VOLTA (XXXV, p. 566; App. II, 11, p. 1123)
È costante l'attualità di queste strutture bidimensionali per l'efficacia dei regimi statici che in esse si realizzano e per le elevate questioni di analisi che sollevano. All'attualità non corrisponde peraltro un'estesa applicazione, almeno per volte secondo superficie a doppia curvatura (cupole) perché si oppongono talvolta difficoltà esecutive e di ordine economico. In particolare, ove si tratti di strutture in cemento armato - quelle che consentono di realizzare la continuità nel modo migliore, o, quanto meno, più facile - incide sfavorevolmente il costo delle centine necessarie per sostenere i getti di calcestruzzo. Si tratta, per lo più (tav. f. t., fig. 1) di centine "tubolari", ottenute con triplici orditure di tubi di acciaio, di piccolo diametro (∅ = 48 ÷ 60 mm), collegati con giunti speciali, brevettati, di cui il noleggio, montaggio e immobilizzo risulta sempre costoso.
Queste centine si possono però evitare, e con esse ogni sostegno che non sia perimetrale, costruendo, per il sostegno, autentiche v. cilindriche circolari o cupole sferiche ad orditura triangolare (fig.1) in tubi di acciaio con nodi speciali, ognuno per una stella di sei tubi che non danno luogo ad eccentricità di raccordo, montate se si tratta di cupole, procedendo per anelli successivi a partite da quello di base.
Sulle maglie triangolari tubolari si stendono stuoie e su di queste le reti d'armatura di filo (∅ 3 ÷ 5 mm) d'acciaio. I getti del calcestruzzo vengono fatti a rinzaffo o a spruzzo, in pressione. Talvolta queste centine vengono incorporate nei getti stessi ripetendo, in certo senso, il sistema Melan (XXVII, p. 883). Si tratta in ogni caso di costruzioni specialissime e non risulta che tale tipo di centina sia molto diffuso. Naturalmente, l'orditura triangolare può essere autosufficiente e portare, senza concorso del calcestruzzo o altri materiali, coperture anche pesanti. Esempio di cupola del genere, in acciaio, la grande hall per esposizioni a Tokyo (1958): si tratta (tav. f. t., fig. 2) di una volta emisferica del diametro di 100 m poggiata curiosamente su un anello (tav. f. t., fig. 3) inclinato sostenuto da travi a V inclinate alla maniera dei sostegni delle torri iperboloidiche per raffreddamento. A questa contemporanea è l'assai più tranquilla cupola del Palazzetto dello sport a Roma (v. prefabbricazione, in questa App.). All'orditura triangolare si sostituisce con singolare efficacia l'orditura esagonale di cui è ben nota la presenza in natura nel mondo organico ed inorganico. Di tal tipo è una cupola di 117 m di diametro costruita per officina e servizî ferroviarî (S. U. A. 1958; v., in questo vol., tav. CVII). La fig. 2 riguarda un particolare della cupola stessa; la fig. 3 la posa in opera di pannelli in lega leggera su strutture del genere. Il sistema esagonale apre possibilità di realizzazioni di cui si ragiona nella cosiddetta architettura fantastica.
Altre difficoltà per le volte-cupole sottili provengono dalla loro scarsa coibenza termica, dalle particolari attenzioni che occorrono per evitare autotensioni di ritiro facili a verificarsi in spessori sottili con alte percentuali di armatura, quali ricorrono particolarmente nelle volte autoportanti di tipo lungo o nelle cupole molto ribassate.
Naturalmente le difficoltà accennate possono essere superate con opportuni accorgimenti: per es. ricorrendo a centine mobili (nel caso delle volte cilindriche), a centine sfilabili, smontabili, a tamburi, ecc.; agli inerti leggeri, coibenti (pomice, vermiculite) per confezionare i calcestruzzi; alla precompressione per vincere le autotensioni e per eliminare le armature metalliche. La fig. 4 (tav. f. t.) illustra grandi aree ricoperte con v. autoportanti realizzate con centine mobili reimpiegate si può dire indefinitamente.
Per piccole e medie costruzioni che pretendono un carattere in certo senso artistico, si cercano nuove forme tra gli esempî della natura, dai calici dei fiori ai gusci dei molluschi, delle diatomee, dei radiolari in particolare.
Nell'ambito di queste costruzioni con fini architettonici di avanguardia (padiglioni per esposizioni, per laboratorî scientifici, per teatri all'aperto, ecc.) si applicano anche, con lo scopo di metterli in vista, tutti i ritrovati più recenti della tecnologia dei materiali. Nelle strutture sottili genericamepte tese, possibilmente secondo superfici sviluppabili per non ricorrere ai costosi stampaggi, a meno s'intende che non si tratti di cupole sferiche, si adottano le lamiere sottili. Si fanno queste in acciaio (s = 1 ÷ 3 m/m) o in alluminio e leghe leggere quando si tratti di strutture smontabili. Ma quando la coibenza tenmica e la flessorigidezza diventano elementi dominanti, allora, a meno di non ricorrere a lamiere irrigidite formanti pannelli riquadrati,. si ricorre ai pannelli sandwich in cui si associano materiali con caratteristiche diverse: resistenza per i fogli esterni, coibenza per l'imbottitura interna. I fogli esterni possono essere anche in resine stampate a forte pressione o in materie plastiche di normali caratteristiche meccaniche. Quando si tratti di realizzare strutture trasparenti alle onde elettromegnetiche l'imbottitura si fa con resine spugnose o materiali in fibra leggera agglutinata con resine speciali ad alta elasticità: esempio notevolissimo di struttura a cupola, sferica (R = 21,00 m), costruita con 1800 elementi sandwich esagonali, di 2,90 m2 d'area ciascuno, è stato realizzato dalla Radio Corporation of America che ospita una grande antenna di radiolocalizzazione. I pannelli possono anche esser privi di fogli resistenti esterni quando il materiale di imbottitura è resistente per suo conto oltre ad avere i pregi della coibenza e leggerezza. È il caso delle schiume solidificate di alluminio o leghe derivate, o anche di cemento (per es. la cellulite) confezionate alla maniera delle ordinarie schiume naturali, secondo particolari procedimenti.
Un accorgimento per derivare, su modello, forme di cupole può anche essere quello di soffiare, dal basso verso l'alto, su veli fissati in corrispondenza ai vincoli di progetto, e nel rilevarne le forme assunte con vari mezzi (per es. con fotografia stereoscopica). È chiaro che alla pressione aerodinamica del soffio verso l'alto ed al corrispondente stato di trazione del velo, si vuol far corrispondere, più o meno approssimativamente, il carico permanente o, meglio, quello accidentale agente naturalmente verso il basso.
