Pudovkin, Vsevolod Illarionovič
Regista, attore, sceneggiatore, scenografo e teorico del cinema russo, nato a Penza il 28 febbraio 1893 e morto a Dubulta (Riga) il 30 giugno 1953. Fu, insieme a Lev V. Kulešov, Sergej M. Ejzenštejn e Dziga Vertov, uno dei primi teorici a concentrare le proprie riflessioni sulla questione del montaggio che usò secondo un percorso del tutto originale. Appartenne infatti a quella generazione di rivoluzionari del cinema che coinvolsero nel processo di definizione dell'opera lo stesso spettatore, e che videro nel montaggio (non soltanto cinematografico) il principio espressivo fondante dell'arte del 20° secolo. Fu quindi uno dei giganti del cinema sovietico cui toccò il compito storico di esprimere cinematograficamente la Rivoluzione e, al contempo, compiere una rivoluzione nel cinema stesso.
Il giovane P. mostrò precoce passione per la pittura e la musica, ma anche per le scienze esatte a cui si dedicò durante gli studi universitari. Iscrittosi alla facoltà di Matematica e Fisica (corso di chimica fisica), dovette abbandonarla a pochi esami dalla fine per lo scoppio della Prima guerra mondiale. Partito volontario, fu ferito e fatto prigioniero in Germania nel 1915. Dopo tre anni di prigionia, dai cui ricordi avrebbe poi tratto in parte il soggetto di Vo imja Rodiny (1943, In nome della Patria), diretto assieme a Dmitrij I. Vasil′ev, P. fuggì dal campo di internamento e tornò a Mosca dove trovò impiego come chimico. Il 1920 fu un anno fondamentale nella vita del futuro regista: vide Intolerance (1916) di David W. Griffith rimanendone colpito a tal punto da decidere di imprimere una svolta radicale alla propria vita. Lasciato l'impiego, all'età di 27 anni si iscrisse alla prima scuola statale russa di cinema, il VGIK. Dapprima allievo e poi assistente del regista Vladimir R. Gardin, P. dimostrò un talento straordinario sia nella recitazione sia nella regia. Come attore interpretò molti ruoli più o meno da protagonista (diretto da Ivan N. Perestiani in V dni bor′by, 1920, Nei giorni della lotta, e dallo stesso Gardin in Serp i molot, 1921, Falce e martello), inaugurando così una brillante carriera. In particolare, si mise in luce in Novyj Vavilon (1929, La nuova Babilonia) di Grigorij M. Kozincev e Leonid Z. Trauberg, e in vari film di Kulešov, fino alla magistrale interpretazione del protagonista di Živoj trup, noto anche come Der Lebende Leichnam (1929, Il cadavere vivente) di Fëdor Ozep, una coproduzione tedesco-sovietica ispirata all'omonimo dramma di L.N. Tolstoj.
La sua attività di co-sceneggiatore e aiuto regista era iniziata nel 1921, quando, ancora studente, aveva collaborato con Gardin alla realizzazione di Golod… golod… golod… (Fame… fame… fame…). Seguì da lì a poco, sempre con Gardin, l'adattamento cinematografico di una pièce di A.V. Lunačarskij, Slesar′ i kancler (1924, Il maniscalco e il cancelliere), che però P. rifiutò di girare da solo come proposto da Gardin, preferendo continuare gli studi presso il Laboratorio sperimentale di formazione degli attori cinematografici di Kulešov. La frequentazione del giovane Kulešov risultò fondamentale per la formazione registica di P., che lavorò con lui, oltre che come interprete, anche come aiuto regista e scenografo nella realizzazione di Neobyčajnye priključenija Mistera Vesta v strane bol´ševikov (1924, Le straordinarie avventure di Mister West nel paese dei bolscevichi) e successivamente come co-sceneggiatore e scenografo in Luč smerti (1925; Il raggio della morte).
Formatosi alla scuola psicologica di Gardin e poi in quella fucina esplosiva che fu il Laboratorio sperimentale di Kulešov, P. intorno al 1925 iniziò a lavorare per il Mežrabpom-Rus′, una delle case di produzione più attive e progressiste dei primi anni Venti all'epoca della NEP (Nuova Politica Economica), dove fece il suo esordio autonomo nella regia realizzando un documentario sulle sperimentazioni riflessologiche di I. Pavlov, Mechanika golovnogo mozga (1926, La meccanica del cervello), e un piccolo capolavoro del cinema muto, Šachmatnaja gorjačka (1925, La febbre degli scacchi), diretto con Nikolaj G. Špikovskij, sorridente congedo dal suo maestro Kulešov, girato in occasione del torneo internazionale di scacchi svoltosi nel novembre del 1925 all'Hotel Metropol di Mosca. Il cortometraggio, spiritoso e bonariamente satirico, descrive l'estrema concentrazione sugli scacchi del protagonista, un giocatore fanatico, e la conseguente crescente esasperazione della sua fidanzata (interpretata dalla moglie di P., Anna Zemcova) in termini improntati alla scuola e allo stile di Kulešov.
