voglia
Si trova in tutte le opere del corpus dantesco meno che nel Detto, ma gli esempi più numerosi appartengono al Purgatorio e al Paradiso, in evidente correlazione con alcuni fra i temi più significativi delle due cantiche.
Con il significato di " volere ", " volontà ", è talora contrapposto a ‛ potere ' o a vocaboli di analogo significato: Rime XCI 12 questo è quello ond'io prendo cordoglio, / che a la voglia il poder non terrà fede; Cv I I 19 non al mio volere ma a la mia facultade imputino ogni difetto; però che la mia voglia di compita e cara liberalitate è qui seguace; in Pd XV 79 Ma voglia e argomento ne' mortali / ... diversamente son pennuti in ali, si sottolinea l'inadeguatezza dell'argomento, cioè del mezzo intellettuale della parola, a esprimere nella sua compiutezza la voglia, cioè " l'oggetto della volontà " stimolata dal sentimento.
L'unico essere in cui il volere non possa trovare ostacolo nel conseguimento del fine è Dio; di qua il senso nobile assunto dal vocabolo in If IX 94 Perché recalcitrate a quella voglia / a cui non puote il fin mai esser mozzo...? Per Forese la " volontà " di espiazione degli spiriti penitenti è affine a quella che spinse Cristo ad affrontare con letizia il sacrificio della croce: Pg XXIII 73 quella voglia a li alberi ci mena / che menò Cristo lieto a dire ‛ Elì '; tra i beati, la visione di Dio loro concessa è commisurata al merito, e questo è prodotto dalla grazia elargita da Dio e dalla buona volontà, concretatasi in buone opere, della creatura: Pd XXVIII 113 del vedere è misura mercede, / che grazia partorisce e buona voglia.
È comunemente accettata nel Medioevo (cfr. ad es. Tommaso d'Aquino Sum. theol. III Suppl. Append. I 4e) la distinzione fra una volontà assoluta e una volontà condizionata. Con immediato riferimento al testo tomistico, questa distinzione è applicata alle pene del Purgatorio, per affermare che, in rapporto alla volontà assoluta (o voglia) nessuna pena è volontaria, e quindi le anime, in senso assoluto, desiderano che la pena abbia fine; invece, in rapporto alla volontà relativa (o talento), i penitenti vogliono espiare la colpa con il martirio, in quanto con la pena acquistano il bene della visione di Dio: Pg XXI 65 Prima vuol ben, ma non lascia il talento / che divina giustizia, contra voglia, / come fu al peccar, pone al tormento. Alla stessa distinzione fra " voluntas absoluta " e " voluntas secundum quid ", o condizionata, ricorre Beatrice per risolvere il dubbio proposto da D. in merito al giudizio sulla virtù imperfetta, e quindi sul minor grado di beatitudine, delle anime del cielo lunare (Pd IV 87, 109 e 113). E si veda inoltre Pg VII 57.
Come l'aquila spiega a D., accogliendo le preghiere di Gregorio Magno, Dio concesse all'anima di Traiano di tornare in vita sì che potesse sua voglia esser mossa (Pd XX 111). Il passo è discusso; i più accolgono l'interpretazione del Landino (" acciocchè la sua [di Traiano] volontà, la quale in Inferno non può mutarsi a buon voler [v. 107], si mutasse nel corpo "); altri spiegano, ed è spiegazione meno convincente, " affinché la volontà di Dio fosse piegata a revocare la sua condanna ".
Sempre con l'accezione di " volontà " il vocabolo entra a far parte di alcuni sintagmi. Vegnati in voglia (Pg XXVIII 46) è " studiata e armoniosa variante di: ti venga volere, sia tuo volere, ‛ piacciati ', ‛ ti piaccia ' " (Mattalia). In Pd XV 8 quelle sustanze... per darmi voglia / ch'io le pregassi, a tacer fur concorde, il sintagma, con richiamo verbale e concettuale a volontade (v. 1), assume l'accezione di " invogliarmi ", " stimolarmi " a manifestare la mia volontà.
Abbastanza frequenti sono le locuzioni avverbiali. Di buona voglia (Pg IX 106) ha il senso del latino libens, e cioè " volonteroso ", " pieno di buon zelo " (e, nel contesto, è da riferirsi a D.). Al contrario, ‛ contro v. ' e le locuzioni analoghe corrispondono a invitus: Cv I III 4 peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga de la fortuna; e così in VIII 14 contra voglia; Rime LXVII 5 contro mia voglia; Pg XI 45 contra sua voglia; Fiore I 7 non per voglia mia. Si veda anche Pg XVI 3 a sua voglia, " come e quando vuole ", " liberamente ".
In un secondo e più numeroso gruppo di esempi, il vocabolo indica " desiderio ", " brama di qualche cosa ". In qualche caso il desiderio non implica necessariamente l'intervento della volontà: If XXXIII 59 ambo le man per lo dolor mi morsi; / ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia / di manicar, di sùbito levorsi (qui, anzi, si potrebbe spiegare addirittura " per il bisogno "); e così in Pg XXIV 110, Pd III 36. L'assenza della volontà è più evidente quando il termine è riferito all'istinto di un animale: la lupa ha natura sì malvagia e ria, / che mai non empie la bramosa voglia, / e dopo 'l pasto ha più fame che pria (If I 98); Pg XXV 11, Pd XIX 36.
Altre volte il desiderio, per il fatto stesso di essere avvertito in modo consapevole, si risolve in un atto di volontà: Pd XVIII 26 conobbi la voglia / in lui di ragionarmi ancora alquanto; Pg XIII 24 un migliaio... di là eravam noi già iti, / con poco tempo, per la voglia pronta; XVII 49, XVIII 115.