Esempio grandioso (1958) dovuto a N. Esquillan, di derivazione di forme per soffiatura, almeno nell'aspetto, è costituito dalla grande volta a fazzoletto, fissato ai vertici di un triangolo equilatero di lati L = 225 m, del Palazzo del CNIT a Parigi (v. cemento armato in questa App., p. 347 e tav. f. t. XCIII = fig.1). Analoga costruzione, su un triangolo equilatero di lati L = 130 m è stata fatta a Torino per il "Palazzo delle Mostre" di "Italia 61". Va osservato che il funzionamento bidimensionale come v. è qui limitato al solo mantenimento della centinatura dei tre grandi semiarchi a ventaglio che spiccano dai tre vertici del triangolo di base per convergere al centro.
La struttura a cassone cellulare di tali archi ha una grandissima flesso- e torsiorigidezza giustificata forse dalle preoccupazioni, che sempre si destano (e si placano talvolta con appesantimenti sfavorevoli) sulle grandi luci, intorno alla stabilità dell'equilibrio. Tutte e due le costruzioni accennate sono in cemento armato ordinario e precompresso e richiesero straordinario impegno. Nessun dubbio che la carpenteria metallica avrebbe risolto più economicamente e semplicemente, se non in modo altrettanto duraturo, la costruzione di queste opere imponenti ma artisticamente forse non secolarmente stabili.
Ricordiamo infine che la soffiatura fu adoperata, nel dopoguerra, per gonfiare parti di palloni aerostatici fissate ad un bordo chiuso, determinato, per servirsi della tela tesa come centina su cui gettare in pressione v. sottili.
Sia come si vuole, tutto ciò non basta per impedire, almeno nell'ambito delle costruzioni industriali, il sopravanzare imperioso delle strutture metalliche, sempre più leggere ed ardite, nelle quali l'orditura che generalmente si sostituisce alla superficie è bidimensionale più a titolo di controventamento che non per ragione statica specifica anche se, proprio all'epoca eroica (fine Ottocento) delle costruzioni in ferro, risalgano le v. a botte, autoportanti, e le grandi cupole cui è legato, sopra a tutti gli altri, il nome di A. Schwedler.
Quali estremi si tocchino passando dalle coperture a volte in cemento armato a quelle in ferro, indicano chiaramente le figg. 5 e 6 della tav. f. t. Illustra la 5 una navata della grande officina (1938) Montaggio-Torri per navi da battaglia dell'Ansaldo; la 6 le Officine siderurgiche della Innocenti a Milano.
Si considerano anche frequentemente volte in profilati sottili, con andatura diagonale, tirati a freddo da nastri di lamiera, con struttura tipicamente bidimensionale. Ma l'effetto di autoportanza viene dimenticato facilmente. Mancano infatti i timpani occorrenti, con intervallo presso a poco eguale alla luce della v.; la direttrice è circolare, con piccola apertura, e mancano le travi pareti di bordo necessarie per conseguire una direttrice con le tangenti verticali agli estremi quali occorrono per dar luogo all'autoportanza. Ma a parte recenti evoluzioni di questo tipo di v., merita rilevare lo spunto che proprio da questa è stato tratto per costruire v., veramente autoportanti, ad es. per hangar d'aviazione, con elementi prefabbricati, in cemento armato, che risultano relativamente leggeri, perfetti.
Portando agli estremi questa tecnica P. L. Nervi ha raggiunto risultati salienti quanto mai, se non dal punto di vista economico, certamente da quello tecnico ed artistico, per es. in alcuni tipi di hangar (v. in App. II,1, p. 1178) e principalmente nella grandiosa cupola (1960) del nuovo Palazzo dello Sport all'EUR in Roma (v. in questa App., tav. XCIII). Una cupola di diametro anche maggiore, assai meno suggestiva, ma che ha il pregio principale dell'economia è quella delle figg. 4 e 5, ottenuta a guisa di una ruota a raggi, costituiti da cavi trifilari di acciaio armonico ancorati nell'anello perimetrale: è il padiglione S. U. A. all'Expo di Bruxelles (1958) di cui si va a ripetere il tipo per il costruendo Palazzo dello Sport a Genova.
Ritornando alle costruzioni metalliche, non si può non rilevare però che, quando si considera preminente la lamiera saldata ed i profilati assumono la funzione di nervature di irrigidimento, allora i regimi statici bidimensionali trovano applicazioni notevolissime. Senza entrare in merito alle realizzazioni nelle costruzioni navali ed aeronautiche, restando nell'ambito delle costruzioni civili cue offrono gli esempî più vistosi, vanno segnalati i cosiddetti serbatoi ad uniforme resistenza o a goccia. In questi la lamiera di spessore sottile, costante, ha le stesse funzioni che ha la tensione capillare quando tiene insieme una goccia di un liquido poggiata su un piano orizzontale. Sono stati costruiti serbatoi di questo tipo da 12.700 m3 a Longview nel Texas.
A questo punto occorre appena notare che, sin qui, è solo su v. e cupole secondo superficie a curvatura gaussiana positiva che si è fissata l'attenzione. Ma non potevano non esser considerate, nella ricerca instancabile di nuove forme, le superfici a curvatura negativa.
Senza insistere su certe coperture, nell'aspetto non sempre molto felici, di aree anche vastissime, divise però in comparti o riquadri, che rinserrano ognuno una falda iperboloidica, con sostegni intermedî, conviene soffermare l'attenzione su quegli iperboloidi ad una falda in cemento armato, generalmente in parete sottile, che costituiscono le torri di raffreddamento delle centrali termiche quando mancano grandi risorse di acqua per raffreddamento. Esempio notevole la torre di raffreddamento (tav. f. t., fig. 7) per la centrale di Carling (Francia).
