Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete
Canzone (Rime LXXIX) di 4 stanze di 13 endecasillabi (abc bac c deed ff), che presenta analogie di struttura con quelle di Li occhi dolenti e di Donne ch'avete, e congedo di 9 (abcbaccdd); commentata da D. secondo il significato letterale e poi secondo quello allegorico nel II trattato del Convivio, ricordata, con esplicita citazione dell'incipit, da Carlo Martello nel cielo di Venere (Pd VIII 37) e, con analoga citazione, al v. 4 del sonetto Parole mie che per lo mondo siete (Rime LXXXIV), dov'è indicata come la lirica iniziale, e quindi la proposta tematica, di un gruppo che comprende ancora, a quanto è lecito supporre, almeno la canzone Amor che ne la mente (commentata nel III trattato del Convivio), la ballata Voi che savete e il sonetto O dolci rime.
Oltre che nella tradizione manoscritta del Convivio, si trova in codici autorevoli del sec. XIV, quali il Chigiano L VIII 305, il Magliabechiano VI 143, il Veronese 445, i due autografi del Boccaccio (Chigiano L V 176 e Toledano 104 6), dov'è riportata al secondo posto della serie di 15 canzoni diffuse poi col medesimo ordine in tanti manoscritti successivi. Indipendentemente dalle edizioni a stampa del Convivio, fu pubblicata per la prima volta in appendice all'edizione della Commedia di Pietro Cremonese (Venezia 1491), con le altre 14 canzoni della tradizione Boccaccio, e nella Giuntina del 1527, al primo posto del libro IV della sezione dantesca, che comprende sei canzoni morali. Nell'edizione 1921 il Barbi la collocò al primo posto fra le " Rime allegoriche e dottrinali ".
L'interpretazione della canzone, di per sé agevole qualora ci si fermi al significato letterale (la lotta fra l'amore per Beatrice, ora beata nella gloria di Dio, e il nuovo amore per una Donna gentile, con la vittoria finale del secondo sul primo), ha suscitato e continua a suscitare vari e complessi problemi, da quello della datazione a quello del senso riposto del testo, che coinvolgono anche quello della datazione della Vita Nuova e la storia e la significazione di una zona cospicua della posteriore lirica dantesca. Nell'autocommento (scritto a distanza di circa dieci anni) del Convivio, in particolare II II e XII, il poeta afferma: a) che la Donna gentile della canzone è la stessa di cui si parla alla fine della Vita Nuova (cfr. i capitoli dal XXXV al XXXIX); senza curarsi tuttavia di sanare la contraddizione patente fra le due opere (la Vita Nuova termina col trionfo di Beatrice e l'amore per la gentile è definito avversario de la ragione, anzi, malvagio desiderio dal quale D. si era lasciato vilmente... possedere alquanti die contra la costanzia de la ragione, cfr. XXXIX 1-2; mentre questa canzone segna il definitivo trionfo della Donna gentile); b) che la Donna gentile parve primamente, accompagnata d'Amore ai suoi occhi e prese luogo alcuno nella sua mente due rivoluzioni del cielo di Venere (= 1168 giorni) dopo la morte di Beatrice (Cv II II 1), il che indicherebbe l'agosto del 1293 come terminus post quem della canzone; C) che la Donna gentile è, fin da questa canzone, la Filosofia (XII 6-8) mentre l'episodio della Vita Nuova sembra alludere a donna reale o immaginata come reale, ed è, comunque sia, risolto in termini di rappresentazione psicologica, senza allusione ad alcun sovrassenso allegorico.
