VOLNEY, Constantin-François de Chassebœuf, conte di
Erudito e filosofo francese, nato nel 1757 a Craon, morto a Parigi nel 1820. Studiò storia, filosofia, filologia, si appassionò per le idee propagate dall'Enciclopedia, e, preso dal cosmopolitismo in voga, impiegò la sua fortuna in lunghi viaggi nell'Asia e nell'Oriente mediterraneo dove lo attiravano le sue ricerche etniche, storiche e linguistiche. Nel 1789, eletto deputato all'Assemblea degli Stati Generali, intraprende la carriera politica, senza legarsi però risolutamente a nessun partito. Nel 1792-1793 compie un viaggio in Corsica e vi conduce una diligentissima inchiesta sulle condizioni economiche e sociali del paese. Tornato in Francia, viene coinvolto nelle persecuzioni della Montagna contro girondini e moderati, arrestato e liberato soltanto dopo il crollo di Robespierre. Nel 1794 occupa una cattedra di storia del Collège de France. Infaticabile osservatore delle legislazioni e dei costumi, fu tratto dalle sue laboriose indagini a un nuovo viaggio in America. Alla sua attività di filologo si debbono i suoi lavori Simplification des langues orientales (1795), Supplément à l'Hérodote de Larcher (1808), Chron0logie d'Hérodote (1809), Recherches nouvelles sur l'histoire ancienne (1814), Discours sur l'elude philosophique des langues (1819), Alphabet européen appliqué aux langues asiatiques (1819), L'hébreu simplifié (1820). Ma più larga notorietà gli valsero le meditazioni filosofiche e sociali sparse nell'opuscolo De la loi naturelle (1793) e nelle famose Ruines ou Méditations sur les révolutions des empires (Ginevra 1791).
Questo libro, pervaso degli entusiasmi della Rivoluzione già trionfante, si può considerare una divulgazione, in forma drammatica e concitata, delle tesi principali sostenute dal materialismo di D'Holbach e La Mettrie. Come l'autore del Sistème de la Nature, V. sottomette l'uomo a un complesso di leggi naturali, regolari nel loro corso, uniformi nei loro effetti; la considerazione dell'Universo non gli rivela né Dio, né cause finali, ma soltanto una materia eterna e dotata di movimento, la quale combina negli elementi le proprietà destinate a favorire l'apparizione e lo sviluppo degli esseri animati. Egli professa la materia che sente e pensa e pertanto fa assegnare dalla Natura all'uomo la facoltà di sentire: questa facoltà di sentire congiunta al desiderio del benessere e all'avversione al dolore costituisce la legge primordiale e inalienabile inerente all'uomo. Analogamente all'Helvétius, Volney considera l'amor di sé "principio di ogni ragionamento" e "motore di tutte le arti e di tutti i godimenti"; la disciplina di questo prepotente impulso consente all'uomo di migliorare indefinitamente la propria sorte; la via del progresso, però, è stata sbarrata finora dalla cupidità e dall'ignoranza e soprattutto dalle lamentevoli rivalità delle confessioni religiose: il riscatto finale dell'umanità è affidato allo sterminio della superstizione e dello spirito di violenza. Particolarmente impetuosa è la requisitoria contro le religioni positive, accusate di fomentare fra gli uomini odî sanguinosi e di alzare, con i loro dogmi contradittorî, barriere che l'incredulità rimuove. L'eloquenza delle formule e la popolare semplicità dell'esposizione resero celebre questo libro e il suo autore, che negli anni dell'Impero è nominato componente dell'Institut mentre più tardi la Restaurazione lo crea membro della Camèra dei pari.
Bibl.: A. Bossange, Notice sur la vie et les écrits de C.-F. V., Parigi 1821; M. Bréal, V. Orientaliste et historien, in Journal des Savants, 1899, pp. 98-108, 261-71; A. Piffault, V. et l'enseignement de l'histoire à l'école primaire, in Revue Pédagogique, LV (1909), pp. 527-552; G. Chinard, C.-F. V. et l'Amérique d'après des doc. inéd., ecc., Parigi 1924; D. Morhead, Les Ruines de V., in The Foreign Quarterly Review, IX (1927), pp. 138-46.