Da lì a poco P. girò il primo dei suoi tre capolavori, Mat′ (1926, La madre; riedito in versione sonorizzata nel 1935) ispirato all'omonimo romanzo di M. Gor′kij e sceneggiato insieme a Natan A. Zarchij, cui seguirono Konec Sankt-Peterburga (1927, La fine di San Pietroburgo), realizzato per il decennale della Rivoluzione d'ottobre, e Potomok Čingis-Chana (1928; Tempeste sull'Asia) di ambientazione mongolica sceneggiato con Osip M. Brik; con queste tre opere P. si assicurò un posto d'onore tra i padri della cinematografia sovietica. Accettando nel 1926 di girare Mat′, P. venne meno a una delle sue giovanili convinzioni, ovvero quella di ritenere che il cinema dovesse servirsi di soggetti originali e non attingere alla letteratura di cui pure il regista era appassionato fruitore. Fu proprio l'amore per Tolstoj a orientare la sua lettura del romanzo di Gor′kij, che gli offriva un'opportunità unica di scandagliare il carattere umano nell'ambito del racconto epico. La vicenda di una madre che, per amore e senso di colpa verso il proprio figlio involontariamente fatto arrestare, si dedica in prima persona alla lotta politica partecipando a una manifestazione operaia durante la quale rimane uccisa, si svolge sullo sfondo delle turbolente e tragiche vicende politiche del 1905, assumendo un respiro epico senza precedenti nel cinema russo. Il successo del film assicurò a P. la piena fiducia della produzione e l'artista acconsentì alla realizzazione immediata di altri due film d'impianto epico. Nel 1927 girò Konec Sankt-Peterburga, storia di un povero contadino che, ritrovatosi a lavorare in fabbrica, denuncia dapprima lo sciopero dei compagni provocandone l'arresto, per poi ricredersi, finire egli stesso in prigione e infine partecipare da protagonista all'assalto al Palazzo d'inverno. L'anno successivo fu la volta di Potomok Čingis-Chana, che narra di un giovane cacciatore mongolo ribelle che all'epoca della guerra civile si unisce ai partigiani per liberare il suo popolo dall'oppressione straniera, fino a scatenare l'insurrezione definitiva contro il nemico britannico sullo sfondo di una magnifica tempesta di sabbia di grande suggestione e pregnanza simbolica.
Le sceneggiature dei tre capolavori di P. trattano in fondo lo stesso tema: la lenta presa di coscienza politica dei protagonisti. La madre, il giovane contadino, il cacciatore sono esseri ingenui e frustrati, che giungono progressivamente a una visione chiara dei doveri e dei diritti della loro classe di appartenenza. Opera sociale per contenuto, la trilogia di P. tuttavia si caratterizza anche per l'intenso spessore psicologico della figura centrale dell'eroe. P., a differenza di Ejzenštejn e Vertov, non poté fare a meno dei grandi attori, attingendo dal Moskovskij Chudožestvennyj Teatr (Teatro d'arte di Mosca) di K.S. Stanislavskij i suoi interpreti migliori; alle magnifiche figure create da Vera F. Baranovskaja (Mat′), Aleksandr P. Čistjakov (Konec Sankt-Peterburga) e Valerij Inkižinov (Potomok Čingis-Chana) si deve buona parte del successo dei tre capolavori. Centrale in queste opere fu la riflessione sul montaggio: la sua poetica può a ragione essere definita lirica in quanto, pur salvaguardando la continuità narrativa o descrittiva dell'opera, P. si servì del montaggio per esprimere idee e sentimenti che trascendono il dramma. La sua concezione si differenzia da quella di Ejzenštejn ‒ a cui spesso viene confrontato ‒proprio per l'importanza accordata alla sceneggiatura e ai personaggi della vicenda narrata. Mentre Ejzenštejn concepisce un'epica delle masse, P. punta all'epica dell'individuo, scelto come tipico e rappresentativo, sviluppando il personaggio secondo un preciso disegno ritmico assai musicale. Lo stile di P. mira più all'analisi che alla descrizione, le digressioni poetiche dei suoi primi piani esaltano e magnificano i protagonisti facendone figure altamente patetiche ed emozionanti.
