vocale di appoggio
La vocale di appoggio è una vocale che facilita la pronuncia sia di consonanti o di sequenze consonantiche particolarmente difficoltose, perché rare, complesse e dunque marcate dal punto di vista della fonotassi dell’italiano (➔ fonetica sintattica), sia di parole dalla struttura accentuale poco frequente, e pertanto marcata.
L’inserimento di una vocale d’appoggio è immotivato da un punto di vista etimologico (la vocale è detta, appunto, anetimologica), ma è richiesto da esigenze di naturalezza e di facilità articolatoria. Si tratta di un processo attivo in diacronia nei casi di mutamento fonologico (ad es., dall’antico fr. medesme si è avuta la forma italiana medesimo, con inserimento della vocale d’appoggio i). Il processo opera anche in sincronia in diversi dialetti e italiani regionali (Grassi, Sobrero & Telmon 1997: 98 e 105-106), in stili d’eloquio particolarmente informali, così come presso parlanti scarsamente scolarizzati.
La vocale d’appoggio può essere inserita in posizioni diverse: all’inizio (prostesi), in posizione interna (➔ epentesi o anaptissi), in posizione finale (➔ epitesi o paragoge). Il suo timbro può essere condizionato dall’inventario fonologico del dialetto in questione (ad es., è di solito quello di una vocale centrale o ➔ scevà soprattutto nelle parlate dell’alto Meridione, ove tale fonema fa parte dell’inventario), dalla posizione all’interno della parola (se la vocale d’appoggio è prostetica ha spesso un timbro centrale basso), dalla presenza di altri suoni che in qualche modo condizionano la sua realizzazione (ad es., davanti alla nasale palatale la vocale prostetica è anch’essa una vocale palatale).
La prostesi di /i/ davanti ai nessi s + consonante – i quali già in latino volgare venivano pronunciati con vocale d’appoggio, generalmente /i/ – intende evitare una sequenza consonantica non abituale nella fonotassi dell’italiano: ad es., il nesso [nskr] che si produce in sequenze come no[nskr]ivo viene regolarizzato in [niskr] non iscrivo.
Il fenomeno è stato sempre oscillante nella storia dell’italiano, ma è ancora attestato a livello dialettale in Toscana e in Corsica (cfr. Rohlfs 1966: § 187): la sua regressione «nella lingua letteraria e nel dialetto toscano in generale procede di pari passo con la perdita della vocale iniziale in Spagna, storia, strumento» (ibid.). Nell’italiano contemporaneo è sempre meno diffuso e resiste solo nella «formula abbastanza cristallizzata» per iscritto (Sabatini 1985: 157). Tra le cause di tale regressione Sabatini menziona la maggiore consapevolezza dell’autonomia lessicale delle parole e la sempre più diffusa familiarità con nessi consonantici complessi (familiarità dal carattere per così dire ‘nativo’ nei parlanti settentrionali vista la maggiore complessità fonotattica dei loro dialetti, ovvero familiarità acquisita grazie a una più diffusa conoscenza delle lingue straniere).
A livello dialettale, la prostesi vocalica è frequente in quelle parlate settentrionali dove il dileguo delle vocali atone (➔ indebolimento) porta a incontri di consonanti non previsti dalla fonotassi dei dialetti in questione, che ‘aggiustano’ tali nessi con l’inserimento di vocali appunto prostetiche: così, ad es., nel torin. [adˈne] denaro o nel bologn. [edˈmeŋ] domani (cfr. Rohlfs 1966: § 137).
Vocali prostetiche sono documentate anche a sud, prima di consonanti realizzate come lunghe (esempi da Rohlfs 1966: §§ 150, 153, 160, 164):
(1) napol. abbasca «affanno», arrissa «rissa», addosa «dose»
(2) calabr. abbili «bile», ammèndula «mandorla»
(3) sicil. arriposu «riposo»
Sono infine presenti nei dialetti toscani, prima di nasale palatale, specialmente nelle voci ignudo, ignudare (cfr. Rohlfs 1966: § 161); compaiono nell’aretino (armané «rimanere») e nelle parlate umbre (artirà «ritirare»), verosimilmente come conseguenza della caduta della vocale protonica (cfr. Rohlfs 1966: § 164).
La vocale d’appoggio può essere epentetica, inserita per rendere agevoli nessi consonantici eccentrici per la fonotassi dell’italiano: ne sono un esempio i cultismi inizianti per ps-, che vengono regolarizzati in [pisi] da parlanti poco istruiti, specialmente nel Centro-Sud (pisicologia, pisichiatria). In questo caso una struttura sillabica altamente marcata e poco frequente (ostruente + sibilante) viene ‘normalizzata’ nella struttura sillabica più diffusa e ‘naturale’ CVCV (consonante-vocale-consonante-vocale).
