VIVISEZIONE
. Preso alla lettera il termine "vivisezione" significa operazione cruenta eseguita sopra un essere vivente, ma in questo senso vivisezione dovrebbe chiamarsi anche la chirurgia sugli uomini. In realtà non consistono affatto in una sezione moltissimi esperimenti biologici fatti sugli animali, come p. es. far mancare questo o quello elemento della nutrizione, o iniettare germi e tossine di malattie, o saggiare l'azione fisiologica di farmaci o di agenti fisici, termici, elettrici, radianti. Le prime indagini vivisettorie risalgono a Galeno che, ripugnandogli forse di sperimentare sul cane, prescelse il maiale, e dimostrò che nelle arterie scorre sangue e non aria, come aveva invece sostenuto Erisistrato della scuola alessandrina, basandosi sul fatto d'aver trovato vuote le arterie del cadavere. I grandi anatomici del sec. XVI praticarono largamente la vivisezione, sempre sul maiale. Molto fu discusso se limitare la vivisezione a questa o quella specie zoologica, escludendo gli animali che sembrano più sensibili al dolore e soprattutto quelli ai quali l'uomo è più affezionato. Ragioni scientifiche hanno dappertutto prevalso su tali ragioni sentimentali (basate spesso sopra illazioni del tutto arbitrarie circa la sofferenza degli animali) ormai senza interesse dopoché l'anestesia locale e generale, che ha reso possibili gli sviluppi moderni della chirurgia, ha trovato larga e quasi costante applicazione anche negli esperimenti vivisettorî.
Il buon costume e le buone leggi promulgate ormai in quasi tutte le nazioni per disciplinare la vivisezione, diffondendo l'uso degli anestetici, hanno soppresso quanto di tormentoso poteva caratterizzare la vivisezione. L'anestesia generale o locale non è del resto il solo mezzo col quale si può rendere l'animale insensibile al dolore. Largamente usato è il metodo della decerebrazione, che consiste nell'isolare o asportare gli emisferi cerebrali che costituiscono la sede esclusiva delle sensazioni coscienti. Beninteso questa radicale e rapidissima operazione deve essere praticata nella più profonda narcosi dell'animale, ma quando questo è decerebrato la prosecuzione della narcosi sarebbe un non senso, poiché essa dovrebbe agire sul cervello che non esiste più. Quando l'animale deve sopravvivere all'esperimento, le cure postoperatorie lo mettono nelle condizioni migliori: gabbie ben ripulite in ambienti riscaldati, arieggiati e luminosi; fasciature opportune, alimentazione adatta, frequenti medicazioni, ecc. L'esperimento ha talora le sue ineluttabili necessità e vi sono casi nei quali per il raggiungimento di un alto fine scientifico e umanitario non si può, con la migliore volontà, non far soffrire gli animali. Delle infezioni e dell'azione patogena dei microorganismi; della virtù preventiva o curativa dei sieri, dei vaccini e dei farmaci; dei mezzi per fare diagnosi rapida della peste, del vaiuolo, dell'ittero infettivo; del metodo, fra tutti più noto, per la diagnosi della sifilide (reazione di Wassermann); dell'azione degli anestetici e dei narcotici, nulla si saprebbe di sicuro se tutto ciò non fosse stato studiato sugli animali con lunghe e pazienti ricerche per le quali furono sacrificate molte migliaia di vittime, tra scimmie, cani, gatti, conigli, cavie, topi, ecc. La lotta contro la tubercolosi sarebbe oggi priva della sua base se non si perseguisse l'indirizzo tracciato da R. Koch con l'infettare di tubercolosi gli animali per essa più recettivi: le cavie. La scoperta e le prove sull'efficacia dei farmaci antiluetici furono rese possibili dell'essere riusciti a trasmettere la sifilide agli animali che ne sono naturalmente immuni; le fondamentali scoperte sul diabete e sulla sua terapia insulinica sono partite dalla constatazione degli effetti dell'asportazione del pancreas nel cane, cioè dallo studio del diabete sperimentale; l'immenso edificio della moderna endocrinologia, cioè lo studio delle ghiandole a secrezione interna e delle loro alterazioni, si fonda sulle mutilazioni sperimentali eseguite sopra gli animali da laboratorio. E ancora si debbono citare gli esperimenti che condussero alla scoperta delle vitamine e che furono tutti condotti sopra un unico schema: privare di certe sostanze alimentari gli animali da esperimento, constatare i danni prodotti da questa carenza e soccorrerli poi con la somministrazione di quel quid imponderabile che era stato loro sottratto. Sono queste le ricerche che condussero a scoprire le cause e la terapia della rachitide, dello scorbuto, del beriberi, della pellagra. E non sono forse i risultati casualmente scaturiti dagli esperimenti di C. Richet sulla resistenza degli animali a certi farmaci, quelli che condussero alla scoperta dell'anafilassi, aprendo alla medicina scientifica e pratica nuovissimi orizzonti e arricchendo la terapia e soprattutto la sieroterapia, di nuovi presidî e di nuove salvaguardie? Né sarebbe oggi possibile salvare da certa morte i malati di anemia perniciosa progressiva, se non fosse per gli studî dei fisiopatologi nordamericani, che provocarono le più gravi e durature anemie sperimentali nel cane, per poi saggiare sopra molte centinaia di animali l'effetto antianemico dei più svariati alimenti, sino a scoprire la miracolosa efficacia del fegato dato come alimento. Il metodo sperimentale ha per la biologia e per la medicina lo stesso inestimabile valore che ha per le altre scienze, non solo perché esso rappresenta lo strumento indispensabile del progresso, ma perché plasma la rigorosa mentalità scientifica del medico. Se pure per l'insegnamento si possa, anzi si debba, gradualmente sostituire all'esperimento vivisettorio una buona riproduzione cinematografica di esso, nulla potrà mai sostituire l'indagine diretta sull'animale vivente per penetrare sempre più a fondo il segreto della vita.