WAD BAN-NAGA
Località sulla riva orientale del Nilo c.a 130 km a Ν di Khartum, non lontano dal luogo in cui sorgeva la città di Meroe, in un punto in cui confluivano le principali carovaniere che mettevano in comunicazione le varie parti dello stato meroitico.
L'intero sito subì danni notevoli quando, alla fine del secolo scorso, fu decisa la realizzazione di una linea ferroviaria per collegare Khartum con il Nord del Sudan. In quella occasione fu completamente raso al suolo il c.d. Typhonium, sulle cui rovine fu fatta passare la via ferrata. Dell'edificio, in cui è probabilmente da identificare un mammisi, restano le descrizioni e i disegni dei viaggiatori ottocenteschi che visitarono il sito. Già allora il Typhonium era ridotto a un cumulo di detriti da cui spuntavano alcuni pilastri con i lati decorati da figure in altorilievo del dio Bes sormontate dall'effigie della dea Ḥatḥor. A S del Typhonium, e sicuramente da porre in connessione con questo, si trovano i resti di un altro edificio che, grazie al ritrovamento di alcune iscrizioni, è stato possibile identificare come un tempio dedicato alla dea Iside.
Prima della costruzione della ferrovia, il sito di W. B.-N. si componeva di sei collinette di detriti, al di sotto di ognuna delle quali si trovavano gli edifici antichi. A Ν e a S si estendevano due necropoli.
All'estremità orientale sorgeva un piccolo tempio, molto simile nella pianta al modello egiziano. Attraverso un pilone si accedeva a un piccolo ambiente ipostilo da cui si passava in due ambienti disposti perpendicolarmente all'asse dell'edificio. Da qui si aveva accesso a tre celle. In quella centrale fu rinvenuta in situ una tavola per libagioni in calcare davanti alla quale si trovava ancora la base di un vaso a forma di calice. Le mura del tempio erano in mattoni crudi ricoperte esternamente d'intonaco. Sulle pareti della camera assiale furono rilevate le tracce di una decorazione pittorica a soggetto animale. L'edificio ebbe due fasi di frequentazione: la prima da collocarsi tra il II e il III sec. d.C., la seconda alla fine dell'epoca meroitica, intorno alla seconda metà del IV sec. d.C.
Al centro del sito sorgeva il cumulo di rovine più imponente che, con gli scavi compiuti alla fine degli anni Cinquanta, si rivelò un grande edificio a pianta quadrata con i lati orientati secondo i punti cardinali. Le mura esterne erano in mattoni cotti ricoperte di un intonaco bianco spesso e duro. L'accesso principale si trovava al centro del lato S, da cui si entrava in una sala ipostila, ai lati della quale si apriva una serie di ambienti lunghi e stretti identificati come magazzini. Dalla sala ipostila si passava in un'anticamera che immetteva in un ambiente in cui furono ritrovati alcuni capitelli di tipo composito. Questi dovevano provenire da un locale posto al piano superiore, il cui pavimento era sostenuto da due alti pilastri in mattoni crudi, che si ergevano al centro dell'ambiente sottostante fungendo da base a due file di colonne soprastanti. Al piano superiore si accedeva attraverso una rampa di scale la cui porta era situata all'estremità nord-occidentale della sala ipostila di ingresso. Il pianterreno si componeva di quarantacinque ambienti, la maggior parte dei quali dovevano essere utilizzati come magazzini. In uno di essi furono ritrovate zanne di elefante e travi di legno. Del primo piano non si è conservato alcun resto architettonico ed è perciò impossibile tentarne anche una parziale ricostruzione. L'esistenza di ambienti ipostili, quasi sempre in connessione con le entrate dell'edificio, può essere supposta dalla presenza degli alti pilastri in mattoni crudi che sostenevano file di colonne soprastanti. La decorazione del piano superiore doveva essere molto ricca. In corrispondenza degli strati superficiali del palazzo furono infatti ritrovati numerosi frammenti di stucco con decorazioni, ricoperti di foglia d'oro, che dovevano ornare le pareti degli ambienti. Uno di questi recava, scritto in geroglifico meroitico, il nome della regina Amanishakhete, il cui regno è stato collocato alla fine del I sec. a.C. Questa evidenza, unita al fatto che le figure ritratte nella decorazione hanno spesso attributi regali, ha fatto supporre che la funzione dell'edificio fosse quella di palazzo residenziale per la corte meroitica.
Una piccola statua in arenaria, ritrovata in corrispondenza degli strati superficiali del palazzo, è stata a lungo ritenuta l'effigie di una divinità a testa di elefante, la cui esistenza non risultava altrimenti attestata. In realtà si tratta della figura incompiuta di un sovrano meroitico in cui naso e barba posticcia non sono stati terminati e risultano perciò uniti, dando l'impressione di una lunga proboscide. Nei dintorni del palazzo è stata ritrovata anche una testa di sovrano in arenaria stuccata e dipinta di dimensioni maggiori rispetto a quelle naturali. Il re porta la Corona Bianca, simbolo faraonico indicante la sovranità sull'Alto Egitto, da cui spunta l'ureo. Sulla sommità del copricapo un profondo foro suggerisce che vi doveva essere inserito un ulteriore ornamento, assai difficile da identificare, probabilmente in metallo prezioso. Nonostante i tratti del viso siano assai marcati e non molto curati, l'opera dimostra una certa forza ed equilibrio delle forme; può essere ricollegata alla produzione statuaria meroitica di ispirazione faraonica databile tra il I sec. a.C. e il I d.C.
A S del palazzo si trovava una struttura a pianta circolare. Il muro aveva uno spessore di 3,70 m ed era costituito, partendo dall'esterno, da mattoni cotti ricoperti di intonaco bianco, mattoni crudi e, infine, da mattoni cotti non intonacati. Il diametro esterno era di c.a 20 m, quello interno di 12,70 m. L'accesso avveniva tramite una rampa posta sul lato O (in direzione del Tempio di Iside) che conduceva a un passaggio posto a un'altezza di 2 m dal livello del suolo. Non si esclude che la struttura potesse essere coperta da una cupola. La sua funzione sembrerebbe quella di magazzino, forse per cereali, annesso al complesso templare.
Il ritrovamento di alcuni oggetti d'importazione romana (una lucerna con figura di gladiatore e alcuni frammenti di ceramica sigillata) testimonia la frequentazione del sito anche nel I e II sec. d.C. L'assenza di ceramica locale posteriore al IV sec. d.C. indica che la data di abbandono degli edifici deve essere collocata in un periodo molto vicino alla fine della civiltà meroitica. Frammenti di una grande iscrizione in meroitico corsivo, databili su basi paleografiche al III-II sec. a.C., costituirebbero invece la testimonianza più antica proveniente dagli scavi del sito.
Bibl.: J. Vercoutter, Un Palais des «Candaces» contemporain d'Auguste, in Syria, XXXIX, 1962, pp. 263-299.