Altro ambito di applicazioni delle cupole si ha passando ai relativamente grandi spessori delle dighe di sbarramento per laghi artificiali. Per queste, ai manti cilindrici delle prime applicazioni, si sostituiscono manti a doppia curvatura secondo superficie di rotazione, quando è possibile, o secondo superficie più complicate, ad apertura costante per un bordo di imposta qualunque, cosiddette di A. Jorgsen, dal nome del costruttore che primo le applicò con notevoli vantaggi trattandole però come un insieme di archi sovrapposti indipendenti. I quali sono dunque tutti archi circolari di eguale apertura, quindi a raggio variabile a seconda della forma della valle. Il calcolo di queste dighe secondo superfici siffatte, che potrebbero chiamarsi cerchiate, a volerle trattare per quel che sono, è estremamente difficile e non sempre vien condotto con il dovuto rispetto alla uniforme precisione del calcolo stesso. Così, ad es., riducendosi ad un orditura discreta di archi-mensole se ne stabilisce la congruenza nodo per nodo non solo con riguardo agli spostamenti (traslazioni) radiali, ma a quelli rigidi generali addirittura. Derivano in tal guisa, assai facilmente, sistemi di cento e più equazioni (algebriche, lineari) che, per l'avvento delle macchine elettroniche, non destano più preoccupazioni quanto alla loro risoluzione, ferme restando naturalmente le difficoltà di determinazione dei coefficienti. Non sempre questo calcolo è informato alla precisione, tipica dei calcoli classici per soli archi, secondo la nozione di ellisse di elasticità a cominciare da quella dei conci in cui l'arco si può pensare suddiviso e che ammettono, del resto, la considerazione della continuità lungo i meridiani in una eventuale approssimazione successiva.
Per le dighe ad archi multipli, dopo le applicazioni a v. verticali, discusse soprattutto per il loro poco peso, si sono considerate le v. multiple inclinate, quindi appesantite dal peso dell'acqua o, se si vuole, orientanti la pressione verso il basso anziché orizzontalmente. Anche queste volte inclinate hanno però un gioco statico non sempre del tutto opportuno per una certa componente, concomitante con la spinta idrostatica, che dà il peso della volta adagiata sul piano inclinato del contrafforte, con il quale per varie ragioni conviene non renderla solidale. Così sono sorte le dighe a cupole multiple con doppia curvatura di A. Noetzli, studiate in modo da annullare quella tale componente, ed infine le dighe a v. secondo superfici di traslazione proposte da F. Dyschinger, in cui quella componente la si lascia esistere mandandola però per il giusto verso. La fig. 6 illustra i tre tipi a), b), c) di diga a v. o cupole multiple qui accennati; vanno annoverate, per il tipo a), la diga di Ossolato e quella di Pavana (Italia), per il tipo b) la diga di Coolidge (S. U. A.) costituita da tre cupole alte 76 m, impostate su contrafforti distanziati di 55 m; per il tipo c) lo sbarramento del lago La Girotte (Francia).
In merito alle applicazioni dell'analisi offerte dallo studio statico delle volte-cupole in generale, seguono alcuni esempî significativi scelti fra i più attuali.
1. Metodo generale di calcolo. - Nell'indirizzo moderno per quanto riguarda il calcolo degli sforzi superficiali T1, S, T2, si cerca di estendere ai veli flessibili inestensibili, configurati secondo una superficie qualunque la teoria della membrana piana, flessibile, inestensibile, tesa al contorno. Per questa, con riferimento allo spostamento trasversale w, l'equazione in coordinate cartesiane x, y nel suo piano è, se H è la tensione per unità di lunghezza, p = p(x, y) il carico distribuito, agente secondo w.
L'integrazione della [1] riporta allo studio della classica equazione di Laplace, l'equazione del potenziale newtoniano,
prototipo delle equazioni di tipo ellittico. Si comincia dalla ricerca di una soluzione w(xy, x′y′) che esprima la deformata w runzione dei punti P = P(x, y) prodotta da un carico concentrato Q = 1 in P′ = P′ (x′, y′). Tale soluzione, che si indica con G, dal nome di Green che per primo la introdusse in un problema di elettrostatica. è del tipo
r = r(P, P′) designando la distanza tra i punti P e P′. Essa è singolare per P → P′ come log r; g(P, P′) invece è regolare in tutto il campo. soddisfa come log r alla [2] e va calcolata così che G soddisfi alle condizioni al contorno: ad es., se questo è fisso, che G sia nulla per ogni P sul contorno e per ogni P′ interno al campo. La parte singolare di G dicesi soluzione fondamentale. Nota la funzione G = G(P, P′), funzione di influenza o di Green, le soluzioni della [1] si calcolano con una quadratura. Si ha infatti, anche intuitivamente, pensando nel generico punto P′ applicato il carico p(P′)dw(P′) sull'elemento d'area dw(P′), in luogo del carico puntuale unitario Q′. sommando il contributo di tutti i punti P′ del dominio Ω che si considera,
Ciò posto, per una membrana secondo una superficie generica Σ, data con riferimento alle corrispondenti linee di curvatura q1 = cost., q2 = cost., dal suo ds2, più precisamente dalla sua 1a forma quadratica fondamentale,
se T1, S, T2 sono le componenti dello sforzo interno, Q1, Q2, Qn le componenti della sollecitazione esterna riferite al triedro formato dalle tangenti t1, t2 alle linee coordinate q1, q2 ed alla normale n in P, valgono le classiche equazioni del Love, quelle da cui prende le mosse qualsiasi questione di statica o dinamica dei veli, precisamente le
R1, R2 essendo i raggi principali di curvatura di Σ.
Il caso omogeneo. per la sollecitazione esterna nulla. implica che sia
quindi che si possa porre in funzione di una sola funzione incognita N.
con che le [4] si riducono allora a due equazioni sole in N ed S. Queste sono riconducibili ad aspetti classici estremamente sintetici. siano U, V; Φ, Ψ funzioni a priori incognite di q1, q2 e si ponga
Si constata materialmente che, ove si possa porre
cioè se
ed è quindi > 0 la curvatura gaussiana
allora U e V soddisfano alle equazioni
o, separando U da V, alle equazioni, prototipo del tipo ellittico,
analoghe alla [2].
Quindi. quando valgono le [6a], [7]. il problema statico della superficie a curvatura K > 0 si riporta nell'ambito della teoria delle funzioni, in particolare, nell'ambito del metodo di Green.
Quando iuvece si può porre
cioè se
ed è quindi K
0, allora si ha
o, separando U da V,
con
tipico operatore differenziale dell'equazione delle onde, prototipo dell'equazione di tipo iperbolico. Da qui segue un essenziale diverso comportamento delle superfici a curvatura positiva da quelle a curvatura negativa. Questo comportamento appare alla luce della nozione di linee caratteristiche delle [8], [8]*, cioè di quella doppia famiglia di linee nel dominio, nel caso specifico bidimensionale, lungo le quali, dai dati
non si possono calcolare le derivate seconde, sicché non si hanno soluzioni, 0, ove si abbiano, sono indeterminate. Queste linee sono complesse per il tipo ellittico, reali per quello iperbolico.
