Vedi VOLUBILIS dell'anno: 1966 - 1997
VOLUBILIS
È il centro archeologico più importante del Marocco; gli scavi, iniziati metodicamente nel 1915, ne hanno rimesso in luce una larga parte, con edifici pubblici e numerose case private, facendo recuperare altresì opere d'arte) mosaici e bronzi, di notevole interesse. Fu certamente centro indigeno di un qualche rilievo, già alla fine del II sec. a. C., età cui appartiene un grande tumulo sepolcrale scoperto al centro della città, e non è priva di fondamento l'ipotesi che il re Giuba II ne facesse la capitale della parte occidentale del regno: cosicché, divenuta la Mauretania romana, essa avrebbe conservato tale rango, come sede del procuratore imperiale della più occidentale delle due province. Grazie ai buoni uffici di un suo cittadino, che aveva partecipato alla guerra contro il ribelle Edemone a favore dei Romani, la città ebbe da Claudio il diritto di municipio e altri privilegi: forse raggiunse più tardi il rango di colonia. Evacuata, sembra, la regione dopo Diocleziano, la città conservò a lungo anche sotto i capi indigeni il carattere che i Romani le avevano dato.
L'impianto urbanistico riflette le vicende della città: situata su un pianoro che scende ripido verso S, essa presenta da questa parte un nucleo originario di pianta irregolare e solo parzialmente rettificato dai Romani, e adiacenti i quartieri nuovi, disegnati secondo lo schema ad assi ortogonali. È dubbio se la città primitiva fosse circondata di mura: una cerchia fu innalzata al tempo di M. Aurelio, su un percorso di circa km 2,400: tali mura avevano uno spessore di oltre m 1,50, ed erano in opera a sacco rivestita sulle due facce da paramento in blocchetti rozzamente squadrati: aveva otto porte e 34 torri. Al limite fra la città primitiva e i quarieri nuovi era il Foro, piazza porticata chiusa, di circa m 20 × 30. La sua sistemazione risale al principio del III sec., ma due fasi precedenti di esso sono state riconosciute, la prima probabilmente del I sec. a. C., del tempo di Giuba II con i resti di due templi giustapposti l'uno all'altro; la seconda, le cui tracce sono abbastanza confuse, non precisamente databile, ma durata fino alla fine del II secolo. Sul lato orientale della piazza era la basilica (m 42 × 23), del tipo a due absidi, con tre ingressi sul fianco che guardava verso la piazza: questo stesso fianco era ornato di colonne immesse nel muro su due ordini; l'interno era a tre navate, ed aveva lungo uno dei lati una serie di piccole stanze, destinate forse ad uffici. Sul lato occidentale erano quattro celle, situate l'una aocanto all'altra e precedute da quattro altari; anche nella fase più antica erano qui due piccoli templi, infine a S un piccolo mercato. A S della basilica e comunicante con essa per una porta aperta nell'abside meridionale, sì stendeva una piccola area scoperta, sulla quale si innalzava il Campidoglio, costruito nel 217 d. C. sotto Macrino; recenti restauri ne hanno ripristinato la larga gradinata di accesso e le quattro colonne della fronte. Il pronao, piuttosto profondo, aveva altre due colonne dietro la prima fila e due semi-colonne alle estremità delle ante. La cella era fiancheggiata sui lati da due ali scoperte di circa 3 m di larghezza chiuse a tergo dal prolungamento del muro di fondo della cella stessa. Il tempio infine si affacciava su una piccola piazza, sui lati della quale si allineavano dei portici con sale e ambienti diversi, alcuni forse di carattere sacro o riservati a sede di collegi.