In qualche esempio il termine assume un valore spregiativo più o meno forte: If XXX 148 voler ciò udire è bassa voglia; Pd I 30 rade volte... se ne coglie [dell'alloro] / per triünfare o cesare o poeta, / colpa e vergogna de l'umane voglie; Pg XX 105. Con riferimento al desiderio erotico soddisfatto in spregio delle leggi della morale: If XVIII 56 I' fui colui che la Ghisolabella / condussi a far la voglia del marchese.
Non sempre è agevole determinare se nel vocabolo prevalga il valore di " desiderio " o quello di " volontà "; questa difficoltà spiega la divergenza delle interpretazioni proposte per alcuni passi: Pg XXXIII 131 Come anima gentil, che non fa scusa, / ma fa sua voglia de la voglia altrui, " identifica la sua volontà con quella del richiedente " (Sapegno); " del desiderio altrui fa il suo stesso desiderio " (Grabher); e così al v. 99.
Sempre con il significato di " desiderio ", v. ricorre con particolare frequenza in relazione a determinati temi poetici. Nella Vita Nuova e nelle Rime il vocabolo esprime il bisogno provato dal poeta di effondere con il pianto la sua pena d'amore: Vn XXXI 12 38 ma ven tristizia e voglia / di sospirare e di morir di pianto (replicato al § 6); e così in XV 6 14, XXII 8, XXXVI 5 13 (si noti desiderio di pianger al v. 11, volontate al v. 12), Rime CXVI 4.
Nel Purgatorio e nel Paradiso una frequente occasione per l'uso del vocabolo è offerta dal desiderio di D. di veder risolto un suo dubbio e dalla volontà delle anime di corrispondere prontamente alla sua aspirazione: Pg XXIII 60 non mi far dir mentr'io mi maraviglio, / ché mal può dir chi è pien d'altra voglia; XXV 13, Pd IX 109 Ma perché tutte le tue voglie piene / ten porti che son nate in questa spera, / procedere ancor oltre mi convene, XI 136, XVII 25 e 30, XXII 30, XXVI 95 (in qualche codice il vocabolo, per effetto di rima, è ripetuto anche al v. 99), XXXI 55.
Nel Paradiso la prontezza dei beati ad appagare D. deriva da un più profondo sentimento di carità (Pd III 44 La nostra carità non serra porte / a giusta voglia, se non come quella / che vuol simile a sé tutta sua corte) che impone ai beati d'identificare la propria volontà con quella divina (è formale ad esto beato esse / tenersi dentro a la divina voglia, / per ch'una fansi nostre voglie stesse, vv. 80 e 81); e così in XXIV 3. Una prontezza, inoltre, resa più sollecita e immediata dal fatto che i beati leggono direttamente in Dio il pensiero di D.: XXVI 104 la voglia tua discerno meglio / che tu qualunque cosa t'è più certa; IX 75.
Perciò il godimento della beatitudine suprema è raggiunto da D. quando, per un atto della grazia, il suo intelletto è illuminato da un'improvvisa folgorazione di verità: la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne (Pd XXXIII 141). Il passo non è sicuramente interpretabile, in quanto, come osserva il Mattalia, v. può indicare tanto il desiderio in sé, quanto l'oggetto desiderato, e venne, a sua volta, può essere interpretato sia " si avverò ", " fu appagato ", sia, se riferito all'oggetto, " si presentò alla vista ", chiaro, in quel fulgore. Alla prima interpretazione sembra accostarsi il Chimenz (la mia mente fu " investita da un'improvvisa illuminazione della grazia, in cui la voglia della mia mente... fu soddisfatta "), mentre la spiegazione del Vandelli è più vicina alla seconda (" da una fulgidissima luce... in cui venne la voglia della mia mente, cioè, m'apparve quel che la mia mente voleva conoscere ").
Gli esempi di usi estensivi sono piuttosto rari. Nelle parole rivolte da Virgilio a Nesso (If XII 66 mal fu la voglia tua sempre sì tosta), più che alla facoltà del volere il termine allude ai singoli atti in cui la volontà si estrinseca (e una riprova della scarsa perspicuità del vocabolo è offerta dalla varietà delle interpretazioni: " moto dell'anima; ira " [Mattalia], " volontà " [Sapegno], " voglie " [Porena, Chimenz], " irruenza " [Fallani]). Genericamente, indica la " disposizione " dell'animo a comportarsi in un determinato modo, in If XVI 50 ma perch'io mi sarei brusciato e cotto, / vinse paura la mia buona voglia / che di loro abbracciar mi facea ghiotto; così, la prima voglia (Pg XVIII 58) è la tendenza, operante al di fuori della volontà vera e propria, a desiderare i primi appetibili. In altra direzione, il significato di v. si precisa in quello di " aspirazione ", in Pd XI 99 la santa voglia d'esto archimandrita, e in Pg XXVI 61.
Le ultime due occorrenze hanno un'intonazione di carattere popolaresco. In Rime LXXIII 9 La tosse, 'l freddo e l'altra mala voglia / no l'addovien per omor' ch'abbia vecchi, come risulta dagli esempi addotti dal Barbi (Novellino XLI " trovolli nelle letta, confortolli e domandolli di lor mala voglia "; Malispini, Sacchetti), mala voglia vale " incomodo ", " indisposizione "; analogamente, d'una voglia ria sarà da interpretare, col Parodi, " di malumore " in Fiore CXLI 4 quella là trovò molto pensando, / come se fosse d'una voglia ria.