VOGHERA (A. T., 24-25-26)
Capoluogo dell'Oltrepò pavese, un tempo costituito in provincia e poi in circondario. La città si è sviluppata allo sbocco in piano della valle della Staffora, afluente di destra del Po, nel punto in cui le strade provenienti dalla media valle padana si congiungono per volgere, attraverso l'Appennino, al non lontano litorale ligure. Con la favorevole posizione di Voghera sta in rapporto l'importanza che il centro abitato ebbe in ogni tempo, e che è anche cresciuto con lo sviluppo delle comunicazioni moderne (Voghera è infatti sulla linea di gran traffico che unisce Milano al suo porto mediterraneo). Al vecchio nucleo urbano, che è andato lentamente dilatandosi a pianta ovoide attorno all'antico centro - dove ora è la Piazza del Duomo - si sono affiancate sempre sulla sinistra della Staffora, raggere di vie a decorso rettilineo che segnano il moderno accrescimento della città. Voghera, che contava 13.800 ab. nel comune, nel 1861, ne aveva 20 mila al principio del secolo, 23.638 nel 1911, 26.069 nel 1921 e 30.422 nel 1931 (di cui 24.559 nel centro vero e proprio). La città, oltre ad essere uno dei mercati agricoli più importanti della provincia, vede oggi occupato nelle industrie oltre 1/5 della sua popolazione. Notevoli fra queste la tessitura del cotone, la trattura della seta, la fabbricazione di cappelli di feltro, ecc.; numerosi anche gli stabilimenti per la preparazione di generi alimentari. Voghera infine va ricordata con onore per le sue istituzioni culturali, e in modo particolare per la sua fiorente scuola di agricoltura.
Monumenti. - L'architettura lombarda ha in Voghera con la chiesa di S. Ilario, detta "la chiesa rossa", un monumento significativo, strutturalmente simile alle basiliche pavesi; la facciata, di cotto e d'arenaria, con archetti pensili e tracce di formelle circolari, risale non oltre il sec. XII. Come rappresentativa dell'architettura monastica sulla fine del sec. XV, è la chiesa di N. S. della Pietà o del Rosario, specie nell'intemo. Il duomo, dedicato a S. Lorenzo, ampio e d'una certa parvenza di grandiosità ma non elegante, è opera dell'architetto genovese Mario Corbetta, ai primi del secolo XVII; ma la facciata è della seconda metà del sec. XIX su disegno del Maciachini. Ha nell'interno qualche buon altare barocco; e possiede preziosi arredi, fra i quali un ostensorio del 1406. II campanile, crollato in parte nel 1436, conserva tracce dell'originaria architettura lombarda. Il castello, nonostante le manomissioni, rivela ancora abbastanza bene l'impronta dell'epoca e delle vicende: fu riformato da G. Galeazzo Visconti verso il 1372. Del pittore vogherese P. Borroni (1749-1819) sono dipinti nel duomo e nelle chiese di S. Giuseppe e di S. Anna. Notevole, del periodo neoclassico, è il teatro (arch. Dell'Isola del Borghetto, 1845).
Storia. - L'odierna Voghera corrisponde all'antica Iria, cittadina di origine ligure preromana, nella IX regione augustea d'Italia (Liguria). Indicata dall'Itinerario Antoniniano a dieci miglia a nord di Dertona (Tortona), lungo la via Postumia condotta l'anno 148 a. C. da Genova a Piacenza per opera del console C. Postumio Albino. Appare col nome completo colonia Forum Iulii Iriensium in iscrizioni di Aquileia e di Tortona. Elencata da Plinio il Vecchio (Nat. Hist., III, 44) con il semplice nome di Iria fra i nobilia oppida della regione. Ugualmente denominata Iria da Tolomeo (III,1) e negli Itinerarî Peutingeriano ed Antoniniano. Ancora con la decadenza dell'impero il nome Ira appare dato ad un fiume non lontano da Tortona (Giordanes, De reb. Get., 45). È dubbio se si tratti della Scrivia o della Staffora. La tavola di Peutinger pone presso la città di Iria un fiume Otubria anch'esso non esattamente identificabile. Il nome Forum Iulii accenna a una fondazione o di Giulio Cesare, o di Ottaviano medesimo già Augusto. Ma non si conosce nulla di preciso. Per congettura si ritiene che la condizione giuridica di colonia sia stata concessa a Forum Iulii dall'imperatore Augusto, quando egli sistemò definitivamente la via Iulia Augusta da Piacenza al Varo, valendosi anche del preesistente tronco della Postumia da Piacenza a Dertona dominato appunto da Iria. Non conosciamo la tribù romana cui essa era ascritta. Con la decadenza e la rovina dell'impero Iria sofferse molto e si ridusse verisimilmente a semplice vico. Non sembra infatti dubbio che il nome Voghera provenga, attraverso alla forma medievale Viqueria, da un più antico Vicus Iriae.
Voghera si affermò nel periodo dei liberi comuni, seguendo, per necessità, la parte imperiale; ma non sfuggì alle devastazioni e alle lotte fratricide di quel fortunoso periodo, ora in lega, ora in contrasto con le vicine Pavia e Tortona. Soggiacque poi alla signoria dei Visconti di Milano, dei conti Dal Verme e degli Sforza, e finalmente alla dominazione spagnola, finché nel 1743, col trattato di Worms, venne assegnata al regno di Sardegna, e ad esso nel 1748 confermata col trattato di Aquisgrana. Al costituirsi del regno d'Italia Voghera cessò di essere provincia di frontiera tra il Piemonte e il regno lombardo-veneto e di appartenere alla regione piemontese, per essere, invece, aggregata alla Lombardia, come parte della provincia di Pavia. Ebbe a subire danni rilevantissimi dal terremoto del 9 ottobre 1928.
Bibl.: Corp. Inscr. Lat., V, pp. 828-29; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 159; F. Gabotto, I municipi romani dell'Italia occidentale alla morte di Teodosio il Grande, Torino 1908 (Bibliot. d. Soc. storica subalpina, XXXVI, p. 236); G. Manfredi, Storia di Voghera, ristampata in occasione dell'XI Congresso storico subalpino, con prefazione di G. Gorrini, Voghera 1908; e pubblicazioni varie del conte Cavagna Sangiuliani, di G. Gorrini, di F. Gabotto, di A. Tallone, di C. Giulietti, di A. Maragliano, ecc., edite soprattutto in occasione del detto congresso del 1908. V. inoltre A. Cavagna Sangiuliani, Dell'Abazia di S. Alberto di Batrio e del monastero di S. Maria della Pietà detto il Rosario in Voghera, Milano 1865.
Arte della stampa. - A Voghera nel sec. XV, per quel che si conosce, apparve un solo libro a stampa, impresso in caratteri gotici da Giacomo di Sancto Nazario de la Ripa nel 1486: è l'opera di Alessandro Tartagni da Imola, Postillae ad Bartolum, descritta da S. Comi nelle Memorie per la storia della tipografia Pavese, Pavia 1707. Quel tipografo poi si ritrova a Milano, dove pubblicò varie opere di diritto e di medicina, dal 1489 al 1496.