vivo
Le presenze fuori della Commedia sono appena otto (nessuna nel Detto), mentre nel poema compare 76 volte, sia in senso proprio sia in una vasta gamma di usi estensivi. Ha prevalentemente funzione attributiva, pur essendo attestato anche come predicato; in sei casi, tutti appartenenti alla Commedia, è sostantivato.
Nel suo valore fondamentale, talora reso più evidente dall'antitesi con ‛ morto ', è possibile individuare due accezioni diverse, giacché, oltre a qualificare in senso generale la condizione di chi è " dotato di vita ", può alludere alla durata temporale di questo stato, tanto da poter essere reso con la locuzione avverbiale " durante la vita ". La prima di queste due accezioni è la prevalente in If XXXIII 157 in anima in Cocito già si bagna, / e in corpo par vivo ancor di sopra; Pd XVI 48 Tutti color ch'a quel tempo eran ivi / da poter arme... / erano il quinto di quei ch'or son vivi; e così in XX 63, e in Rime dubbie IV 11.
Per quanto il Mattalia traduca " esenti da pena e da punizione ", è presumibile che conservi il valore ora illustrato anche nell'accenno a Bonifacio VIII, vittima dell'oltraggio di Anagni ad opera di Guglielmo di Nogaret e di Sciarra Colonna: Veggiolo... / tra vivi ladroni esser anciso (Pg XX 90), potendosi la qualificazione spiegare come un'implicita contrapposizione ideale fra i due attentatori, rimasti vivi, e i due ladroni condotti sul Calvario a morire con Cristo. In un'espressione volutamente enfatica è volto a esprimere la " stupefazione paurosa " (Rossi) da cui è colpito D. alla vista di Lucifero: Io non mori' e non rimasi vivo (If XXXIV 25).
Con la seconda accezione (" durante la vita ") compare in Cv IV XIV 14 tale uomo sarebbe tenuto nobile morto che non fu nobile vivo; If XIV 51 Qual io fui vivo, tal son morto; XXX 62 io ebbi, vivo, assai di quel ch' i' volli; XXVIII 36. In XXVII 65 già mai di questo fondo / non tornò vivo alcun, si potrebbe addirittura interpretare: nessuno tornò " in vita " da questo fondo.
Riferito a organismi diversi dall'uomo, ne sottolinea la vivacità se si tratta di un animale (Fiore LXXII 13 tu terresti più tosto un'anguilla / ben viva. per la coda) o il verdeggiante rigoglio quando è attribuito a vegetali: Pg XXVIII 2 la divina foresta spessa e viva (bene Benvenuto: " spessa propter frequentiam arborum virentium, viva quia nunquam aret "), XXX 85 e, in un contesto metaforico, Pd XII 105 Di lui si fecer poi diversi rivi / onde l'orto catolico si riga, / sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
I rari esempi attestati nella lirica d'amore si collegano alla consueta tematica dello sgomento, simile alla morte, che coglie il poeta al rivelarsi della donna amata: Vn XVI 8 7 Amor m'assale subitanamente, / sì che la vita quasi m'abbandona: / campami un spirto vivo solamente; Rime CXVI 64 qui vivo e morto, come vuoi, mi palpi, / merzé del fiero lume / che sfolgorando fa via a la morte.
Nella Commedia (ma non nel Paradiso: ché qui altro sarà il valore semantico prevalente nel vocabolo) domina il motivo di D. ancor vivente nel regno dei morti: If X 23 O Tosco che per la città del foco / vivo ten vai... / piacciati di restare in questo loco; XII 85, XVII 67, XXIII 88, XXIX 95 (qui è sostantivo), XXXII 90 e 91; Pg II 68 L'anime, che si fuor di me accorte, / per lo spirare, ch'i' era ancor vivo, maravigliando diventaro smorte; V 6 (sostantivo), XIII 142. E così, nelle parole di Caronte, contemporaneamente allusive al fatto che l'anima di D. è ancora congiunta col corpo e, spiritualmente, non è esclusa dalla salvezza: E tu che se' costì, anima viva, / pàrtiti da cotesti che son morti (If III 88).