Per la cronologia, la maggior parte degl'interpreti è d'accordo sugli ultimi mesi del 1293 o sui primi del 1294, restando a ogni modo terminus ante quem il marzo di quell'anno, quando Carlo Martello venne a Firenze e, come lascia supporre l'incontro di Pd VIII, strinse amicizia con D. e venne a conoscenza della sua canzone. Più discussi restano i rapporti fra questa e gli ultimi capitoli della Vita Nuova (peraltro evidenti, sul piano formale, per rispondenze di parole, immagini, stilemi) e la significazione originaria di essa. Riprendendo e sviluppando spunti del Carducci e del D'Ancona, il Barbi propose di considerare l'esperienza amorosa di D. per la Donna pietosa della Vita Nuova distinta da quella per la Donna gentile-Filosofia, espressa in Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente con intendimento originariamente allegorico, ribadito poi in forma sistematica nel Convivio, con qualche ‛ aggiustamento ', tuttavia non del tutto stringente, per stabilire una continuità organica e unitaria fra i due libri, che D. volle allora presentare come momenti paradigmatici di una storia spirituale coerente. Tale opinione è stata in seguito ribadita dal Pernicone che, commentando Voi che 'ntendendo, sottolinea gli elementi che non consentono, a suo avviso, altra interpretazione che quella allegoristica: l'invocazione alle Intelligenze motrici del terzo cielo, la raffigurazione di Beatrice nella sua beatitudine celeste (che difficilmente sarebbe stata ricordata soltanto per farla assistere alla propria sconfitta nel cuore del poeta rivolto all'esaltazione di un appetito pur sempre sensuale verso un'altra donna reale), e infine il congedo, dove i vv. 53-55 alludono a una ragione che è detta faticosa e forte della canzone stessa, destinata per questo a essere intesa soltanto da pochi (anche se poi, commentandoli in Cv II XI 9, D. non allude al sovrassenso allegorico).
Altri interpreti, invece (Renucci, Pézard, Montanari), tendono a negare l'intendimento allegorico originario della canzone e a collegarla strettamente all'episodio della Vita Nuova, di cui essa sarebbe un ulteriore sviluppo, non accolto nel libello perché incongruente col tema fondamentale ed esclusivo della lode di Beatrice. L'identificazione Donna gentile-Filosofia sarebbe dunque posteriore e realizzata organicamente nella nuova affabulazione del Convivio (cfr. anche, a questo proposito, le voci AMOR CHE NE LA MENTE MI RAGIONA; Donna Gentile; Vita Nuova).
Se la questione dell'allegoria o non allegoria originaria della canzone resta tuttora aperta, vanno però meditate certe proposte critiche le quali tendono a spostare la ricerca sul piano stilistico e poetico. D. De Robertis ha rilevato la continuità fra le rime della Vita Nuova (in particolare Gentil pensero e L'amaro lagrimar; ma anche tutta la linea della poesia ‛ della loda ', da Donne ch'avete a Oltre la spera) e le canzoni Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente, mantenute anch'esse completamente nella poetica del ‛ dolce stile ': il nuovo amore, anche se non di donna, non era concepibile, secondo il critico, che in rima volgare, in accordo con la poetica di Vn XXV 6 (il divieto di rimare sopra altra matera che amorosa), e anche l'allegoria, conformemente alle affermazioni dello stesso testo sull'uso poetico della personificazione, " era un'esigenza poetica ed espressiva, riguarda l'Amore e non la Filosofia, il movimento e non l'oggetto dell'ispirazione ". Come ribadiscono nel loro commento il Foster e il Boyde, ogni cosa detta nella canzone della Donna-Filosofia era già stata detta di Beatrice, donna vivente, e ciò che era stato detto di lei, può ora essere assimilato alla lode della Filosofia; la vera distanza non è tanto fra Beatrice e una donna immaginaria che personifica la Filosofia, ma fra Beatrice e la donna reale che può avere avuto quel nome.
Ancora una volta, dunque, D. appare inteso a cogliere poeticamente l'amore come essenza, come moto spiritale entro e al tempo stesso oltre l'oggetto o l'accadimento contingente: alla raffigurazione, prima e piuttosto che di una donna, di un processo interiore, che sin dall'inizio l'invocazione alle Intelligenze celesti situa su di un piano di valori universali e oggettivi. Ma qui, a differenza di quanto avviene in Amor che ne la mente, è conservata, secondo l'intima ispirazione della Vita Nuova, la storicità di un'esperienza-rivelazione (la morte di Beatrice, la sua gloria celeste), e in tal senso la canzone si protende, di là dal rigoroso intellettualismo del Convivio, verso il realismo cristiano della Commedia. Irrompono, nella struttura emblematica dell'azione rappresentata, il pathos, la fragilità dei sentimenti umani immersi nel flutto della contingenza (ma anche qui il modello è nella Vita Nuova: tutta la terza parte del libro, dopo la morte di Beatrice), che intonano l'alto dettato della lode sul ritmo di una tensione, di una ricerca travagliosa. Il tema di fondo, a parte subiecti, è quello che D. cercherà di risolvere concettualmente nella sua corrispondenza con Cino (Ep III e sonetto Io sono stato con Amore insieme, Rime CXI): utrum de passione in passionem possit anima transformari (Ep III 2) risolto qui non nella prospettiva ormai asceticamente distaccata dell'epistola, ma nell'ambito ancora del paradigma cortese. E tuttavia si avverte qui la difficoltà di consistere nella certezza di un valore conseguito, l'ansia del mutamento e della ricerca problematica che coincidono con la necessità stessa della vita dell'uomo in itinere.
