VULCA
Coroplasta etrusco di Veio. Secondo Plinio (Nat. hist., xxxv, 157), che cita Varrone, fu chiamato a Roma e incaricato dal re Tarquinio Prisco di modellare per il tempio capitolino, la statua di terracotta di Giove il cui volto soleva essere dipinto di rosso in determinate festività (cfr. anche Plin., Nat. hist., xxxiii, 111; Serv., in Ecl., vi, 62, ecc.) e che era effigiata stante, con il fulmine nella destra (Ovid., Fast., i, 202; Iuv., xi, 115); fu pure autore di un Ercole fittile ancora ammirato in età imperiale (cfr. Mart., xiv, 178). Lo stesso passo di Plinio ricorda la quadriga di terracotta collocata al sommo del tempio capitolino, dubbio restando se la sua fonte l'attribuisse a V.; comunque altre fonti la considerano esplicitamente opera di un maestro di arte figulina veiente (Fest,, p. 340) o più generalmente di artefici di Veio dell'epoca di Tarquinio il Superbo (Plut., Public., 13) e portata a Roma da Veio (anche Plin., Nat. hist., viii, 161).
V. è il solo artista etrusco di cui ci sia tramandato il nome dalla letteratura antica. Si tratta di un nome sicuramente etrusco e largamente diffuso in Etruria come gentilizio nelle forme etrusche Velcha, Velca e latine Volca, Vulca e simili, con molti derivati. Pertanto non c'è ragione di dubitare della sua storicità.
Il problema della sua cronologia si intreccia con quello della data della costruzione del tempio di Giove Capitolino, che la tradizione attribuisce a Tarquinio Prisco e a Tarquinio il Superbo, ma più concretamente a questo ultimo, riportandone la data del compimento e della dedica al primo anno della Repubblica (509 o 508 a. C.) (v. capitolium; roma). Si è supposto che la notizia pliniana riguardante l'attività di V. sotto Tarquinio Prisco derivi da una confusione tra i due re di egual nome ed eventualmente si inquadri in una generale reduplicazione della figura del monarca costruttore del tempio. Effettivamente sembra probabile che il figulo veiente, autore della quadriga, menzionato da Festo (Veienti cuidam artis figulinae prudenti) debba identificarsi proprio con quel V. che era nominato da Varrone, tanto più che è possibile che il testo perduto di Varrone, parafrasato da Plinio, attribuisse a questo artefice anche la quadriga; e in ogni caso sembra difficile disgiungere la esecuzione e la collocazione del grande acroterio sul tetto del tempio dalla fase finale della costruzione dell'edificio negli ultimi decennî del VI sec., vale a dire appunto dalla età tradizionale del regno di Tarquinio il Superbo. Si aggiunga che alla luce dei dati archeologici generali, la decorazione fittile di un grande monumento religioso come il tempio capitolino e perfino la concezione di un simulacro di culto, quale è quello che si intravvede dai cenni descrittivi del Giove di V., parrebbero convenire, nell'ambiente etrusco-latino, piuttosto alla fase di cultura artistica della seconda metà del VI sec, che non ai decennî tra la fine del VII e l'inizio del VI corrispondenti al regno tradizionale di Tarquinio Prisco. Tuttavia un emendamento cronologico del passo pliniano, per quanto giustificato, va proposto con opportune riserve, tenuto conto proprio del fatto che questa è l'unica fonte che ci tramanda il nome di Vulca, Teoricamente non si potrebbe escludere del tutto la eventualità del prolungarsi dell'attività e della fama di una scuola di coroplasti veienti anche per due o tre generazioni.
Le notizie citate hanno acquistato più vivo interesse dopo la scoperta di un centro di produzione particolarmente fiorente di terrecotte architettoniche figurate arcaiche a Veio (v.) con gli scavi del tempio in località Portonaccio, iniziati nel 1914, dai quali provengono il famoso Apollo e le altre statue acroteriali consimili nonché figure di altro modulo e genere, antefisse, ecc, Come è noto, queste opere non soltanto eccellono per interesse iconografico, tipologico e tecnico e per qualità nell'ambito della plastica etrusca del tardo arcaismo, ma rivelano con più o meno diretta evidenza l'impronta di una spiccata personalità stilistica (v. etrusca, arte).
Specialmente nelle statue intere o frammentarie di Apollo, di Eracle con la cerva, di Hermes (v.), della dea con bambino, in una figura di minori proporzioni di guerriero con elmo, nelle antefisse con gorgonèion, risaltano i caratteri di un'arte che, ispirandosi alle tradizioni greco-orientali dominanti in Etruria negli ultimi decennî del VI sec. e in parte anche risentendo di influssi attici, accentua valori di vigore e di movimento nella costruzione delle figure, attraverso volumi ben definiti e impiego di linee incisive e taglienti. Lo sviluppo di questa produzione più caratteristica della coroplastica veiente può essere collocato, in base a confronti esterni e con lievi oscillazioni nel giudizio degli studiosi, tra il 510 e il 490 a. C. La possibilità di identificare il "maestro dell'Apollo", che è probabilmente anche l'epistates del tempio veiente e della sua decorazione, con V., appare suggestiva, e consentirebbe di spiegare la rinomanza di questo artista alla luce di eloquenti prove archeologiche; ma implica ovviamente la correzione cronologica di cui si è detto. In ogni caso la fioritura della scuola artistica veiente si accorda sostanzialmente con l'epoca della fine della monarchia a Roma, cioè con la fase finale della decorazione del tempio capitolino secondo la tradizione. Viceversa, gl'indizi di una presenza di influssi veienti nelle terrecotte arcaiche scoperte a Roma sul Campidoglio sono, almeno finora, assai scarsi e generici.
Bibl.: G. Q. Giglioli, Sculture in terracotta etrusche di Veio, in Ant. Denkm., III, 1926; A. Andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund-Lipsia 1939-1940, pp. LXXI ss.; CL ss.; 335 ss.; M. Pallottino, La Scuola di Vulca, Roma 1945; id., Il grande acroterio femminile di Veio, in Arch. Class., II, 1950, p. 122 ss. (particolarmente p. 169 ss.); Mostra dell'arte e della civiltà etrusca, Milano 19552, pp. 78-81; E. Gjerstad, Early Rome, III, Lund 1960, p. 168 ss.; A. Rumpf, in Pauly-Wissowa, IX A, 1961, c. 1223 ss., s. v.