Superfici che consentono di soddisfare alle [6], [6a] costituiscono una classe, con ds2 di Liouville. del tipo cioè
q1 = cost., q2 = cost. essendo linee di curvatura. Si rilevi che, dato un ds2 generico, si posseggono criterî, dovuti a G. Ricci-Curbastro, per decidere, senza integrazione, la sua riducibilità alla forma di Liouville e quindi, nell'ambito di determinate condizioni, l'applicabilità del metodo di Cauchy-Riemann.
Superfici di Liouville sono le superfici di rotazione, le superfici di secondo grado o quadriche.
L'ellissoide. l'iperboloide a due falde, il paraboloide ellittico hanno curvatura > 0 e per volte configurate secondo queste le superfici valgono le [6], [6a], [8], con che si estende ad esse la teoria della membrana piana per l'iperboloide ad una falda. per il paraboloide ellittico valgono le [8]* e quindi i criterî della teoria delle onde. Ma ben diverse sono le possibilità delle [8] di fronte alle [8]* di concedere soluzioni soddisfacenti alle condizioni al contorno e, com'è ovvio, atteso il carattere immaginario o rispettivamente reale delle linee caratteristiche sulla superficie, ben diverso è il comportamento statico globale e locale della membrana a seconda che la sua curvatura è > 0 o 〈 0 come si vedrà al n. 2.
2. Metodi di integrazione ordinarî per le [4,1]. - Le equazioni generali [4,1], che di per sé sono riferite a una superficie qualunque, particolarizzate, ad esempio per la sfera, si riducono a forma accessibile alla integrazione diretta anche in caso di vincoli molto complessi. Merita tra questi rilievo quello della calotta sferica. di apertura data 2ψ0 〈 π vincolata da contrafforti, tangenti ai meridiani e costituenti un velo continuo su N tratti ciascuno di apertura angolare 2ε (2Nε 〈 2π), tutti egualmente intervallati.
Nei tratti esterni ai detti intervalli 2ε il bordo della cupola sia libero; non si hanno quindi i cordoli, anelli o tamburi tipici dei sostegni delle cupole usuali.
La ricerca del regime statico in simili condizioni di vincolo per una distribuzione di carico qualunque, salvo ad esser assialsimmetrica. si risolve nei termini seguenti. si determina il regime statico (funzione della sola colatitudine ψ) T1(1), S(1) = 0, T2(1) corrispondente al carico simnmetrico che si considera, ma con riguardo all'appoggio ordinario, continuo, costituito quindi da un velo continuo di contrafforti su tutto il bordo ψ = ψ0 oppure da un equivalente anello di chiusura appoggiato sul tamburo di base. Un tale regime (1a fase di calcolo, donde l'esponente [1]) è noto per le più usuali distribuzioni simmetriche di carico. Se i veli di contrafforti sono ridotti sui soli N tratti, d'apertura 2ε, si genera un regime T1, S, T2 diverso dal precedente. Esso dovrà esser tale che risulti in ogni intervallo esterno ai 2ε, T1(ψ0,ϕ) = 0 e, possibilmente, S1(ψ0,ϕ) = 0. Per trovarlo non resta che sovrapporre (2a fase di calcolo) a T1(I), S1(I) = 0, T2(I) un regime T2(I), S(2), T2(2) (funzione oltreché della ψ anche di ϕ) corrispondente a carichi nulli sulla superficie, quindi soluzione del sistema generale [4,1] omogeneo, tale che sia in ψ = ψ0, T(I) + T(2) = 0. S(2) = 0 esternamente ad ogni 2ε. Ovviamente. T1(2), S(2), T2(2) corrisponde ad un carico, costante a tratti, applicato al bordo ψ = ψ0, tangente ai meridiani, p = T1(2)(ψ0, ϕ) = − T1(1)(ψ0), esternamente ai 2ε; e invece
ad essi internamente. Una tale distribuzione è funzione periodica di periodo 2π/N rispetto alla longitudine ϕ; essa ammette lo sviluppo in serie di Fourier. Ad es., per N = 4, come in fig. 7, è
Per trovare T1(2), S(2), T2(2), in tutto il campo 0 ≤ ψ ≤ ψ0,0 ≤ ϕ ≤ 2π, non resta che riferirsi alle equazioni generali [4,1] per il ds2 della sfera. quindi. se q1 = ψ, q2 = ϕ, per A = R2, B = 0, C = R2 sin2ψ. Tali equazioni che risultano alle derivate parziali in T = T1 = T2, S o, più specificatamente. in T1(2) = T2(2) = T(2), S(2), consentono la separazione delle variabili. Infatti, ponendo
si ottengono per ogm mtero n due equazioni alle derivate ordinarie rispetto alla sola ψ, di cui si sa scrivere la soluzione generale. Si ha precisamente. se C1n, C2n indicano costanti arbitrarie,
Poiché in ψ = o la soluzione deve esser regolare, dovranno annullarsi tutte le C1n, coefficienti di cotgnψ/2, e l'equaglianza in ψ = ψ0 degli sviluppi [1] e [2] porge l'equazione
Naturalmente, per salvare la regolarità, non si riesce a soddisfare la condizione S(2)(ψo,ϕ) = 0 né del resto si ottiene molto evitando la singolarità al polo ψ = 0 (ciò che può conseguirsi, ad es., aprendo un lucernario e rimettendo nel gioco le C1n), giacché occorre allora soddisfare le condizioni del bordo libero sull'orlo del lucernario stesso.
Il fatto che non risulti S(1)(ψ0, ϕ) = 0 non preoccupa molto in statica delle volte, giacché si pensa introdotto. e si introduce infatti, come per le volte autoportanti lungo le generatrici di bordo, un elemento tirante tale da assorbire l'integrale del taglio S = S(2) sul bordo ψ = ψ0, soggetto a una tensione
la longitudine ϕ essendo contata dal mezzo di un intervallo generico 2ε dove S(2) si annulla.
Si rilevi che, se 2ε → 0. lo sviluppo [1] diviene
Questo, pur non essendo convergente, può ancora impiegarsi per il calcolo delle C2n, corrispondenti nel caso specifico ai 4 contrafforti discreti.
La fig. 8 illustra le linee isostatiche calcolate con le [3] proprio per una cupola con N = 4 contrafforti e mette in evidenza la possibilità di soluzioni nei casi più disparati di vincolo.
