Vedi VOLUBILIS dell'anno: 1966 - 1997
VOLUBILIS (v. vol. VII, p. 1202)
Gli scavi condotti negli anni 1970-1985, pur se non hanno portato a un considerevole aumento della superficie scavata nell'area di V., che resta il centro archeologico più importante del Marocco, hanno però profondamente modificato le nostre conoscenze sulla sua storia e sul suo sviluppo.
Era già noto, grazie a un'iscrizione punica (L. Galand, J. Février, G. Vajda, Inscriptions antiques du Maroc. Inscriptions puniques et libyques, Parigi 1966, pp. 83-100), che a V. esisteva, nel III sec. a.C., la carica di suffeta, il che implica il fatto che fosse già in vigore uno statuto municipale. La presenza di magistrature di tipo punico in una città dell'interno è il sintomo dell'influsso cartaginese, forse trasmesso da Lixus, che deve probabilmente essere posto in relazione con gli sforzi di espansione della grande metropoli, in Africa così come in Spagna, a sostegno delle guerre contro Roma.
Sin dall'inizio degli scavi si è sempre ritenuto, a ragione, che la parte meridionale del pianoro su cui sorgeva V. costituisse il nucleo originario della città, caratterizzata da una pianta irregolare che venne parzialmente regolarizzata dai Romani. Le ricerche più recenti hanno evidenziato l'esistenza del muro di cinta della città più antica, a Ν di questo sperone, costruito con lastre in calcare sovrapposte con regolarità che reggono un alzato di mattoni crudi, e rinforzato in alcuni punti da un secondo muro in opera poligonale. A E del pianoro diversi tratti di muro sembrano risalire, a giudicare dalla tecnica edilizia, alla fase pre-romana della città: si tratta però probabilmente di muri di terrazzamento addossati ai punti in cui lo strapiombo è più ripido piuttosto che del muro di cinta della città. L'autore dello scavo ha proposto di datare quest'ultimo al III sec. a.C.; i frammenti di ceramica campana rinvenuti negli strati di fondazione non autorizzano però a risalire oltre il II sec. a.C. Nessuna traccia di fortificazione è stata scoperta sul declivio occidentale del pianoro, che risulta invece occupato da abitazioni private databili alla metà del II sec. a.C. In tale periodo a Ν della città, sotto il quartiere romano che si stende intorno all'arco onorario, esisteva una necropoli, documentata dalla localizzazione della maggior parte delle stele puniche e libiche scoperte nel sito e da un ipogeo con copertura a volta, che in età romana venne ricoperto da un cardo e trasformato in ambiente sotterraneo accessorio della «Casa dell'Efebo». Numerosi templi sono stati individuati nella parte più alta del sito. Due di essi, databili alla fine del II o agli inizî del I sec. a.C., si conservano a livello di fondazione sotto una successiva sistemazione di una parte del foro, a O della basilica. Un santuario di piccole dimensioni, costruito in un'opera a grandi blocchi e successivamente incorporato nella sistemazione dell'area capitolina, è probabilmente databile all'età di Giuba II. Al medesimo periodo vengono attribuite anche due costruzioni, sempre a grandi blocchi che, a mezza costa della collina, contrassegnano il punto in cui sorgevano i templi gemelli.
Viceversa nessun elemento consente di attribuire al medesimo periodo una prima fase del grande tempio situato a E della città, il c.d. Tempio di Saturno o tempio B. Nella sua ultima fase, sicuramente non anteriore agli inizî del III sec. d.C., esso era costituito da un cortile, contraddistinto dalla presenza al centro di tre altari e di una costruzione allungata, in parte ipogea su due lati, circondato su tre lati da porticati sui quali si affacciavano ambienti aggettanti esternamente. Sul lato occidentale del cortile, privo di porticato, si allineavano 17 basi. Le numerose stele votive ivi scoperte, il più delle volte di reimpiego, sono databili tra il 50 e il 200 d.C. (?) e risultano quindi anteriori a tale costruzione. Esse documentano l'esistenza di un culto popolare nei confronti di una divinità protettrice della fecondità.
Gli edifici di carattere pubblico attestano il dinamismo della città sotto i regni di Giuba II e del figlio Tolemeo. Si intravedono, al di sotto delle case di età romana situate a Ν dell'antico muro di cinta, le tracce di un impianto urbanistico che molto probabilmente risale a questo periodo. Peraltro non vi sono elementi che confermino la vecchia ipotesi di J. Carcopino, ripresa anche in recenti pubblicazioni, che identificava in V. una delle capitali del regno di Giuba II. V. ha restituito un eccezionale complesso di sculture in bronzo e si era dunque pensato a una collezione d'arte costituita da Giuba stesso. Esulano, per la verità, dall'epoca della sua presenza sul trono alcuni tra i pezzi più importanti: il Catone Uticense (età neroniana), il Cavaliere (tra il 70 e il 150), il Cavallo (età adrianea); ma altre sculture risalgono proprio a quel periodo, come l'Efebo coronato e soprattutto la bella testa di gusto fortemente ellenistico, ormai di sicuro identificabile come quella di Giuba II stesso, forse un ritratto ufficiale eseguito in occasione del suo fidanzamento con Cleopatra Selene.
