ruolo che divenne una pietra di paragone. Tuttavia, la collocazione politica e l’attivismo del marito in quel campo le avevano chiuso molte porte, tanto che aveva finito per lavorare spesso all’estero. In particolare la Carelli reagì malissimo (si parlò di un tentativo di suicidio) all’intenzione espressa, nel settembre 1904, dal direttore del Lirico di Milano, poi rientrata, di protestarla alla vigilia del suo debutto come protagonista in Siberia di U. Giordano, adducendo motivi che si legavano alla partecipazione del M. allo sciopero generale; l’episodio ebbe strascichi sgradevoli anche per il M., con polemiche sulla stampa e un duello.
Allontanandosi dalla politica, il M., che attraverso la moglie era già ben conosciuto nell’ambiente dello spettacolo lirico, decise di impegnarsi in campo sul piano professionale.
Iniziò come impresario e agente della compagnia di canto della Carelli, organizzando, nel maggio 1906, una serie di rappresentazioni al teatro Verdi di Firenze; questo primo tentativo non ebbe un buon riscontro economico, che fu però raggiunto in ottobre, quando la compagnia si spostò al Lirico di Milano, soprattutto per la fortunata concomitanza con l’Esposizione che si teneva in quella città per l’inaugurazione del traforo del Gottardo. Ma fu tra il 1907 e il 1908 che il M. entrò a pieno titolo nel grande impresariato, riuscendo a concretare un suo progetto che, basandosi sul consolidato successo della lirica in area ibero-americana e su già collaudati rapporti commerciali, prevedeva in buona sostanza di sfruttare, in forma organizzata e sistematica, l’inversione di stagione esistente fra Europa e Sud America.
Le compagnie europee, al termine della stagione invernale, avrebbero potuto spostarsi nei teatri d’opera attivi nelle maggiori città sudamericane utilizzando così a ciclo completo i propri allestimenti e garantendo un impegno continuativo e sicuro a orchestre, cantanti e ballerini. In linea con i cambiamenti che si andavano concretando, con il nuovo secolo, nella gestione teatrale – e che vedevano sostituirsi gradualmente alla tradizionale figura dell’impresario privato i consigli di amministrazione di apposite società che coordinavano le risorse economiche impegnate nel campo –, il M. riuscì a trovare, in Sudamerica, un gruppo di finanziatori tra cui preminente fu la figura di Ch. Séguin, impresario e organizzatore attivo principalmente al Coliseo e al Colón di Buenos Aires.
Nel 1907 il M. mise in piedi a Buenos Aires la Società teatrale italo-argentina (STIA), che progressivamente inserì nell’ambito della propria attività i maggiori teatri d’opera sudamericani (tra gli altri, Rio de Janeiro, San Paolo del Brasile, Montevideo, Santiago del Cile, Rosario) e che nel corso dell’aprile 1908, muovendosi fra Roma e Milano, giunse alla costituzione di una corrispettiva italiana, la Società teatrale internazionale e nazionale (STIN), nel cui consiglio di amministrazione riuscì a portare il gotha dell’impresariato italiano (tra gli altri il presidente dell’Accademia di S. Cecilia, E. San Martino di Valperga, presidente anche della STIN, e G. Visconti di Modrone, che curava la gestione della Scala). Nell’agosto dello stesso anno la STIN acquistò il Costanzi di Roma, messo in vendita dagli eredi del costruttore e fondatore Domenico, intendendo utilizzarlo come base operativa e fulcro dell’attività gestionale dei due gruppi; il M. fu nominato agente generale della STIN e, in quanto tale, aggregato alla giunta esecutiva espressa dal consiglio di amministrazione. Tra il 1908 e il 1912, mentre i più importanti teatri italiani entravano anch’essi, a diverso titolo, nella combinazione (tra gli altri, il Massimo di Palermo, il S. Carlo di Napoli e il Petruzzelli di Bari), successivi aggiustamenti dell’assetto aziendale – che miravano principalmente a mantenere sotto lo stretto controllo dei finanziatori sudamericani, detentori della maggioranza azionaria della società italiana, la gestione economica e artistica – stabilirono che la STIA e la STIN dovessero avere in comune un’agenzia teatrale, di cui il M. era agente generale, che aveva l’effettivo potere decisionale e prendeva una percentuale su tutti i contratti stipulati.
Mentre il M. si trovava coinvolto principalmente nelle attività della Società sudamericana allestendo le più importanti tournée, il compito più impegnativo in Italia, e cioè la gestione diretta del Costanzi, dopo alcuni tentativi, variamente fortunati anche se prestigiosi (direzione artistica di P. Mascagni nel 1909-10 seguita da quella di A. Toscanini e L. Mancinelli, in occasione dell’Esposizione musicale realizzata per il Cinquantenario del Regno d’Italia nel 1911) fu infine confidata, nel 1912, a una società autonoma, la Teatral (trasformata nel 1913 in società in accomandita Impresa del teatro Costanzi) diretta dalla Carelli, che nello stesso anno, dopo un trionfale successo nella Elettra di R. Strauss, aveva abbandonato il palcoscenico.
