voto (agg.)
Aggettivo che qualifica ciò " che non contiene nulla ", " che non ha nulla dentro di sé "; ricorre prevalentemente in funzione attributiva e, in poesia, quasi sempre in rima.
In If XXXIV 125 loco vòto, " privo di materia ", il sintagma si riferisce alla " cavità " dove Virgilio e D. sostano dopo aver superato il centro della terra. In altri esempi compare in senso estensivo o figurato, ma sempre riconducibile all'idea che il contenuto mancante dovrebbe o potrebbe esserci: nel Paradiso terrestre l'alta selva è vòta (Pg XXXII 31), " deserta di abitatori ", per colpa del peccato di Eva; a chi ha donato tutto il suo ai poveri, le... borse son rimaste vote (Fiore CXV 4). Con un'accezione ancor più estensiva (" priva di cavaliere ") è presente nell'apostrofe all'Italia, metaforicamente raffigurata come una cavalla: Pg VI 89 Che val perché ti racconciasse il freno / Iustiniano se la sella è vòta?
In due casi il valore di v. è chiarito dal testo latino che è servito di fonte a Dante. In Cv IV XIII 12 dice lo Savio: " Se il voto camminatore entrasse ne lo cammino, dinanzi a li ladroni canterebbe ", D. traduce o da Giovenale (Sat. X 22 " cantabit vacuus coram latrone viator ") o da Boezio (Cons. phil. II V 34 " Si vitae huius callem vacuus viator intrasses coram latrone cantares "); come il latino vacuus, v. avrà qui il significato pregnante di " privo di denari " e quindi " libero da preoccupazioni ". Invece in IV XXVIII 17 " Ora " dice Marzia " che 'l mio ventre è lasso, e che io sono per li parti vota, a te mi ritorno... ", Si deve intendere " infiacchita ", " indebolita ", come il latino " exhausta " in Phars. II 340 " visceribus lassis partuque exhausta ".
Seguito da un complemento che lo determina è sinonimo di " privo ", e indica sempre mancanza di un bene: Vn XVI 9 10 smorto, d'onne valor voto / vegno a vedervi; Rime CXVI 79 la mia terra / ... vota d'amore e nuda di pietate; If XVI 129 di lunga grazia vòte; XX 108 Grecia fu di maschi vòta (perché tutti partecipavano alla guerra di Troia); Pd XI 129 le pecore... / vagabunde... / tornano a l'ovil di latte vòte.
Si discute in che senso Cacciaguida dica a D. che, ai suoi tempi, Firenze non avea case di famiglia vòte (Pd XV 106): troppo grandi e sproporzionate rispetto al bisogno della famiglia, e quindi quasi vuote, secondo i più che si attengono alla chiosa di Benvenuto (" Tempore suo stabant duae et tres familiae in una angusta domo; nunc autem, e contra unus florentinus cum uxore et duobus filiis tenet palatium amplum, in quo commodo starent decem famillæ ". Altri intendono: " vuote per li esilii, causati dalle lotte civili " o " vuote di prole, a cagione dei costumi corrotti "; come giustamente osservano il Grabher e il Sapegno, quest'ultima interpretazione non contraddice alla prima, ma piuttosto la integra, rivelando la ragione segreta di quella sproporzione fra ampiezza della casa e numero degli abitanti; del resto, anche Benvenuto, con il suo accenno a una figliolanza poco numerosa, sembra alludere indirettamente a una volontaria limitazione delle nascite.
Vale " non condotto a termine ", " che non ha compimento ", in Pd III 57 fuor negletti / li nostri voti, e vòti in alcun canto. Lo stesso accostamento fra le due parole omofone è in rima equivoca, in Detto 397 D'orgoglio vuol sie voto, / ched egli ha fatto voto / di non amarti guar' dì; qui, però, l'aggettivo significa " privo ", " libero da ".
L'unico esempio di uso sostantivato si ha in Pd XXXII 26 da l'altra parte onde sono intercisi / di vòti i semicirculi, si stanno / quei ch'a Cristo venuto ebber li visi; il sostantivo allude ai " seggi vuoti " che interrompono le scalee della parte della candida rosa destinata ai credenti in Cristo venuto.
La locuzione avverbiale ‛ a vòto ' ha il significato di " inutilmente ", " invano ", in If VIII 19 Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto, e in XXXI 79; vale " vanamente ", in Pd III 28 il tuo púeril coto / ... te rivolve, come suole, a vòto, " ti fa aggirare in un cerchio di ipotesi vane e fallaci " (Sapegno). Ha un'accezione pregnante in Pg XXIV 28 Vidi per fame a vòto usar li denti / Ubaldin da la Pila; qui l'avverbio significa " inutilmente ", ma contemporaneamente dà rilevanza al fatto che i denti, masticando, non trovano nulla nella bocca; opportunamente si è citato a riscontro Ovidio nell'episodio di Erisitone: " oraque vana movet dentemque in dente fatigat " (Met. VIII 825).