Lo sviluppo della città veniva solitamente attribuito, dopo la costruzione della cinta muraria di Marco Aurelio, all'età severiana, età in cui si assiste alla costruzione o al rifacimento di numerosi edifici pubblici, dei quali si sono ritrovate le iscrizioni dedicatorie. In particolare si attribuiva al III sec. la creazione del grande quartiere NE, costituito da case padronali caratterizzate da una ricca decorazione a mosaici. In realtà la città conobbe un notevole sviluppo in età flavia, probabilmente in gran parte grazie alla personalità di Sex. Sentius Caecilianus, legatus Augusti propraetore ordinandae utriusque Mauretaniae nel 75 d.C. (Inscriptions antiques du Maroc, 2. Inscriptions latines, Parigi 1982, pp. 108-110, n. 126). All'interno della stessa città antica venne costruito un complesso termale (terme capitoline) e una piazza su due livelli circondata da porticati e limitata su un lato da quattro sale sopraelevate, che costituisce il settore religioso del centro monumentale. Quest'ultimo subì nel corso del II sec. numerosi interventi di ristrutturazione, la cui cronologia e la cui esatta natura devono ancora essere definite con chiarezza, per assumere la sua definitiva fisionomia in età severiana con la costruzione della basilica. All'esterno della città antica, le «Terme del Nord» vengono edificate tra il 60 e l'80 d.C.: questo monumento, del tutto inconsueto per il Marocco, si inserisce nella tradizione ben rappresentata a Pompei, che associava un complesso termale a una palestra, circondata di portici su tre lati e dotata sul quarto lato di una natatio. Le sale termali, non particolarmente originali, presentano in ogni caso uno dei primi esempî conosciuti di doppio tepidarium. Tale grande complesso non può essere di molto anteriore all'acquedotto che lo alimentava, dopo aver attraversato il quartiere NE. Le recenti ricerche dimostrano che la maggior parte delle case di tale quartiere sono più antiche di quest'ultimo nella loro fase originaria. Soltanto dopo la sua costruzione esse poterono essere ingrandite, soprattutto mediante piccole terme private, in alcuni casi accessibili dall'esterno, e pertanto anch'esse destinate al pubblico. Se ne può dedurre che lo schema organizzatore di tale quartiere, impostato con grande regolarità, risale alla seconda metà del I secolo. Le varie abitazioni subirono successivamente numerose trasformazioni, lo studio delle quali è ancora in corso; caratteristica, comunque, la presenza di impianti per la produzione «domestica» di olio.
Il c.d. Palazzo di Gordiano, p.es., è il risultato dell'unione di due edifici più antichi separati da un cardo.
Contrariamente a ciò che si era pensato in base all'attestazione epigrafica del restauro di tale complesso, effettuato al tempo di Gordiano III a cura di M. Ulpius Victor, procuratore prolegato (ibid., 404), e in base all'importanza dei resti ritrovati nella città, V. non costituì mai la residenza ufficiale del procuratore della provincia. Parimenti, nessuna menzione in campo epigrafico conferma che V. abbia mai ricevuto il titolo di colonia che le attribuisce l’itinerarium Antonini.
Poco prima del 285 d.C., nel corso dei disordini successivi alla morte di Probo, l'amministrazione romana abbandonò la parte meridionale della Mauretania Tingitana. La ritirata non sembrò compromettere, in un primo momento, la vita della città, che continuò a essere occupata in tutta la sua superficie. I rapporti commerciali con il mondo mediterraneo dalle caratteristiche già precarie, si interruppero invece assai rapidamente. Numerose costruzioni databili con precisione al IV-V sec. alterano progressivamente il carattere patrizio del quartiere NO e attestano un cambiamento nella struttura sociale della città. L'evoluzione generale indica un restringimento progressivo dell'area urbana. Verso la fine del VI sec., p.es., una necropoli cristiana si è installata sulle rovine della città romana, a NO dell'arco onorario. La città in tale periodo si concentra a O, nella parte bassa più vicina allo wādī e ricopre una superficie di c.a 15 ha. Sul lato del fiume essa è priva di fortificazioni, mentre sugli altri è circondata da una cinta muraria. Quest'ultima a Ν e a S riprende il tracciato, restaurato, della cinta romana; a E un nuovo muro è costruito in contropendenza, a un livello inferiore rispetto alla necropoli. Risulta formato da due paramenti di blocchi di reimpiego, disposti grossolanamente con un riempimento intermedio di pietre e di terreno, senza che tale tecnica debba nulla ai Bizantini. Il mantenimento dell'antica tradizione dell'inumazione fuori delle mura dimostra la persistenza delle strutture municipali, a circa tre secoli dalla fine del dominio romano.
Meno di un secolo dopo l'ultima inumazione datata della necropoli, nel 685 d.C. (62 Ègira), Ὁqba ibn Nāfi’ assedia V. e nel 788 d.C. (172 Ègira), Idris, discendente di Ali e di Fatima, fuggendo di fronte agli Abbasidi, vi si stabilisce, diviene il capo della tribù degli Auraba e fa di V., ora chiamata Walila, la capitale del proprio regno. Essa ricoprì tale ruolo sino alla fondazione di Fes da parte di Idris II (808 d.C.=193 Ègira) e continuò a essere il capoluogo di un territorio berbero per lo meno sino alla fine del X secolo. L'abbandono definitivo della località, a giudicare dai ritrovamenti di ceramica islamica, si verificò intorno al XIV secolo. Alla città islamica si possono attribuire abitazioni molto rudimentali impiantate sopra e all'interno degli edifici di età romana e una necropoli nel quartiere dell'arco onorario, mentre invece non sappiamo se a essa sono pertinenti alcuni grandi recinti, di forma approssimativamente rettangolare, fatti con blocchi di reimpiego e trovati nella parte bassa della città.
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(M. Lenoir _ E. Lenoir)