Se, in luogo di una sfera, superficie con curvatura gaussiana > 0, si fosse considerato l'iperboloide ad una falda, di una torre di raffreddamento ad es., allora, agli appoggi-contrafforti puntuali non corrisponde più la diffusione degli sforzi con l'interessamento totale della superficie, così manifesta in fig. 8. Lo sforzo puntuale trasmette direttamente (fig. 9a) la sua componente nel piano tangente lungo le due linee caratteristiche passanti per il suo punto di applicazione, linee che si identificano con le generatrici della superficie stessa. Circostanza sintomatica questa che, non solo mette in dubbio la possibilità di soluzioni estensionali pure per i carichi puntuali, per la discontinuità delle sollecitazioni che ingenera una tale propagazione diretta lungo le linee caratteristiche, ma pone anche una limitazione all'arbitrarietà dei dati, sia pure continui anziché puntuali, ai bordi inferiore e superiore, e ciò per l'ovvia interdipendenza che si stabilisce tra punti e punti degli stessi bordi attraverso le linee caratteristiche che li uniscono. In realtà, peraltro, le cose non vanno così difficilmente, poiché interviene sempre una soluzione flesso-tensionale ad attenuare, si potrebbe dire, gli spigoli delle soluzioni estensionali o a membrana.
Quanto alla componente Z dei carichi secondo la normale alla superficie, questa non genera (fig. 9 b) sforzi T1, T2 secondo le generatrici, l'equilibrio essendo assicurato solamente dalla variazione angolare degli sforzi di taglio S12 sui lati opposti dell'elemento superficiale generico, corrispondenti a due generatrici prossime; alla stessa maniera, si potrebbe dire, come gli sforzi T1, T2 in una superficie a curvatura > 0 fronteggiano la pressione (Z ≠ o) esterna.
3. Carichi non assialsimmetrici. - si consideri il problema non omogeneo in cui si ha una condizione di carico superficiale, armonico rispetto alla longitudine ϕ.
con Xn,Yn, Zn funzioni della colatitudine ψ, ed n intero. Si tratta di una distribuzione non assialsimmetrica, ma, atteso l'orientamento di X, Y, Z, simmetrica rispetto a ϕ = 0, antisimmetrica rispetto a ϕ = π/2.
Si ammettano per T1, S, T2 espressioni a variabili ϕ, ψ separate, sincrone rispetto a ϕ, come
con T1n, Sn, T2n funzioni incognite di ψ.
Le [4,1], dovendo essere identicamente soddisfatte per ogni valore di ϕ, conducono ad equazioni in ψ, delle quali, due, differenziali lineari a derivate ordinarie con coefficienti variabili, una in termini finiti, che lega T1n, T2n a Zn. Queste equazioni, per il caso della sfera (R1 = R2 = R cost.) si lasciano integrare in termini finiti senza difficoltà. Si ha, introducendo le funzioni U1n, U2n di ψ in appresso definite
C1, C2 essendo costanti arbitrarie di integrazione. La determinazione di queste costanti va fatta, se riesce, imponendo la regolarità della soluzione al polo ψ = 0; ma poiché per C1, C2 generiche le U diventano, ad es. per X = Y = 0, Z = po sin ψ cos ϕ infinite (come 1/sin3 ψ), si ha un numero di equazioni (precisamente 6) superiore a quello delle incognite costanti. Comunque, nel caso specifico, queste equazioni non risultano tra loro incompatibili.
Il criterio generale da seguire sta però, come osserva W. Flügge, nell'asportare una calotta a contorno circolare di raggio ε = R sin ψ???, con centro nel polo, e scriverne le condizioni dell'equilibrio rigido per ψ??? → 0. Attesa la simmetria dei carichi rispetto a ϕ = 0 e l'antisimmetria rispetto a ϕ = π/2. basta considerare soltanto due condizioni di equilibrio: alla traslazione secondo ϕ = 0, alla rotazione attorno a ϕ = π/2. Tali condizioni, omettendo di esprimere il contributo dei carichi superficiali Xn, Yn, Zn di 2° ordine in ε, si scrivono
Per il caso classico della pressione del vento sulla parte di superficie investita e di depressione sulla parte sottovento, le componenti armoniche si riducono alle già considerate
Si trova, tanto con il criterio della regolarità quanto con il criterio ora indicato,
e si hanno, per la cupola sferica con la condizione di carico [4], in conformità con le [1], [2], le importanti espressioni di T1, S, T2:
Manifestamente T1 si annulla all'equatore poiché il risultante di Z passa per il centro della sfera ed è orizzontale. Il taglio S fronteggia questo risultante: è nullo in ϕ = 0, ϕ = π, massimo in ϕ = π/2, ϕ = 3π/2.
Per una condizione di carico generica, ma simmetrica rispetto a ϕ = 0, se ne considererà lo sviluppo
e per ogni componente si valuteranno T1n, Sn, T2n per comporre alla Fourier gli sforzi complessivi,
Osservazione. - È importante rilevare che in molti casi l'integrazione delle equazioni in T1n, S, T2n non è necessaria per il calcolo di questi sforzi potendosi arrivare per ogni valore ψ??? di ψ ai valori di T1u, Sn, T2n in base alle sole equazioni cardinali della statica, esprimendo cioè l'equilibrio tra le forze esterne per ψ 〈 ψ??? e le forze interne (sul parallelo ψ???, considerato sezione della cupola) rispetto agli assi neutri automaticamente precisati con le posizioni [2].
In base a questa osservazione, che va però applicata con molta cautela ed accorgimenti varî appena è n > 1, F. Dischinger ha tratto conclusioni di grande interesse, considerando per il cilindro, cono e semisfera, l'azione del vento secondo la legge del seno
ora trattata, e quella secondo la legge del senquadrato,
il segno − valendo per 90° ≤ ϕ ≤ 270°, ϕ = 0 essendo diretto contro vento.
La [9] dà evidentemente, per superfici piane investite dal vento, pressioni inferiori alla [8], tanto che le prescrizioni regolamentari si riferiscono sempre a quest'ultima. Non è così invece, agli effetti statici, per una superficie di rotazione.
Va osservato che la [9] dà una depressione per 90° ≤ ϕ ≤ 270° più o meno riscontrabile nella realtà, ma comunque attenuabile quanto si vuole sovrapponendo una opportuna distribuzione radialsimmetrica funzine della sola ψ.