Sostantivato, indica una " persona vivente ". A suggerire l'uso del vocabolo in bocca a uno degl'interlocutori di D. è sempre il ricordo della terra perduta, un ricordo nostalgico ma pur lontano da ogni atteggiamento di rivolta, dato che tutti gli esempi appartengono al Purgatorio: XI 72 E qui convien ch'io questo peso porti / per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, / poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti; XXXIII 53 sì come da me son porte, / così queste parole segna a' vivi / del viver ch'è un correre a la morte; V 103. D. lo usa invece per un atto di pietà verso Cavalcante (If X 111 Or direte dunque a quel caduto / che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto) o in un'accorata e pur sdegnosa protesta contro le lotte civili che insanguinano le città italiane: Pg VI 83 ora in te non stanno sanza guerra / li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode / di quei ch'un muro e una fossa serra (vivi, propriamente, vale " le persone che vivono in te " e che si combattono tra loro, in contrapposto ai ‛ morti ' come Virgilio e Sordello, che nel Purgatorio sentono invece fortemente l'amore per la patria comune). Così, nelle figurazioni del primo girone del Purgatorio: Morti li morti e i vivi parean vivi (XII 67).
Riferito alle parti di un corpo umano, vale " da vivo ", " che sono di un uomo ancor vivo ": If XVI 32 a dirne chi tu se', che i vivi piedi / così sicuro per lo 'nferno freghi; Pg XIV 61 Vende la carne loro essendo viva (con riferimento alle atrocità commesse da Fulcieri da Calboli contro i Bianchi); XXV 90 le membra vive; XXIX 96 li occhi d'Argo, / se fosser vivi, sarebber cotali.
Il Vandelli, il Porena e altri attribuiscono lo stesso significato di " corporei ", " di uomo vivo ", all'aggettivo in If XXIV 70 Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi / non poteano ire al fondo. Il riscontro con XXIX 54 allor fu la mia vista più viva / già ver' lo fondo (dove viva vale certamente " chiara ", " distinta ") induce ad accogliere l'interpretazione proposta dal Sapegno (" i miei occhi, benché aguzzati, non potevano penetrare in quel fondo buio ") o, meglio ancora, quella del Rossi ripresa dal Mattalia: " non potevano giungere vivi, con la loro forza visiva, al' fondo della bolgia ". Del resto, anche in Pd II 144 la virtù mista per lo corpo luce / come letizia per pupilla viva, l'aggettivo è certamente allusivo alla " vivacità " espressiva di un occhio in cui si riflette la gioia dell'animo.
Per chiarire il significato di Cv IV Le dolci rime 40 e tocca a tal, ch'è morto e va per terra, D. commenta: a maggiore detrimento dico questo cotale vilissimo essere morto, parendo vivo (VII 10). Il passo, così esemplare nella sua esaltazione di una vita degna di questo nome in quanto guidata da retta coscienza, spiega l'uso traslato che di v. si fa in If III 64 Questi sciaurati [i pusillanimi]... mai non fur vivi. La vita, dunque, non si esaurisce nella vicenda meramente biologica dell'esistenza; continua anche nella memoria dei posteri, nella sopravvivenza dell'opera compiuta; di qua l'ammonimento a Giovanni XXII: Pietro e Paulo, che morire / per la vigna che guasti, ancor son vivi (Pd XVIII 132); e così in Cv II VIII 7 sarà bello... parlare di quella viva Beatrice beata (che valga " viva nella memoria " è dimostrato dal confronto con VI 7 un altro pensiero... commenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice).