Su un'altra piazza, al punto di congiunzione di tre quartieri, sorgeva l'arco onorario dedicato a Caracalla, purtroppo fatto oggetto di un cattivo restauro: a due fronti, aveva un solo grande fornice al centro (larghezza m 5,8o) mentre i due larghi piedritti ai lati erano ornati ognuno da una coppia di colonne in avancorpo che inquadravano una piccola nicchia: poiché sotto a questa è un bacino per acqua (forse sistemato in un secondo tempo) è probabile che la nicchia contenesse una statua da fontana. Al di sopra erano dei medaglioni con i busti dei personaggi della famiglia imperiale, la loro cattiva conservazione non permette di giudicarne lo stile, ma la decorazione di alcune lesene con candelabri e di alcune lastre con trofei di armi rivelano un gusto tutto affatto provinciale. Due edifici termali, stabilimenti per la lavorazione delle olive e forni, una specie, forse, di grande fondaco per carovane, un santuario fuori le mura costituito da un'area scoperta contenente un grandissimo numero di stele votive; un piccolo tempio di tipo africano e cioè con la cella entro ampia corte porticata; un acquedotto a più bracci, sotterraneo nel percorso fuori della città, sopraterra entro questa fino al punto di arrivo ad una fontana presso le terme settentrionali, completano l'edilizia pubblica. Accanto alla quale, peraltro, di grande interesse è l'edilizia privata. Particolarmente studiato è stato il quartiere N-O, articolato sul decumano massimo e su altri tre decumani minori, nonché su alcuni cardini che, peraltro, non si allineano regolarmente tra loro. Le case sono quelle di una borghesia benestante di carattere industriale e commerciale, come fanno fede i numerosi impianti di mulini e forni e di presse per olive, che accompagnano sovente gli ambienti di soggiorno o di abitazione, e le botteghe che si allineano sulla strada. Le case si aprono su questa con una o due porte, e si svolgono su un piano assiale, sul quale si susseguono il vestibolo, l'atrio-peristilio, il tablino o oecus; intorno all'atrio-peristilio si distribuiscono gli altri ambienti. Spesso un secondo atrio, più piccolo, fa da centro ad un appartamento di carattere più intimo. Alcune delle case sono fornite di stabilimenti termali, talvolta accessibili dall'esterno, e quindi probabilmente di uso pubblico.
Molte case dovevano avere un secondo piano, ma limitato ad una sola parte del piano terreno. Ricca era la decorazione musiva di queste case che, dal soggetto dei principali di questi mosaici, derivano la loro attuale denominazione. Nulla o quasi resta invece della decorazione pittorica delle pareti. Ha la disposizione di un'abitazione privata, ma un impianto di proporzioni assai maggiori (m 73 × 53), il cosiddetto Palazzo di Gordiano situato lungo il decumano massimo: un'iscrizione che ricorda un restauro del procuratore della provincia sotto questo imperatore gli ha fatto dare tale nome: è stato supposto perciò che esso fosse la residenza ufficiale del procuratore stesso. L'edificio ebbe forse una fase più antica, a cui sembra spettare il portico a colonne ioniche, di proporzioni piuttosto tozze, che dà sulla strada. Il suo interno comprende tre atrî, l'uno dietro l'altro, con stanze, in parte decorate con molta ricchezza; nella parte posteriore sono piccole camere allineate lungo un corridoio; su un fianco le terme e locali di abitazione. Le case della popolazione più umile erano costituite soltanto da una o due camere, l'una dietro l'altra, divise forse molto spesso soltanto da tende e illuminate da abbaini e lucernarî.
La città ha restituito numerosi pezzi di scultura in bronzo, cosa non comune in Africa: si è supposto che lo stesso re Giuba II, che aveva raccolto nella sua capitale orientale, Cesarea, un vero museo di sculture in marmo, avesse fatto qualcosa di analogo anche a V., dando peraltro la preferenza ad opere in bronzo. Tengono il primo posto tra queste: l'Efebo coronato, replica di un tipo della seconda metà del V sec. a. C., cui si rifanno anche l'Idolino di Firenze e l'Apollo di Via dell'Abbondanza a Pompei; il ritratto romano della fine della Repubblica, che l'iscrizione incisa denominerebbe come Catone (l'Uticense); la testa ellenistica della quale sono state proposte le più varie identificazioni (Gerone II di Siracusa, Areo di Sparta, Giuba II) l'ultima delle quali, di G. Ch. Picard, vede in essa un ritratto di Annibale. Tra gli oggetti minori, ornamenti di letti o di tavole con testa di mulo coronato, un busto di Sileno e numerosi oggetti di artigianato.
Bibl.: R. Thouvenot, Volubilis, Parigi 1949, con bibl. anteriore; R. Etienne, Le quartier nord-est de Volubilis, Parigi 1960. Relazioni e notizie di ritrovamenti: L. Chatelain, in Comptes-Rend. Acad. Inscr., 1915 ss., passim; R. Thouvenot, ibid., e in Mel. Éc. franç., 1936; id., in Pubbl. Serv. Antiquités du Maroc, passim; Ch. Picard, in Rev. Arch., XXVII, 1947, p. 173 ss.; M. Euzennat, M. Ponsich, A. Luquet, in Bull. Arch. Maroc, II, 1957; IV, 1960; V, 1964; L. Chatelain, Le Maroc des Romains, Parigi 1944, p. 139 ss. Per l'Efebo coronato: E. Michon, in Mon. Piot, XXXIII, 1933, pp. 119 ss. Per il supposto ritratto di Annibale: G. Ch. Picard, in Studi Annibalici (Annuario dell'Accademia etrusca di Cortona), XII, 1964, p. 195 ss.