PATER, Walter Horatio
Letterato, nato a Shadwell (Londra) il 4 agosto 1839, morto a Oxford il 30 luglio 1894. La famiglia paterna, d'origine olandese (a un suo ramo apparterrebbe il pittore J.-B. Pater: v. sopra), si era trapiantata in Inghilterra sotto Guglielmo d' Orange, e aveva vissuto in modo assai appartato a Olney, nel Buckinghamshire, seguendo il curioso costume di educare i figli maschi nella religione cattolica romana, e le femmine nell'anglicana. Il padre di P., un medico nato a New York, dove era emigrato suo padre, fu il primo a interrompere quel costume. Walter dimostrò nella fanciullezza spiccata tendenza alla vita ecclesiastica; tuttavia, dopo i primi anni passati a Enfield, dove si era stabilita la famiglia, studiò alla King's School di Canterbury, quindi, nel 1858, entrò al Queen's College di Oxford, ove nel 1862 si laureò in studî classici. Si dedicò poi all'insegnamento privato. La lettura dei Modern Painters di J. Ruskin ebbe notevole influsso sulla sua formazione; ma il P. cominciò a scrivere solo tardi. Una prima composizione, di carattere filosofico, fu il suo contributo alla società di giovani ingegni oxoniensi denominata "Old Mortality" (1858-1865), ove il P. incontrò lo Swinburne. Di costui, specialmente le Notes on Designs of the Old Masters in Florence, apparse nella Fortnightly Review del luglio 1868, dovevano esercitare profondo influsso sulla formazione estetica del P. Nel 1864 il P. fu eletto fellow di Brasenose College, e fu nelle sue stanze, in questo collegio di Oxford, che venne formandosi intorno a lui, negli anni seguenti, una eletta cerchia di giovani e ardenti discepoli. Nel 1866 fu in Italia (Ravenna, Pisa, Firenze), e il contatto con le vive opere del Rinascimento italiano finì di plasmare la sua concezione della vita e di dare alla sua religiosità quel caratteristico indirizzo che fu l'apostolato estetico.
Nel 1866 apparve nella Westminster Review il suo primo saggio, un frammento su Coleridge; nella stessa rivista (gennaio 1867) apparve il saggio su Winckelmann, che il P. imparò ad ammirare attraverso la lettura di Goethe e della vita del Winckelmann scritta da Otto Jahn. Nel 1868 pubblicò sulla Fortnightly Review un saggio sulla Aesthetic Poetry, ove analizzava l'opera giovanile di William Morris; seguirono poi i famosi saggi: Notes on Leonardo da Vinci (novembre 1869), un frammento su Sandro Botticelli (agosto 1870), un saggio su Pico della Mirandola (ottobre 1870), un altro su Michelangelo (novembre 1871), saggi e studî che vennero poi raccolti insieme con altri nel volume Studies in the Hystory of the Renaissance (1873), che rese il P. famoso. La seconda opera capitale del P., Marius the Epicurean, apparve solo una diecina d'anni dopo, nel febbraio del 1882.
Nel frattempo, la vita esterna del P. sembra seguire un ritmo uniforme e monotono, spesa nell'insegnamento privato a Oxford, durante la sessione accademica, e in viaggi con le sorelle durante le vacanze: fu così a parecchie riprese nella Francia settentrionale, che egli adorava, e nell'inverno del 1882 a Roma. Tuttavia la sua amicizia col pittore Simeon Solomon (che nel 1872 dipinse un ritratto del P.), tragica figura di artista finito nel vizio, nel disonore e nella miseria dopo brillanti inizî (il Solomon fu molto legato anche allo Swinburne), certe indiscrezioni di Oscar Wilde, confermate da una tradizione orale di Oxford, farebbero propendere a vedere nel P. un temperamento speciale, la cui chiave ci è del resto fornita ancor meglio dalla sua opera. In Marius il P. illustrava il suo ideale di vita: un epicureismo intento non a esperienze comode e godimenti di facile accesso, ma alle emozioni profonde e nobili di una vita che doveva mirare a essere essa stessa un capolavoro non meno perfetto di un'opera d'arte.
