Vedi VOGHENZA dell'anno: 1966 - 1997
VOGHENZA (v. vol. VIl, p. 1195)
Nessuna fonte o documento di età romana tramanda il suo nome, che suona Vicus Aventinus o Vicus Habentia (da un supposto idronimo Abentia) solamente in età assai tarda.
Posto lungo un antico ramo del Po, quindi fortemente agevolato nei suoi rapporti commerciali da tale via d'acqua, il sito era abitato già nel corso del IV-III sec. a.C. Il fortuito (e fino a ora del tutto isolato) ritrovamento di vasellame avvenuto a notevole profondità nel 1953 a Voghiera (ciotole di pasta grigia, alcune delle quali con iscrizioni graffite etrusche, frammenti di ceramica a vernice nera e di tarda ceramica attica a figure rosse) appare assai significativo per un territorio - quale quello ferrarese - che dispone di una documentazione discontinua per il periodo preromano e rispecchia una sfera di contatti il cui referente è rappresentato dalla vicina e ben più importante Spina (v.).
Poco conosciamo dell'assetto dell'abitato, le cui fortune in età romana sembrano legate a un ruolo specifico: essere sede amministrativa dei saltus imperiali della piana deltizia. L'ipotesi, ripetutamente ripresa e variamente approfondita, scaturita dalla scoperta (1764) della stele di Atilia Primitiva (CIL, ν, 2385), ove il dedicante Herma appare come «dispensator regionis padanae Vercellensium Ravennatium», trasse conferma dal rinvenimento (1896) del cippo del «saltuarius» Halus. Un vicus, quindi, tra i più importanti del delta antico, posto in quel territorio ravennate ove sappiamo (Dio Cass., LXII, 17, 1-2) che la famiglia imperiale aveva estesi possedimenti.
I numerosi testi epigrafici restituiti nel passato da V. e dal suo circondario (presenti nel CIL, v, oltre a diverse iscrizioni funerarie, anche l'iscrizione che ricorda Filippo l'Arabo) corredano monumenti databili dall'età augustea al III sec. d.C.
Alcuni di questi manifestano spiccate ascendenze ravennati (esemplificativo in tal senso è il noto sarcofago di Aurelia Eutychia, CIL, ν, 2390), altri (i più antichi) appaiono più propriamente riconducibili alla sfera di influenza veneta.
Un gruppo di sessantasette sepolture di I-III sec. d.C. è stato portato recentemente alla luce nel Podere Setta. Caratterizzano la necropoli, da un punto di vista monumentale, due recinti funerarî, sepolture a cassone laterizio sormontato o affiancato da cippo con iscrizione, un sarcofago e alcune stele, queste ultime associate a forme più semplici di tombe laterizie interrate.
I nuovi titoli funerarî dedicati a Iunia Licinia, L. Quadratianus Proclinus, Ulpia Athenais, Panther (stele), Ulpia Pusinnica (sarcofago), Hygia, Ulpia Nice, M. Ulpio Secundio (cippi), rispecchiano, nella stratificazione sociale della popolazione, una forte componente di schiavi e liberti imperiali. Il ricorrere del cognomen Ulpius e del praenomen Marcus ha consentito di prospettare l'ipotesi che si trattasse di liberti del padre dell'imperatore Traiano.
Per ciò che riguarda la costituzione dei corredi che accompagnano le sepolture, va detto che essi assumono forma indubbiamente ripetitiva e si elevano da un livello di generale sobrietà (lucerne a canale oppure a disco, incensieri, vasellame a pareti sottili, qualche monile d'oro, vasellame vitreo) solamente grazie alla presenza di monili d'ambra e di un raro esemplare di unguentario in sardonica, di probabile provenienza aquileiese.
La necropoli (uno dei sepolcreti del vicus) si estendeva a SE dell'abitato, caratterizzato forse da forme insediative sparse.
Nel fondo Tesoro sono emersi un sepolcreto di VI-VII sec. d.C., resti di un impianto tardo-antico con livelli di abbandono di periodo teodericiano, e un'abitazione della prima età imperiale, il cui crollo per incendio ha conservato un deposito di vasellame e bronzi, notevole per quantità e per varietà tipologica.
I nuovi dati concernenti la tarda romanità, ancorché preliminari, appaiono di grande interesse in quanto V. è sede della più antica diocesi del Ferrarese: il primo vescovo Marcellino è consacrato dal ravennate Pier Crisologo negli anni attorno al 425, l'ultimo, Maurelio, muore nel 657. Da una delle due chiese paleocristiane, dedicate l'una a S. Maria, l'altra a S. Stefano, proviene l'ambone di IX sec. d.C., ornato da quattro riquadri con pavoni e racemi ai lati di una grande croce mediana a decoro fitomorfo, ora nel museo della cattedrale di Ferrara.
Bibl.: AA.VV., Insediamenti nel ferrarese dall'età romana alla fondazione della Cattedrale, Firenze 1976; S. Patitucci Uggeri, Un nuovo insediamento etrusco del delta padano, in StEtr, XLVII, 1979, pp. 93-105; F. Berti, Voghenza (Ferrara). Aggiornamento epigrafico, in Epigraphica, XLII, 1980, pp. 172-180; AA.VV., Voghenza. Una necropoli di età romana nel territorio ferrarese, Ferrara 1984; F. Berti (ed.), La necropoli romana di Voghenza (cat.), Ferrara 1984; D. Baldoni, Una collezione archeologica nel Museo di Belriguardo, Ferrara 1989; F. Berti, Ricerche e prospettive di ricerca nella provincia di Ferrara, in La Venetia nell'area padano-danubiana, Padova 1990, pp. 605-610; ead., La necropoli altomedievale di Voghenza. Relazione dello scavo ed analisi dei contesti, in La necropoli altomedievale di Voghenza. Studio antropologico multidisciplinare, Ferrara 1992, pp. 15-43; O. Bacilieri, Storia archeologica di Voghenza e del suo territorio, Ferrara 1994; F. Berti (ed.), Uno sguardo sul passato. Archeologia del Ferrarese, Firenze 1995, pp. 21-24.