La [9] si può esprimere con una determinazione sola. che evita il cambio del segno, nella forma approssimata
Orbene, è proprio il termine con cos 3ϕ che porta a conclusioni a prima vista insospettate: per cupole semisferiche con ψ0 〈 40° le sollecitazioni possono diventare anche triple di quelle corrispondenti alla legge l8l. Ciò deriva dalla seguente osservazione. Ponendo per un generico parallelo ψ = ψ???, T1 = T1 cis ϕ, S1 = S1 sin ϕ, T2 = T2 sin ϕ, con riguardo ad una coordinata x = r (1 − cos ϕ) misurata lungo un diametro, risulta ovviamente una distribuzione lineare in x degli sforzi e un asse neutro passante per il centro. La cupola funziona a mensola, e come tale resiste con tutta la sua sezione, sottile quanto si vuole, ma globalmente estesa quanto è esteso il parallelo che si considera. Però, ove si abbiano variazioni con cos 3ϕ, cos 5ϕ, sin nϕ (n dispari) gli assi neutri aumentano: se ne hanno 9 per n = 3, 25 per n = 5, n2 per n generico. Per il cilindro circolare, si ha
Appare dalla fig. 10, in modo espressivo, il formarsi dei triplici assi neutri per la presenza della 3a armonica conseguente alla legge [9]′ e l'aumento dei valori massimi di T1, S, T2 rispetto a quelli della 1a armonica secondo la [8].
4. Sforzi in membrane affini. - Merita rilevare un criterio di straordinaria efficacia, si può dire solo recentemente messo a punto, per il calcolo degli sforzi in una membrana, noti gli sforzi in un'altra, dalla quale la prima sia stata dedotta per trasformazione affine.
Sia data dunque una membrana base Σ* riferita ad assi cartesiani x*, y*, z* e su di questa siano contate coordinate curvilinee q1*, q2*, corrispondenti, ad es., alle linee di intersezione di Σ* con i piani x* = cost., y* = cost. Sulla membrana, debitamente vincolata, agiscano forze superficiali X*, Y*, Z*, riferite, per convenzione ormai consueta, non agli assi x, y, z ma al triedro mobile, con origine in un punto generico P* di Σ*, di cui gli assi si identificano con le tangenti t1*, t2* alle linee coordinate q1* q2* passanti per P* e con la normale n* a Σ* spiccata da P* verso l'interno.
Con riferimento alle q1*, q2* di Σ* sia data la 1a forma quadratica fondam ental e
A*, B*, C*, essendo funzioni delle q*. Siano poi ds1*, ds2* le determinazioni di ds* per dq1* ≠ o, dq2* ≠ 0 e rispettivamente per dq1* = 0, dq2* ≠ 0:
e sia dA* l'elemento d'area
con
essendo ω* l'angolo formato da t1* con t22*. Se le coordinate sono ortogonali. B* = 0 e
Siano infine T1*, S*, T2* gli sforzi di tensione in P* di Σ*.
Ciò posto, si consideri la trasformazione affine in nuove coordinate x, y, z
con λ1, λ2, λ3 fattori costanti.
Si genera da Σ* una Σ trasformata affine (ad es. da una Σ* sferica una Σ ellissoidica a tre assi) di cui si indicano con q1, q2; A, B, C; ds, ds1, ds2; X, Y, Z; P; t1, t2, n; dA; T1, S, T2, tutti gli elementi geometrici e statici corrispondenti agli elementi dianzi indicati con simboli asteriscati per Σ*.
Orbene, si dimostra, ed a posteriori si riconosce intuitivamente la legittimità di quanto si afferma, che se le forze X, Y, Z (per unità di superficie) agenti su Σ sono legate alle X*, Y*, Z* dalle relazioni
gli sforzi T1, S, T2 di Σ sono ricavabili da quelli di Σ* con le trasformazion i
Queste fondamentali relazioni [6] portano a riconoscere notevoli circostanze di fatto e possibilità di calcolo insperate. Appare innanzitutto:
1) l'invarianza dello sforzo di taglio S di fronte alle [4] e [5];
2) la possibilità di calcolare direttamente con sole operazioni di derivazione gli sforzi in Σ da quelli, noti, di Σ* purché su Σ si consideri una distribuzione di carico, generalmente di pesi, secondo la [5]. Questo significa, ad es., che gli sforzi dovuti al peso proprio, in una cupola ellissoidica a tre assi, possono dedursi da quelli notissimi, pure dovuti al peso proprio, in una cupola sferica, purché il peso g per unità di superficie varî con la legge [5]. Ciò significa che, se g deriva dal solo spessore h* della mediana di Σ*, h di Σ, sarà, per λ2 = λ3, h = λ3h*dA*/dA.
Può sembrare che ciò sia difficilmente realizzabile e comporti dispendî inutili; non è così però, poiché si tratta di variazioni di spessore che risultano sensibili appena nell'intorno dell'equatore e poiché tali cupole si ottengono trasformando la sola x* (ponendo quindi λ2 = λ3 = 1), soltanto nell'intorno di detto asse x*. Per λ1 = 2 (corrispondente ad una forte deformazione), si ha nel caso sfera-ellissoide, hmed = 1,20h*, per h* = cost.
Una legge adeguata di variazione dei carichi, passando da Σ* su Σ, appare, tra l'altro, necessaria per giustificare l'invarianza del taglio S rispetto alla [4]. Per carichi assialsimmetrici sulla sfera ed in genere su ogni superficie di rivoluzione risulta sempre S = 0. non così invece per superfici prive di assialsimmetria, quali si ottengono ad es. da una superficie di rivoluzione con una generica trasformazione affine. Poiché per l'invarianza di S* rispetto alle [4], invariante è naturalmente il suo annullarsi, è chiaro che la [4] deve operare indirettamente anche sui carichi (nel modo precisato dalla [5]). Si rilevi ancora che l'annullarsi di S, per cupole non configurate secondo superficie di rivoluzione, torna molto utile giacché per queste l'anello non circolare di chiusura alla base risulta (se S = 0) sollecitato solo assialmente; la presenza di sforzi S ≠ o indurrebbe evidentemente sforzi di flessione che generalmente sono notevoli.
3) Poiché nel caso di una Σ* secondo una superficie di rotazione, gli sforzi. T1*, S*, T2* si sanno calcolare anche per carichi variabili con leggi I 2 difficili, ed anche ove non abbiano simmetria assiale, si presenta la possibilità di non doversi fissare su una distribuzione X, Y, Z calcolata secondo le [5] da una particolare X*, Y*, Z*, ma di assegnare le X, Y, Z a priori per calcolare poi con le [5] le X*, Y*, Z*, se Σ* ha la virtù, rispetto alla Σ, di rendere accessibile il calcolo degli sforzi T1*, S*, T2* in generale.
5. Flessorigidezza ed estendibilità delle lastre curve. - Sin qui le volte-cupole sono state considerate veli o membrane, flessibili, inestendibili, soggette a forze superficiali e le [4,1] hanno espresso, con riguardo a particolari condizioni al contorno. l'equilibrio tra dette forze e gli sforzi interni T1, S, T2.