Marius attraverso lo stoicismo giunge assai vicino al cristianesimo; ma non furono le pagine che descrivevano l'evoluzione verso il cristianesimo quelle che impressionarono i contemporanei, bensì le pagine che esaltavano il culto della bellezza, e insegnavano all'anima a "ardere d'una intensa fiamma gemmea" (burn with a hard, gem-like flame). Dopo questo romanzo filosofico, il P. scrisse dei saggi che stanno tra la critica e il romanzo: gli Imaginary Portraits (1887); A Prince of Court Painters, squisito profilo del Watteau; Denys l'Auxerrois, immaginosa visione dello spirito del Rinascimento; Sebastian van Storck; Duke Carl of Rosenmold. Nel 1889 raccolse saggi critici sotto il titolo di Appreciations; nel 1893 pubblicò le sue conferenze su Plato and Platonism; nel 1894 la notevole fantasia autobiografica The Child in the House, scritta nel 1878. Greek Studies (1895), e il romanzo Gaston de Latour (1896) apparvero postumi: quest'ultimo romanzo, non finito, ha per sfondo la Francia di Carlo IX, contiene un ritratto di Montaigne, e introduce come personaggi Ronsard e Giordano Bruno.
Il P. ha rispecchiato la sua vita d'intellettuale contemplativo, spesa tra le cose belle e le delicate emozioni, e consumatasi a poco a poco come per una malattia misteriosa, precocemente, soprattutto nel suo maggiore romanzo e negli Imaginary Portraits, profili di squisiti adolescenti meditativi le cui vite sembrano appassire e tragicamente conchiudersi come quelle di delicati fiori di serra. Marius, Flavian, Watteau, Duke Carl of Rosenmold, ambigue anime androgine, son già aperte a tutti gl'influssi di quella decadenza che doveva divenire il clima letterario dell'Europa alla fine del secolo. Il duca di Rosenmold è un sensuale dilettante al modo di Luigi II di Baviera e del fittizio des Esseintes del Huysmans. In tutti questi ritratti, alla bellezza si allea la morte; e così nel famoso passo sulla Gioconda di Leonardo, contenuto negli studî sul Rinascimento (1873), che doveva restare l'espressione più cospicua del tardo romanticismo occidentale, segnando un ulteriore stadio nella concezione della "donna fatale", quale si era venuta formando in Francia col Gautier e il Flaubert, e in Inghilterra con lo Swinburne. Quel che di torbido, che circola nell'estetismo del P., si manifesterà in forma fin troppo esplicita nell'opera di Oscar Wilde, che dal P. prende le mosse,
L'estetismo del P. doveva suscitare vive risonanze anche in Italia: il principio che "ogni arte costantemente aspira alla condizione della musica" (all art constantly aspires towards the condition of music) verrà illustrato da Angelo Conti nel suo saggio sul Giorgione (1894), ove pure è percettibile l'eco delle famose pagine del P. sul sorriso della Gioconda; e dal Conti lo toglierà il D'Annunzio facendone uno dei motivi centrali del Fuoco (nel Fuoco, nel personaggio di Daniele Glauro, è schizzato il profilo di un discepolo italiano del P.).
L'opera del P. è improntata d'una caratteristica unità di tono: tutti i suoi personaggi hanno un'aria di famiglia, e, più che presso altri autori, riflettono davvicino l'anima dello scrittore: con questa uniformità armonizza lo stile, tutto delicate distinzioni ed eccessivo carico di aggettivi e di parentesi, uno stile prezioso che, accanto a indubbie qualità di sottigliezza, manca di freschezza e di semplicità. Qualcosa di religioso e di liturgico aleggia sulle pagine di questo sacerdote della Bellezza, officiante in solitudine.
Edizione completa delle 10 opere in 10 voll., Londra 1910. Traduzioni italiane: Il Rinascimento, traduz. di A. de Rinaldis, Napoli 1912; Ritratti immaginari, traduz. di A. de Rinaldis, Napoli 1913, A. e H. W. Stonehill, Bibliography of modern authors, s. 2ª, Londra 1925.
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