A questo stesso ambito concettuale, secondo alcuni, si richiamerebbe anche l'esempio di If I 27 l'animo mio, ch' ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo / che non lasciò già mai persona viva. Un esame delle varie interpretazioni proposte per tutta la terzina è altrove (v. PASSO; PERSONA); qui sarà sufficiente notare che quanti (Casini-Barbi, Vandelli, Porena, Chimenz, Mattalia, ecc.) considerano che soggetto e persona viva oggetto, attribuiscono a viva valore predicativo e interpretano " il qual passo (debba esso essere identificato o no con la selva) non lasciò già mai spiritualmente viva alcuna persona che si fosse avviluppata in esso ". A diverse conclusioni giungono il Pagliaro (Ulisse 17-23) e F. Mazzoni (Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 84-86), per i quali che è oggetto, viva è attributo di persona, tutto il sintagma è usato nel senso più proprio di " uomo che sia in vita, anima e corpo ", e spiegano: " nessun vivente poté mai abbandonare il passo "). A sostegno di questa interpretazione è naturalmente addotto l'esempio di Pg XI 51 A man destra... troverete il passo / possibile a salir persona viva, dove l'espressione allude con certezza alla condizione di vivente di Dante.
Usato in senso estensivo, v. è riferito a cose ed è suscettibile di varie sfumature.
Una voce... viva (Pg XXVII 9) è quella " alta e chiara ", " squillante ", dell'angelo della castità. L'aggettivo ha senso analogo in XXXIII 27 color che troppo reverenti / dinanzi a suo maggior parlando sono / ... non traggon la voce viva ai denti, dove, usato con valore predicativo, indica la difficoltà per il soggetto a esprimere " la parola in modo che si possa chiaramente intendere " (Vellutello).
Riferito a una sorgente luminosa, ne indica l'intensità. In questo senso l'aggettivo compare solo negli ultimi canti del Purgatorio e nel Paradiso, in connessione con il tema della luce che, per il significato mistico attribuitole di essere il simbolo perfetto della pura e indifferenziata essenza divina, fascia i beati spogliandoli di ogni corporeità terrena. Dalle vive luci (Pg XXIX 62) dei sette candelabri apparsi a D. nel Paradiso terrestre poco prima che gli comparisse Beatrice vestita di color di fiamma viva (XXX 33), al momento in cui al poeta, assurto nell'Empireo, la candida rosa si rivela simile a una fiumana di faville vive (Pd XXX 64), in cui gli angeli le facce tutte avean di fiamma viva / e l'ali d'oro (XXXI 13), questo motivo torna continuamente nella terza cantica, perché esprime la struttura stessa del Paradiso e delle sue realtà. I beati sono perciò folgór vivi e vincenti (X 64), vive luci sempre più splendenti (XX 10); dentro al vivo seno / di quello incendio, cioè dentro alla fiamma raggiante in cui vive l'anima dell'apostolo Giacomo, tremolava un lampo (XXV 79); Beatrice è invocata come isplendor di viva luce etterna (Pg XXXI 139); a Cacciaguida il poeta si rivolge chiamandolo vivo topazio / che questa gioia prezïosa ingemmi (Pd XV 85); la vergine Maria è la viva stella (XXIII 92). Per dare il senso del misterioso procedere del Figlio dal Padre, il poeta ricorre a una metafora tratta dalla stessa realtà: quella viva luce che sì mea / dal suo lucente, che non si disuna / da lui né da l'amor ch' a lor s'intrea (XIII 55); Dio si palesa come vivo raggio (XXXIII 77) e come vivo lume (v. 110). E si veda anche VI 117, XIV 53 e 133, XXIII 31, XXIV 27, XXX 49, XXXI 46.
È dibattuta l'interpretazione di Pd V 87 poi si rivolse tutta disïante / a quella parte ove 'l mondo è più vivo: " verso oriente ", per l'Ottimo, il Buti, il Landino e il Vellutello; " verso l'Empireo ", a parere di Benvenuto e del Serravalle; " verso la parte equinoziale ", secondo il Daniello. Com'è ovvio, i commentatori moderni si attengono all'una o all'altra di queste interpretazioni, anche se alcuni (Vandelli, Sapegno) osservano che, di fatto, esse siano meno divergenti di quanto non possa apparire. Si supponga, infatti, che Beatrice riguardi nel sole, come ha fatto al momento di salire nel cielo della Luna; ma il sole, in quel momento, si trovava sull'Equatore ed era in alto, sicché, chi avesse rivolto lo sguardo verso l'astro, avrebbe guardato anche verso l'Empireo (non per nulla D. ha già notato che nell'ascendere verso la Luna il riguardar nel sole [I 47] di Beatrice era anche un " guardare " in suso [Il 22]). Per l'intelligenza del valore semantico di v. sarà quindi sufficiente ricordare come questo aggettivo è disponibile per indicare sia una luminosità particolarmente intensa, come si richiederebbe se il passo alludesse all'oriente, là dove splendeva il sole, sia un moto più rapido, qual è quello della parte dell'universo collocata intorno all'Equatore celeste, come fanno presente il Porena e il Sapegno richiamando a sostegno Cv II III 15 e Pd XXIII 113-114.
