FRANCHI (De Franchis), Viviano
Figlio di Neri di Viviano, nacque probabilmente a Firenze intorno alla metà del sec. XIV.
La famiglia, di floride condizioni economiche, proveniva da Sambuco o Sambuca, un piccolo villaggio della Valdipesa, già possesso del monastero di S. Michele di Passignano. Secondo il Marzi, il F. discendeva da un ser Lapo Viviani, attivo nel 1307, indicato come capostipite della famiglia Viviani, notizia che non trova riscontro alcuno nelle fonti; lo stesso padre del F. compare, nella documentazione nota, sempre e solo come Neri di Viviano. Il gentilizio "de Franchis" probabilmente fa riferimento a un avo dello stesso F., forse nonno di Neri: a ogni modo, nei documenti esso accompagna il nome di Viviano di Neri solo a partire dall'autunno del 1393, quando gli furono estesi i privilegi della Balia istituita nell'ottobre di quell'anno.
Il primo documento che attesti la presenza in Firenze di membri della famiglia è un atto registrato nella gabella dei contratti nel 1359 nel quale compaiono il padre del F. e i fratelli di questo, Antonio e Taddeo. Essi risiedevano probabilmente nel quartiere di S. Spirito dove il F. risulta abitare ancora nel 1371: da lì, intorno al 1378, tutta al famiglia si trasferì nel più centrale quartiere di S. Maria Novella dove poi rimase per secoli.
Il F. ricevette una buona formazione di base, probabilmente presso la scuola di Giovanni da Siena "trivii doctor", di cui è definito "auditor" nel proemio alla prima versione del De laboribus Herculis di Coluccio Salutati.
Da allora, sebbene fosse stato avviato in seguito agli studi e alla professione notarile, egli si dimostrò sempre amante della cultura classica e giuridica. Bibliofilo, a un suo lascito è probabilmente dovuta l'acquisizione alla biblioteca della chiesa di S. Croce del manoscritto della Summa de casibus conscientiae, detta anche Maestruzzo, di fra Bartolomeo da San Concordio (o Pisano), da lui comprato nel settembre del 1398 e ora conservato alla Laurenziana di Firenze.
Il primo documento notarile scritto dal F. è un testamento "actum" il 24 dic. 1364 in Firenze, trasmessogli dal notaio Dionisio (detto Nigio) perché lo completasse e lo pubblicasse. È verosimile, pertanto, che egli abbia fatto il suo tirocinio presso Dionisio. Già nel 1370 doveva, comunque, lavorare in proprio, perché il 18 marzo di quell'anno scriveva e pubblicava un atto d'acquisto nel "popolo" di S. Martino "a Cozzi". Nel 1372 aveva anche un collaboratore, Dino di Scarfagno da Prato, che in seguito sarebbe stato uno dei suoi più assidui coadiutori all'Ufficio delle riformagioni. Della sua attività notarile restano, oltre a qualche pergamena, anche due protocolli ora conservati all'Archivio di Stato di Firenze, che vanno rispettivamente dal 13 ag. 1373 al 30 dic. 1377 e dal 26 genn. 1375 al 13 maggio 1378.
Nel settembre del 1370 egli risulta coadiutore di Tinello di Buonasera, allora scriba dei Priori. L'8 ottobre successivo fu eletto dai Signori e dai Collegi notaio dei Sedici della moneta per sei mesi, con il salario di 4 fiorini d'oro al mese.
Poco dopo, nel 1371, otteneva forse il suo primo ufficio pubblico: il 23 settembre, infatti, fu "tratto" fra i consiglieri del Consiglio del Comune per il quartiere di S. Spirito, in carica per quattro mesi dal 1° ottobre successivo. Negli anni seguenti fu quasi sempre presente in palazzo esercitando vari uffici notarili: coadiutore del notaio dei Signori, Giovanni Pizzini, nel bimestre settembre-ottobre 1373; dal luglio al dicembre 1375 notaio degli Ufficiali dei preti; nel settembre 1376 notaio delle Prestanze per il quartiere di S. Spirito, per sei mesi con il salario di 3 fiorini d'oro al mese; nel 1376-77 notaio degli Ufficiali "ad diminutionem Montium". Sembra inoltre che egli sia stato nel 1375-76 notaio degli ufficiali incaricati di curare i fallimenti del defunto Iacopo di Banco Pucci e di Guerruccio di Cione Federighi, di cui molti atti sono conservati nei suoi due protocolli superstiti, e che agli inizi del marzo 1376 sia stato "scriba" di Alberto di Lapo da Castiglionchio e di Rodolfo di Iacopo Ridolfi. Il 1° maggio 1378 era "tratto" per la prima volta consigliere dell'arte dei giudici e notai per il quartiere di S. Maria Novella. Rimase in carica fino al 31 agosto successivo. Dopo il colpo di mano con cui, nel luglio 1378, presero il potere a Firenze, i ciompi deposero il potente Piero di Grifo da Pratovecchio dall'importantissimo ufficio di notaio delle Riformagioni, che egli ricopriva fin dal 1348, e lo condannarono all'esilio. Quindi, già il 20 dello stesso mese, pretesero che il F. fosse nominato al suo posto (Caso o tumulto dei ciompi, in Rer. Ital. Script.).