La forma eidetica della canzone è la drammatizzazione del contrasto interiore - lo stesso apparso già in una prospettiva embrionale in Gentil pensero, Vn XXVIII 8-10 - fra l'anima, fedele alla memoria di Beatrice, e uno spiritel novo d'amore (v. 20) che induce ad amare la Donna gentile.
Dopo la proposizione del tema, con l'invocazione alle Intelligenze del terzo cielo che proietta l'occasione su un piano di autenticazione ontologica, non senza una sfumatura di determinismo astrale (stanza I), subentra la commossa rievocazione di Beatrice creatura celeste, che ispira il desiderio di ritrovarla di là dal carcere terreno del senso (con un'intensificazione patetica del tema di Oltre la spera), contraddetto (stanza Il) dall'assalto improvviso del nuovo amore, con la sua promessa di salute (v. 24) e di angoscia di sospiri (v. 26). Il dibattito continua nella terza stanza, dove alla consolazione che proviene dal pensiero dell'angela che 'n cielo è coronata (v. 29), subentra la nuova signoria della Donna gentile, che conduce impietosamente l'anima a una ‛ morte ' di vaga ascendenza cavalcantiana. Ma la quarta stanza si conclude col trionfo della Donna gentile, con la promessa di una di sì alti miracoli adornezza (v. 50) che l'anima potrà contemplare nel nuovo oggetto del proprio amore, vincendo la propria ‛ viltà ' e assoggettandosi totalmente a esso (ecco l'ancella tua).
Nel congedo D., dopo avere affermato che pochi potranno intendere la sentenza della canzone, invita tuttavia a considerarne la grande bellezza (Ponete mente almen com'io son bella!, v. 52). Commentando questi versi, D. distingue fra la bontade della canzone, che è malagevole a sentire per le diverse persone che in essa s'inducono a parlare, dove si richeggiono molte distinzioni (Cv II XI 3) e la sua bellezza che è grande sì per construzione, la quale si pertiene a li gramatici, sì per l'ordine del sermone, che si pertiene a li rettorici, sì per lo numero de le sue parti, che si pertiene a li musici (§ 9). La struttura metrica è quella della stanza contesta tutta di endecasillabi (come in Donne ch'avete), che conferisce al dettato una gravitas ‛ tragica ', insieme con la ben calcolata disposizione armonica, assumendo e svolgendo lo spunto patetico in un ritmo di alta avventura spirituale. La bellezza della construzione consisterà, secondo l'insegnamento del De vulg. Eloq., nella selezione e combinazione nell'ambito di una lingua eletta (il volgare illustre), ma anche nella ricerca eufonica contestuale e in quella complessità dei costrutti che si risolve qui spesso in una solida arcatura sintattica e meditativa. L'ordine del sermone dovrebbe riferirsi alla strutturazione retorica; e a questo proposito va detto che l'interesse di D. non è qui tanto rivolto all'ornatus, quanto a ben condurre, con sapienti modulazioni e smorzature, l'originaria invenzione del dialogo interno, il mito poetico dell'interrogarsi e del rispondersi, del fluttuare alterno dell'animo, fra memoria, nostalgia e trepida attesa del nuovo amore. Le notazioni retoriche del commento insistono soprattutto sul costante tendere della canzone a la persuasione, cioè a l'abbellire, de l'audienza, che consiste, ad esempio, nel promettere di dire nuove e grandissime cose per rendere l'uditore attento (II VI 6, commento ai vv. 9-13), o nel far sì che di fuori la cosa paia disabbellirsi, mentre dentro veramente s'abbellisce (VII 12, commento ai vv. 24-26). La figura di fondo è dunque l'estrinsecarsi pieno della dolcezza del pensiero d'amore, della sua intensità suasoria (soave, è detto al § 5, è tanto quanto ‛ suaso ', cioè abbellito, dolce, piacente e dilettoso), sia quando parla di Beatrice sia quando parla della Donna gentile. In conclusione la tematica della lirica risulta dal contemperarsi dell'intimo ragionare del cuore (lo secreto dentro) con la nuova epifania d'amore, la cui dolcezza si traduce in forza suasoria trascinatrice. Lungi dall'impeto visionario di Donne ch'avete e di Donna pietosa, Voi che 'ntendendo si fonda sulla trascrizione limpida e spoglia, ma pervasa di una delicata modulazione affettiva, del sentimento che è proprio delle rime e delle prose di Vn XXXV-XXXIX.