Un fenomeno simile riguarda altri nessi consonantici anorganici di ➔ cultismi che in alcune regioni centro-meridionali sono prodotti con epentesi di vocale centrale: [atːəmosˈfɛra] atmosfera, [ˈtɛkːənika] tecnica (cfr. Telmon 1993: 112 e, per una diversa prospettiva, De Mauro 19702: 397). I dialetti settentrionali hanno molti esempi di epentesi vocalica: come nel caso della prostesi, nessi consonantici inusuali, conseguenza del dileguo delle vocali atone e fonotatticamente non ammissibili, vengono regolarizzati attraverso l’inserimento di vocali epentetiche (bergamasco caren «carne», milan. olter «altro»). Tali fenomeni di riaggiustamento sono presenti soprattutto nei dialetti dell’Emilia Romagna (➔ emiliano-romagnoli, dialetti), ove la sincope delle vocali protoniche (ad es., modenese [dman] «domani») e delle vocali mediane nei proparossitoni (ad es., emil. [ˈgumde] «gomito») dà vita a una serie di nessi consonantici particolarmente complessi e quindi a una struttura sillabica che tra i dialetti italiani raggiunge qui la sua massima complessità (Schmid 1997; Loporcaro 2009: 107). Di conseguenza, si hanno alcuni mutamenti fonetici in direzione della semplificazione fonotattica (➔ semplificazione), con inserimenti di vocali epentetiche e, come abbiamo già rilevato, prostetiche. L’inserimento di vocali epentetiche ha comunque ampia diffusione tra le varietà di dialetto e ➔ italiano regionale della penisola, che così rendono più facilmente articolabili nessi consonantici difficili o comunque poco frequenti: sicil. màghiru «magro», calabr. càncaru «cancro», abruzz. f[ə]lat[ə] «fiato» (cfr. Rohlfs 1966: § 338, per una ampia esemplificazione).
Il fenomeno dell’epitesi vocalica riguarda più o meno tutte le varietà dialettali (e conseguentemente gli italiani regionali) che non ammettono nel loro sistema fonologico uscite consonantiche. Interessa pertanto le varietà centro-meridionali e quelle toscane (➔ toscani, dialetti), le quali tendono a ‘regolarizzare’ i forestierismi e le sigle che escono in consonante (ad es., fior. [ˈimpse] «INPS», napol. [ˈlapːəsə] «lapis», calabr. [ˈglubːu] «club»). Il fenomeno è particolarmente vitale nel fiorentino rustico (➔ dialetti), dove la -e epitetica si aggiunge anche a parole ossitone uscenti in vocali quali sì, più, andò realizzate, rispettivamente, come [ˈsie], [ˈpjue], [anˈdɔe].
Sia in toscano che nei dialetti centro-meridionali è possibile che l’epitesi sia sillabica e non vocalica (cfr. Rohlfs 1966: § 336): in tal caso per parole come sì, perché, sicché, avremmo realizzazioni come [ˈsine], [perˈkene], [siˈkːene], che esemplificano una certa avversione delle parlate centro-meridionali per le voci ossitone. L’epitesi è vitale anche nelle parlate sarde, ove, a causa della conservazione della -s finale, è frequente la terminazione consonantica della parola. La vocale epitetica prende di solito il timbro della vocale che precede la consonante finale, ad es. [ˈdomːuzu] «case», [ˈfeminaza] «femmine» (Grassi, Sobrero & Telmon 1997: 105). Ancora, nel territorio lucano e nord-calabrese, nelle desinenze finali dei verbi uscenti in -s e -t viene unita una -i oppure una vocale indistinta, come nel lucano [ˈpjaʧiti] «piace» e nel calabr. [ˈkantəðə] «canta» (cfr. ancora Rohlfs 1966: § 335 per una più dettagliata esemplificazione).
De Mauro, Tullio (19702), Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza (1a ed. 1963).
Grassi, Corrado, Sobrero, Alberto A. & Telmon, Tullio (1997), Fondamenti di dialettologia italiana, Roma - Bari, Laterza.
Loporcaro, Michele (2009), Profilo linguistico dei dialetti italiani, Roma - Bari, Laterza.
Rohlfs, Gerhard (1966), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 1° (Fonetica; 1a ed. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 1°, Lautlehre).
Sabatini Francesco (1985), “L’italiano dell’uso medio”: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, hrsg. von G. Holtus & E. Radtke, Tübingen, Narr, pp. 154-184.
Schmid, Stephan (1997), A typological view of syllable structure in some Italian dialects, in Certamen phonologicum III. Papers from the third Cortona phonology meeting (April 1996), edited by P.M. Bertinetto et al., Torino, Rosenberg & Sellier, pp. 247-265.
Telmon, Tullio (1993), Varietà regionali, in Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di A.A. Sobrero, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 2° (La variazione e gli usi), pp. 93-149.