Il notaio delle Riformagioni svolgeva un ruolo molto importante nell'amministrazione e nella vita pubblica fiorentina. A lui spettava il compito di preparare il testo delle leggi (provvisioni o riformagioni) che, elaborate dai Priori e dalle altre magistrature, dovevano essere presentate all'approvazione dei Consigli del Popolo e del Comune. Insieme con il cancelliere delle Lettere e con altri pubblici ufficiali, inoltre, partecipava alle operazioni segrete relative alle "imborsazioni" dei nomi dei candidati alle principali cariche della Repubblica e ai loro scrutini. Provvedeva alla stesura di numerosi tipi di scritture pubbliche; riceveva il giuramento che alcuni magistrati dovevano pronunciare al loro ingresso in carica. Custodiva infine l'archivio della Cancelleria e si occupava di molte altre incombenze di palazzo.
Se la notizia fornita dal Caso o tumulto de' ciompi è fededegna, ci rimangono incomprensibili le ragioni per cui il F. fu designato dal nuovo regime a ricoprire un ufficio così delicato e prestigioso. È da escludere, infatti, che egli fosse fra i partigiani dei ciompi, sebbene avesse svolto qualche anno prima l'ufficio di notaio degli Otto dei preti, magistratura invisa alla parte più conservatrice della classe dirigente fiorentina. Sembra comunque accertato che nella sua precedente attività a palazzo si fosse conquistato la fama di notaio solerte e discreto, alieno da quel "parteggiare", che aveva invece contraddistinto ser Piero. Fra le altre petizioni approvate nei Consigli del 21 e 22 luglio vi fu anche quella che il notaio dei Signori, Baldo Brandaglie, e lo stesso F. fossero fatti "consortes et confederati" di Salvestro de' Medici e dei Priori che nel giugno precedente avevano iniziato la "rivoluzione".
Dopo la sconfitta dei ciompi il F. fu confermato nell'ufficio di notaio delle Riformagioni il 1° sett. 1378 da qual medesimo parlamento di tutto il popolo fiorentino che soppresse la stessa arte dei ciompi e che confermò nell'incarico di cancelliere delle Lettere Coluccio Salutati.
La delibera testimonia la stima e il credito di cui il F. godeva presso il popolo fiorentino, nonché l'influenza da lui acquistata all'interno delle arti mediane, che avevano rovesciato i ciompi e detenevano allora il potere. Essa superava infatti, innovandolo, il dettato degli statuti del 1355, i quali prevedevano che l'ufficio di notaio delle Riformagioni fosse conferito solo a forestieri.
Dopo la sua nomina a notaio delle Riformagioni, il F. non ricoprì più alcuna carica pubblica, fatta esclusione per quelle della sua arte. Riconfermato nell'ufficio il 31 ag. 1380, prestò giuramento nelle mani del notaio dei Signori, Michele di Iacopo da Rabatta. Il 1° settembre fu "tratto" di nuovo consigliere dell'arte dei giudici e notai, il 5 maggio dell'anno seguente presenziò in nome e per conto del Collegio della Signoria, come padrino, al battesimo del quinto figlio del Salutati. L'avvento al potere nel gennaio 1382 di un nuovo "reggimento" più conservatore e in parte dominato dagli "arciguelfi" della Parte non ebbe alcuna ripercussione sulla vita e sulla carriera del F. e del Salutati. Il 31 gennaio, infatti, entrambi vennero riconfermati nei loro uffici.