Nella realtà però i veli sono soltanto una schematizzazione di superfici materiali continue, le cosiddette lastre. Queste sono sottili e quindi flessibili, ma non assolutamente, in quanto, poichè hanno, inevitabilmente, un certo spessore, sono dotate di flessorigidezza e non sono in ogni caso del tutto inestendibili. Si dà la circostanza che spesso occorra tener conto sia della flessorigidezza sia della estendibilità dei veli-lastre, non per meglio approssimare le soluzioni estensionali pure, ma per salvarle o quanto meno completarle. E ciò nel senso che quelle soluzioni vanno intese come soluzioni particolari di un sistema di equazioni, assai più complesso del sistema [4,1], che involge, oltre agli sforzi T1, S, T2, momenti e taglio (secondo la normale) agenti su l'elemento di superficie con spessore finito. Trattandosi di soluzioni particolari, è chiaro che. in molti casi, esse non riescono a soddisfare, almeno sufficientemente per la pratica, alle condizioni ai bordi della superficie di cui si tratta. Occorre allora sovrapporre alla soluzione particolare una soluzione del sistema omogeneo completo cui si è alluso, tale da portare al rispetto di quelle condizioni.
In merito a queste equazioni generali, qui si può dire appena che esse involgono, oltre le tre componenti T1, S, T2, ulteriori otto componenti (fig. 11) caratterizzanti le forze interne agenti sull'elemento di volta: 4 componenti estensionali T1, S12, S21, T2 (non si può ammettere a priori che sia S12 = S21 = S, 4 momenti G1, G2, H12, H21; due componenti Q1, Q2 del taglio nel piano normale. Le equazioni dell'equilibrio rigido per l'elemento sono però soltanto 6: tre per la traslazione, tre per la rotazione, e ciò in conformità ai 6 gradi di libertà dell'elemento stesso. Il protblema appare quindi staticamente indeterminato. Per risolverlo occorre introdurre il legame tra sforzi T1, T2, ..., Q1, Q2 e deformazioni estensionali e1, e12, e2 e curvature flessionali x1, x12, x2 della superficie. Che le estensioni, espresse con le derivate prime degli spostamenti u, v, w della superficie mediana Σ della lastra, siano legate a T1, S12, S21, T2 dalla legge d'elasticità, appare immediato; che le curvature x siano legate ai momenti, si intuisce attraverso quell'estensione della nozione di conservazione delle sezioni piane, che è in certo senso costituita dalla ipotesi di Kirchhoff, secondo cui le normali alla superficie Σ indeformata, pensate materializzate (con spilli ad es.), rimangono normali per la sua deformata Σ* quando si tratta di una piastra piana.
Esprimendo tali legami sforzi-deformazioni e momenti-curvature, si è indotti a porre S12 = S21, H12 = H21 ed a mettere nel gioco statico 10 − 2 = 8 incognite componenti dello sforzo oltre alle tre componenti u, v, w dello spostamento con le quali si esprimono le e e le x.
Si hanno così undici incognite e 6 equazioni dell'equilibrio rigido, più 6 legami d'elasticità: complessivamente 12 equazioni che in realtà si riducono ad 11, cioè al numero delle incognite, giacché una si riduce a una identità.
L'integrazione di queste equazioni, più o meno semplificate, costituisce il problema dei problemi della teoria delle volte-cupole, ed è chiaro ch'esso si riporta in ultima analisi alla scrittura di equazioni in u, v, w, le condizioni al contorno potendosi esprimere per tramite di u, v, w e derivate successive.
L'esempio più semplice per illustrare queste generalità è offerto da un involucro cilindrico timpanato agli estremi soggetto a pressione radialsimmetrica sul manto. Sia R il raggio, h lo spessore, E il modulo d'elasticità,
la flesso- e tensiorigidezza. Le coordinate più ovvie sul cilindro circolare sono naturalmente le cilindriche y, ϕ. La y è contata lungo una generatrice e ϕ è una coordinata angolare: Attesa la radialsimmetria, resta in considerazione la sola y.
Poiché le forze agenti si riducono alla pressione p(>0 rivolta verso l'interno), si ha secondo le convenzioni, X = 0, Y = 0, Z = p (se la pressione fosse rivolta verso l'esterno sarebbe Z = − p). Le equazioni generali dell'equilibrio per l'elemento superficiale (in spessore) si riducono a due.
La prima è ricavabile direttamente esprimendo l'equilibrio alla traslazione secondo w ed è, con riguardo alla fig. 11, particolarizzata per il caso specifico,
La seconda, con riferimento all'equilibrio alla rotazione nel piano radiale, risulta
Le condizioni d'elasticità sono in questo caso quelle elementari della flessione di una trave e tensione di un anello, sicché la curvatura flessionale x1, e rispettivamente la deformazione e, si riducono alle componenti
dalle quali si ha
Nell'espressione di G1 manca l'ordinario segno − che interviene per la trave inflessa, giacché, secondo le convenzioni in questo ambito di questioni, G1 > 0 porta la convessità in senso opposto a w > 0. Dalle [1]-[4] si ha immediatamente, riducendosi alla sola w (dalla quale si calcola poi G1, T2 con le [3], [4]), l'equazione del 4° ordine
Sia p = − p0, costante rispetto a ϕ e ad y: è il caso di un tubo timpanato con pressione interna. Si ha la soluzione particolare di [5],
e, per la seconda delle [4], questa coincide proprio con la soluzione offerta dalle equazioni dei veli,
Ora si vede subito che la w(1) non soddisfa alle condizioni agli estremi x = 0, x = l. Queste, per timpani sufficientemente rigidi, sono w(0) = w(l) = 0 e, a seconda che si considera l'incastro o lo snodo, è w′(0) = w′(l) = 0, rispettivamente w″(0) = w″(l) = 0. Per soddisfarle non resta che sovrapporre, come si è detto, alla w(1) una soluzione w(2) dell'equazione omogenea
tale che sia in x = 0, x = l: w(1) + w(2) = 0 e (w(1) + w(2))′ = 0, rispettivamente (w(I) + w(2))″ = 0. Nel caso specifico è w(I)(0) = w(1)(l) = p/β e w(I)′ = 0 in tutto l'intervallo. Il facile calcolo per il caso in cui l → ∞, e l'estremo y = o sta al finito, dà per la pressione interna
(w> 0 rivolto verso l'esterno) e per l'incastro in y = 0 (fig. 12a),
per lo snodo in y = 0 (fig. 12b)
In queste relazioni è η = y/λ, con λ cosiddetta lunghezza caratteristica, data dalla relazione (che risulta subito scrivendo le radici dell'equazione caratteristica della [5a])
Φ, Ψ, Π, Θ, sono le notissime funzioni smorzate di Zimmermann in appresso definite e riportate graficamente in fig. 13. Dalle [7], [7a] si vede che, se λ è piccolo in raffronto ai valori di y considerabili, la soluzione che si diparte da un estremo arriva estinta all'estremo opposto e in un intorno di y = l/2. tanto più grande quanto più è piccolo î, vale, indisturbata, la soluzione a membrana w(1) = p0/β.