L'attività creativa di P. fu sempre accompagnata da un intenso impegno teorico che investì tutti gli aspetti del lavoro cinematografico (v. estetica del cinema: Le teorie del montaggio e, teorie del cinema). Nel 1928 sottoscrisse, insieme a Ejzenštejn e a Grigorij V. Aleksandrov, il 'Manifesto dell'asincronismo', riflessione a tre sull'uso del sonoro nel cinema (v. sincronismo e asincronismo), in cui si affermava che solo l'utilizzazione contrappuntistica del suono in relazione all'elemento visivo poteva offrire nuove possibilità di sviluppo e perfezionamento del montaggio. In linea con le convinzioni dei suoi due colleghi, P. sin dai primi tentativi di comprendere il fenomeno del film sonoro criticò la sincronia naturalistica, intesa come una limitazione, una pura copia della morta e inerte realtà. La decisa opposizione a un piatto naturalismo da parte dei registi rivoluzionari, che guardavano alla realtà come a un dato da modificare radicalmente, si sviluppò quindi parallelamente a una concezione del montaggio come mezzo per costruire una vera e propria realtà 'nuova'. Il lavoro registico di P. continuò nel ventennio seguente, anche se non toccò più i vertici dei film degli anni Venti. A partire dal 1932 egli insegnò anche al VGIK, entrando così a pieno titolo nella tradizione dei registi-pedagoghi sovietici. La possibilità, precocemente intuita da P., di servirsi del cinema al fine di costruire una coscienza politica collettiva fu posta al centro della gestione politica del cinema del nuovo regime. Il partito comunista, inizialmente sollecitato dagli stessi registi, finì per influenzare gran parte delle produzioni degli anni Trenta. Dalla descrizione epica delle masse e dal linguaggio metaforico del cinema muto rivoluzionario si passò all'indagine storica della realtà rivoluzionaria e alla prosa filmica. Lo stesso P., continuando la propria ricerca, decise di affrontare il tema attuale dei rapporti interpersonali e dell'etica della nuova società socialista. Al centro del suo film successivo, Očen′ chorošo živëtsja (1930, Si vive molto bene) ritirato e poi riapparso modificato con il titolo Prostoj slučaj (1932, Un caso semplice), coregia di Michail I. Doller, è infatti la storia di un tradimento all'interno di una coppia, che termina con il ritorno dell'adultero e il successivo perdono da parte della moglie-compagna tradita. Qui P., oltre a tentare di realizzare il suo primo film sonoro (poi uscito in versione muta per l'inadeguatezza dei mezzi tecnici allora a disposizione in URSS), aveva inaugurato una fase nuova nel lavoro di collaborazione tra sceneggiatore e regista, ricorrendo a uno dei primi autentici sceneggiatori sovietici, Aleksandr G. Ržeševskij. Tuttavia il film, pur ricco di trovate registiche di grande interesse, non corrispose all'intento degli stessi autori e non piacque al pubblico. P. tornò al tema preferito dell'acquisizione di una coscienza politica nel suo primo film sonoro, Dezertir (1933, Il disertore), a torto sottovalutato all'estero, in cui si narra la storia di un lavoratore comunista di Amburgo che, dopo varie vicende, si trova a vivere in URSS, ma sentendosi un disertore della lotta operaia del suo Paese torna in Germania per lottare in prima linea. L'eroe forse non aveva la chiarezza psicologica dei protagonisti della trilogia, ma il film utilizza virtuosisticamente tutte le possibilità offerte dal sonoro.
Negli anni successivi P. realizzò diversi film storici sulle biografie di grandi personaggi del passato nazionale: Minin i Požarskij (1939, Minin e Požarskij), coregia di M. Doller, affresco solenne e un po' pesante sulle lotte di liberazione antipolacche del 17° sec.; poi Suvorov (1941), coregia di Doller, dedicato alla figura del grande generale e stratega russo, in cui le scene di battaglia appaiono non del tutto riuscite ma il rapporto e la psicologia dei personaggi sono egregiamente trattati, e ancora Admiral Nachimov (1948; L'ammiraglio Nachimov), coregia di D.I. Vasil′ev, consacrato alla campagna condotta dal famoso ammiraglio contro i Turchi in Crimea nel 1853-55, un film sottile e teso, ottimamente interpretato dall'attore Aleksej D. Dikij. Non altrettanto notevole fu l'altro film-biografia dedicato a Žukovskij (1950), coregia di Vasil′ev, uno dei creatori dell'aerodinamica, che non piacque né al pubblico né alla critica. Alla vigilia della sua morte, nel 1953, P. realizzò Vozvraščenie Vasilija Bortnikova (Il ritorno di Vasilij Bortnikov), coregia di E. Silberstein, adattamento di un romanzo di G. Nikolaeva, il suo ultimo e miglior film sonoro, il cui trattamento lirico, sociale e psicologico ricorda per certi versi Mat′ e ne fa un film di rara bellezza. Si tratta della storia di un uomo creduto morto in guerra, che ritorna a casa e trova la moglie sposata con un altro. Il dramma dei protagonisti tuttavia fa da sfondo al tema principale, ossia quello della vita di un kolchoz e della campagna sovietica, finendo per risuonare come una grande, intima sinfonia della terra.
P. lasciò molti scritti teorici (raccolti in Sobranie sočinenij v 3-ch tomach, Opere scelte in 3 volumi, 1975), tra i quali due opere fondamentali uscite nel 1926, ma elaborate sin dall'epoca della collaborazione con Kulešov: Kinorežissër i kinomaterial (Il regista e il materiale cinematografico) e Kinoscenarij (La sceneggiatura). Un'importante raccolta dei suoi scritti à stata pubblicata in Italia a cura di U. Barbaro (La settima arte, 1961, 1984³).
B. Amengual, V.I. Poudovkine, Paris 1968.
P. Dart, Pudovkin's films and film theory, New York 1974.
A. V. Karaganov, Vsevolod Pudovkin, Moskva 1983².
S. Masi, Vsevolod I. Pudovkin, Firenze 1986.