Nonostante l'apparente analogia con la tematica ora illustrata, si richiama a tutt'altro motivo l'uso dell'aggettivo in Pd I 141 com' a terra quïete in foco vivo; qui infatti v. richiama la proprietà del fuoco d'indirizzarsi naturalmente verso l'alto (cfr. Pg XVIII 28), cioè verso la sfera del fuoco.
La vetta della montagna del Purgatorio è tutta disciolta / ne l'aere vivo (Pg XXVIII 107): " puro ", " non turbato dalle alterazioni terrestri " (Sapegno) o, anche, " luminoso " (Mattalia) e, quindi, contrapposto all'aura morta (I 17) dell'Inferno.
I sapienti, i quali liberalmente... porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri... sono quasi fonte vivo, de la cui acqua si refrigera la naturale sete di sapere (Cv I 19); " fons vivus ", nel latino classico, è una sorgente " durevole, ricca di acque " (e questa idea di abbondanza, in senso traslato, è certamente presente anche nel testo dantesco); il presumibile richiamo all'autorità biblica di Prov. 13, 14 " Lex sapientis fons vitae " impone però di tradurre " sono sorgenti di vita ".
In un gruppo di esempi, anche questi tutti appartenenti al Paradiso, v. è attribuito ad alcuni sostantivi astratti: a " speranza " (XX 95, 108 e 109) per indicare l'intensità con cui questa virtù è stata esercitata; ancor più significativi sono gli esempi di VI 88 e 121, e XIX 68, dove viva è qualificata la giustizia divina a riconoscimento del suo assoluto e perfetto attuarsi (non sembra perciò necessario interpretare " luminosa " o " vegliante ", come fanno, rispettivamente, in quest'ultimo passo, il Mattalia e il Campi). E così, XII 59 viva virtute, " efficace ", " potente "; XXVI 61 conoscenza viva, " sicura ", " non erronea ". Del resto, l'aggettivo ha valore intensivo anche nella locuzione avverbiale per viva forza (Pg XVI 111).
Accanto alla lezione accolta dal Petrocchi (cfr. ad l. e Introduzione 245), la tradizione manoscritta conosce, per Pd XXVII 100 Le parti sue [del Primo Mobile] vivissime ed eccelse / ... uniforme son, le varianti vicissime, vicine, e altre ancora, seriori. Nel tentativo di rendere più perspicuo il testo, la '21 e il Casella, accogliendo una correzione proposta dal Parodi (in " Bull. " XXVI [1919] 68-69), leggono vicinissime; il Vandelli, che nella '21 e nel rifacimento del commento scartazziniano aveva seguito la proposta del Parodi, successivamente (cfr. " Studi d. " X [1925] 116 ss.) mutò parere proponendo di correggere imissime (v. IMO). La variante vivissime è stata difesa dal Porena, il quale afferma che il poeta " riprende e compie la descrizione del Primo Mobile; e dopo aver detto che è velocissimo (corrisponde al più ferve [cfr. v. 99, e XXIII 113]) soggiunge anche che è vivissimo (corrisponde al più s'avviva [XXIII 113]), e altissimo, e del tutto uniforme ". All'ipotesi del Porena, oltre al Petrocchi, ha aderito il Sapegno, il quale conclude avvalendosi della chiosa del Buti: " tutte le plaghe del Cristallo sono ‛ vivissime, imperò che velocissimamente si muovono ' ".