Per una cupola secondo una superficie di rotazione con carichi assialsimmetrici e quindi con condizioni ai bordi assialsimmetriche, le componenti incognite sono gli sforzi di tensione T1 secondo i meridiani, T2 secondo i paralleli, S = 0, ed i momenti G1 nel piano dei meridiani, G2 nel piano dei paralleli. Determinarli è naturalmente più difficile che non per il cilindro.
Tuttavia si giunge ancora, quasi per via diretta, a risultati molto concisi, e del tutto analoghi a quelli trovati per il cilindro circolare. Come si è detto in generale e si è illustrato nel caso speci. ico considerato. si comincia con una soluzione particolare del sistema in T1, T2, G1, G2, Q1, Q2 = 0, soluzione che è la stessa del sistema [4,1] per la membrana secondo una superficie di rotazione. Tale soluzione si indica con T1(1), T2(1), S(1) = 0, semplicemente, poiché G1(1) = G2(1) = 0 e Q1(1) = 0. In virtù di T2(1), sforzo secondo i paralleli, questi ed in particolare il parallelo della base per l'elasticità inevitabile, tendono ad espandersi od a contrarsi, a seconda che lo sforzo è di trazione o di compressione. Se l'anello alla base impedisce ogni espansione o contrazione. T2 dovrà annullarsi. Occorrerà allora trovare una soluzione del sistema omogeneo che, sovrapposta, porti all'annullamento dello sforzo nell'anello e quindi della sua espansione, soddisfacendo in più alla condizione che risulti nulla la rotazione ϑ(ψ0) nel caso dell'incastro o sia G1(ψ0) = 0 nel caso dello snodo.
Queste soluzioni T1(2), T2(2), G1(2), ..., da sovrapporre a
sono state scritte per la prima volta da Geckeler e successivamente adattate in vario modo. In forma sintetica esse si esprimono nei termini seguenti.
Sia data l'equazione del meridiano (fig. 14) nella forma,
con che R1 rappresenta la prima curvatura principale della superficie di rotazione. La seconda curvatura R2 è data da
se r = r (ψ) è il raggio del parallelo in ψ. Sia dato infine lo spessore, eventualmente variabile, h = h(ψ). In analogia con la lunghezza caratteristica j vien qui fatto di introdurre l'angolo caratteristico,
Per R1 → ∞ (caso del cilindro) è Ω → 0 ma R1•Ω → λ secondo la [8]. Evidentemente, Ω è generalmente funzione di ψ (salvo per la sfera a spessore costante o casi speciali, questi ultimi tecnicamente non conformi). Si vuol ammettere però che Ω sia lentamente variabile. così che dΩ/dψ e derivate successive siano dell'ordine di εΩ con ε ≪ 1.
Ciò posto, si sostituisce alla colatitudine ψ la latitudine ω = ψ0 − ψ e con questa si forma, dividendo l'apertura (ψ0 − ψ) in N intervalli Δωi, calcolando per ognuno i valori praticamente costanti Ωi di Ω, la latitudine ridotta η,
Con riguardo ad ω occorrerà trovare una soluzione del sistema omogeneo che dia, in ω = 0, T2(2)(0) = T1(1)(0) e, ove si trascuri la rotazione ϑ(1)(0), che dia anche ϑ(2)(0) = 0 per l'incastro, o rispettivamente G(2)(0) = 0 per lo snodo. Orbene, convenendo che il simbolo ( )0 indichi valore calcolato in ψ0 (cioè al bordo ψ = ψ0) si ha, attesa la variabilità di R1/h, e limitandosi alle tre componenti più importanti dello sforzo,
In queste espressioni la determinazione in alto corrisponde alla cerniera, quella in basso all'incastro; Φ, Ψ, Θ, Π, sono le già nominate funzioni smorzate di Zimmermann
illustrate in fig. 13.
Come si vede, se Ωmed è piccolo di fronte all'apertura ω0 = ψ0 − ψl della cupola, η assumerà valori sensibili, e basterà che sia η = 3,4 perché le T1(2), T2(2), GT1(2)) che partono dalla base arrivino praticamente estinte al lucernario.
In questo potrà provocarsi una perturbazione conseguente all'anello o corona superiore che si calcolerà da T1(2)(ψl). La variabile ω sarà in questo caso ω = ψ − ψl. Non occorre dire che, se la perturbazione della base giunge estinta al lucernario, altrettanto avviene per quella che dal lucernario arriva alla base.
Si osservi ancora che variazioni termiche o di ritiro rientrano senz'altro nelle [13]; basta trovare quella T2(1)(0) che dà un'estensione eguale a quella termica. Si ha subito, per una variazione t0 > 0 della temperatura, α essendo il coefficiente di dilatazione,
Concludendo, va rilevato come le straordinarie semplificazioni della teoria del Geckeler, cui si devono questi sviluppi, consentono di risolvere speditamente tutta la problematica della pratica delle volte-cupole: dallo studio sistematico di strutture derivate dalla saldatura di cupole o cilindri coassiali a quello dell'azione di cerchiature impresse a freddo o a caldo, o pretese, di distorsioni alla base conseguenti a cedimenti dei vincoli, sino alla solidarietà con l'anello di fondazione delle cupole dighe di sbarramento per laghi artificiali.
Bibl.: F. Dischinger, Schalen u. Rippen-Kuppeln, Handbuch für Eisenbetonbau, 4ª ed. Berlino, 1928; W. Flügge, Stresses in shells, Berlino 1960; W. S. Wlassow, Allgemeine Schalentheorie und ihre Anwendung in der Technik, Berlino 1958; S. Timoschenko, S. Woinowsky-Krieger, Theory of plates and shells, 2ª ed., New York 1959; O. Belluzzi, Scienza delle costruzioni, 3 voll., Bologna 1951; G. Krall, La diga di sbarramento a volta-cupola per laghi artificiali, Roma 1951; id., Volte autoportanti, Cupole, in Manuale dell'ingegnere civile, a cura di M. Pantaleo, 2ª ed., Roma 1960, pp. 739-771, 772-833.