La significazione allegorica appare giustificata nel Convivio dalla nuova connotazione semantica che il testo assume nel libro; ed è possibile che fosse implicita anche nel momento in cui la canzone fu composta, secondo l'esegesi proposta in Cv II XII 6-8 E imaginava lei fatta come una donna gentile, e non la poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso... Per che io, sentendomi levare dal pensiero del primo amore a la virtù di questo, quasi maravigliandomi apersi la bocca nel parlare de la proposta canzone, mostrando la mia condizione sotto figura d'altre cose però che de la donna di cu' io m'innamorava non era degna rima di volgare alcuna palesemente po[e]tare. Certo, però, non è entrata nella dinamica contestuale effettiva, che si limita a effigiare il trapasso dell'animo a una nuova dolcezza e fascinazione d'amore il cui oggetto resta scarsamente determinato. Siamo ancora nell'ambito delle personificazioni della Vita Nuova, di un gusto ancor vicino a quello del Cavalcanti, trascritto però nella gravitas della canzone e in una struttura retorico-sintattica più complessa, diversa, comunque sia, da quella dell'alto dettato intellettuale e dottrinale di Amor che ne la mente.
Bibl. - G. Carducci, Delle Rime di D., in Opere, X, Bologna 1957,145-151; A. D'Ancona, La Vita nuova, Pisa 1884, pp. LXVII-LXXII; E.G. Parodi, Le Rime di D., in Dante, Milano 1921, 61; Zingarelli, Dante 338-340; M. Barbi, Razionalismo e misticismo in D., in " Studi d. " XVII (1933) 13-18 (ora in Problemi II 1-86); Busnelli-Vandelli, Convivio I 93-239 (e cfr. l'intr. di M. Barbi, pp. XIX-XXXIX); Contini, Rime p. XIX; D.A., Le Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 85-91; B. Nardi, Nel mondo di D., Roma 1944, 35-38 (cfr. anche D. e la cultura medievale, Bari 1949, 49 ss.; Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 1-6; Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, 190-219); A. Pézard, Avatars de la Donna Gentile, in " Bull. Société d'Études Dant. du CUM " II (1947-48) 173-185; D. Mattalia, La critica dantesca, Firenze 1950, 120-136; M. Casella, Rime di D., in Dizionario delle opere e dei personaggi, Milano 1951; A. Camilli, Le prime due canzoni del " Convivio " di D., in " Lettere Italiane " VI (1952); L. Pietrobono, Saggi danteschi, Torino 1954, 25-98; N. Sapegno, Le Rime di D., Corso anno accademico 1956-57, Roma 1957; S. Santangelo, Saggi danteschi, Padova 1959, 32-38; V. Pernicone, Le rime allegoriche, in " La Fiera Letteraria " 25 aprile 1965; A. Pézard, La " rotta gonna ", I, Firenze-Parigi 1967, 76, 209, 221; M. Simonelli, Donna pietosa e Donna gentile fra Vita nuova e Convivio, in Atti Congresso di studi su aspetti e problemi della critica dantesca, Roma 1967, 146-159; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 160-169, e 341-362 (Appendix. The biographical Problems in " Voi che 'ntendendo "); F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1968², 60-65, 127-131; Barbi-Pernicone, Rime 377-390; D. De Robertis, Il libro della Vita nuova, Firenze 1970², 266-279 (cfr. anche la bibliografia delle VOCI AMOR CHE NE LA MENTE MI RAGIONA; Donna Gentile).