La gestione Mocchi-Carelli del Costanzi, destinata a durare fino al 1926, si distinse, come del resto quella dell’Agenzia teatrale, per caratteristiche organizzative e strutturali decisamente funzionali e moderne: all’interno di un programma nutrito che prevedeva numerose rappresentazioni (mediamente al Costanzi, che godeva anche di un sostanzioso finanziamento da parte del Comune, 12 opere a stagione e circa 100 rappresentazioni), si alternavano opere del grande repertorio e novità, che vedevano impegnati compositori prestigiosi così come debutti di giovani autori; ugualmente i divi della direzione d’orchestra, della lirica e della danza lasciavano il posto a interpreti ancora poco conosciuti; i teatri chiudevano pochissimo perché, quando le compagnie principali partivano per le tournée Oltreoceano, iniziavano in Italia le stagioni di operetta.
Punto debole di tutta la combinazione si rivelò, alla lunga, il rapporto troppo esclusivo con i finanziatori sudamericani: ogni volta che quell’area geografica (in particolare Argentina e Brasile, le nazioni trainanti) passava una fase di crisi economica (come nel 1913 o nel primo dopoguerra) entravano automaticamente in crisi anche i finanziatori del M. e quindi le società a essi legate. Una svolta definitiva in questo andamento altalenante si ebbe, comunque, dopo l’avvento del fascismo, quando il Governatorato di Roma mostrò la decisa intenzione di dotare la capitale di un grande teatro d’opera nazionale. Nonostante la dedizione e l’abilità dimostrate dalla Carelli (ci rimise anche soldi suoi), il Costanzi era comunque pesantemente indebitato con alcune banche, per cui il governatorato si limitò a rilevare tali debiti e a comprare dai soci sudamericani in crisi le azioni dell'impresa di gestione, ottenendo infine la piena proprietà (giugno 1926). La Carelli non vide rinnovato il suo incarico e il M., il 28 settembre, si dimise dalla STIN.
Il M. continuò a lavorare nel mondo dello spettacolo (nel 1932 fu nominato consigliere delegato della Artisti lirici associati [ALA]), sia pure in forma ridotta e sporadica, impegnando capitali anche nella nuova industria cinematografica italiana, ma sua residenza principale divenne l’Argentina, dove aveva importanti proprietà terriere. La Carelli morì nel 1928 e il M. si risposò due volte, sempre con giovani cantanti (il 13 genn. 1930 con Sayao de Olivara Balduina a Roma). Contestualmente, sia pure in posizione defilata, riprese a interessarsi di politica.
Divenuto agente e impresario, il M. inizialmente mantenne buoni rapporti con il PSI, anche finanziando il partito; in seguito, come altri esponenti del sindacalismo rivoluzionario, mostrò simpatia per il fascismo. Una volta rallentata l’attività teatrale, nel 1936 collaborò con qualche articolo alla rivista La Verità, fondata in quell’anno e diretta da N. Bombacci, un ex «compagno» che aveva seguito una deriva politica in parte simile a quella del M. e mirava a qualificarsi in quegli anni come esponente di un fascismo «rivoluzionario» e «sociale», teso ad accreditare l’immagine dell’Italia fascista come di un paese proletario, in lotta con l’imperialismo capitalista. Tale indirizzo riprese quota dopo la creazione della Repubblica sociale italiana (RSI) e il M. sembra aver avuto un certo ruolo nella definizione del concetto di «socializzazione» teorizzato in quell’ambito e in quei momenti.
Nel dopoguerra riprese ancora una volta la sua attività di fazendero fra l’Argentina e il Brasile e, in parte, anche quella di impresario per favorire la carriera dell’ultima giovane moglie, sposata nel 1950.
Il M. morì a Rio de Janeiro nel luglio del 1955.
Fonti e Bibl.: A. Carelli, Trenta anni di vita lirica. Dal Costanzi ai teatri sudamericani con Emma Carelli, Roma 1931, passim; Id., Emma Carelli, Roma 1932, passim; Il PSI nei suoi congressi, a cura di F. Pedone, II, 1902- 1917, Milano 1961, ad ind.; A. Carelli, Emma Carelli impresario del Costanzi, Roma 1963 (estr. da Palatino, VI [1962], nn. 9-12), passim; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965, ad ind.; G. Volpe, Il movimento socialista a Napoli e i moti del 1898, in Clio, II (1966), pp. 413-455; V. Frajese, Dal Costanzi all’Opera, I, Roma 1977, pp. 161 s., 247-260; II, passim; A. Alosco, Radicali, repubblicani e socialisti a Napoli e nel Mezzogiorno tra Ottocento e Novecento (1890-1902), Manduria-Bari-Roma 1996, ad ind.; W. Gianinazzi, Intellettuali in bilico, Milano 1996, ad ind.; Enciclopedia dello spettacolo, VI, s.v.; Dizionario del movimento operaio, III, sub voce.