Nello scrutinio per i notai della Signoria tenutosi nel febbraio il F. si qualificò per il suo quartiere lasciandosi "imborsare", mentre il 10 di quello stesso mese, allorché si fece lo scrutinio per i tre maggiori uffici del Comune (Priori e gonfaloniere di Giustizia e i due Collegi dei Dodici buonuomini e dei Sedici gonfalonieri di compagnia), "noluit ire ad partitum quia retinebat secretum scruptinii", come si legge nei registri delle Tratte. Negli anni successivi, tuttavia, sebbene più volte sorteggiato per la carica dei Signori, non poté esercitarla mai, avendone "divieto". Continuò a partecipare invece ai Consigli del Popolo quando si trovava a capo della sua arte, come proconsole o console, avendone diritto ex officio. Il 23 apr. 1382, in forza del decreto dei consoli di quella corporazione promulgato il 31 marzo precedente, venne immatricolato nella prestigiosa arte della lana, appena uscita vincitrice dal confronto con le arti minori: segno ulteriore della considerazione in cui lo teneva il nuovo "reggimento".
Dal 1382, quando fu ancora una volta "tratto" fra i consiglieri della sua arte, la vita del F. sembra essere trascorsa serenamente, fra gli impegni di lavoro e le cure familiari. Il suo prestigio e il suo potere andarono aumentando: nel 1387 ottenne il privilegio di portare armi in città e nel contado, privilegio che gli fu rinnovato dalle Balie dell'ottobre 1393, del novembre 1400 e del giugno 1412. Accanto a quelli di responsabile dell'ufficio di notaio delle Riformagioni, il F. si vide inoltre attribuire nuovi compiti, come, intorno al 1390, l'ufficio di notaio dei "riformatori" (revisori) degli statuti delle comunità soggette al Comune e altre competenze minori. Si trattò con ogni evidenza di un provvedimento "ad personam": queste attribuzioni furono infatti negate a Martino di Luca Martini, quando subentrò al F. come notaio delle Riformagioni.
Fu capo dei consoli dell'arte dei giudici e dei notai nel 1390, 1394 e 1409 (aprile); console nel 1399, 1402, 1404, 1407, 1409 (settembre), 1413; consigliere nel 1392, 1397, 1400, 1403, 1406, 1411, 1412; fu iscritto alla più prestigiosa delle arti dei mercanti di panni, quella di Calimala. Godeva di una florida situazione finanziaria, dovuta ai cospicui proventi del suo ufficio e poteva mantenere una grande famiglia: siamo infatti informati che nel 1403 egli venne allibrato in 18 lire e che perciò dovette pagare una prestanza di 54 fiorini d'oro. Secondo Martines, era il ventisettesimo contribuente del suo quartiere su un totale di 1.492, il che lo pone fra i "prestanziati" più ricchi di S. Maria Novella.
Fin quasi dalla sua elezione egli venne di frequente consultato nel corso delle riunioni delle principali magistrature cittadine sia a proposito di problemi connessi con l'amministrazione interna e di controversie di legalità costituzionale, sia su questioni di politica estera, spesso insieme con il Salutati. A partire dai primi anni del Quattrocento si hanno precise notizie della sua influenza sul "reggimento": così nel luglio 1403 il F. e il Salutati risultano in corrispondenza con Matteo di San Miniato, segretario del re di Napoli Ladislao d'Angiò Durazzo; nel 1404-1405 fu "magna pars" nelle trattative di pace fra Firenze e Siena e nei successivi rapporti tra le due Repubbliche; inoltre rappresentò spesso la Signoria in cerimonie ufficiali. Il 5 maggio 1406 fu incaricato di commemorare il Salutati e il 4 luglio 1408 il suo nome fu incluso nella lista dei cittadini che, in occasione del passaggio di Gregorio XII attraverso i territori di dominio fiorentino, avrebbero dovuto consegnare, se richiesti, a garanzia del papa, i loro figli in ostaggio.
Il F. dovette continuare a svolgere la sua attività in palazzo fin quasi alla morte: l'ultimo Consiglio in cui svolse le sue consuete mansioni fu quello del Comune tenutosi il 28 giugno 1414.
Il 5 agosto dello stesso anno dettò il testamento, nominando eredi universali i propri figli maschi e legando, a proprio suffragio, lasciti a chiese e a enti religiosi, quali gli eremitani di S. Maria degli Angioli e il capitolo di S. Croce.
Morì a Firenze il 18 ag. 1414 e venne sepolto in S. Croce. Il Richa ci ha conservato il suo epitaffio.
Il F. aveva sposato una donna di cui non si conoscono né il nome né la posizione sociale. Da lei ebbe Francesco, che, nato probabilmente nel 1379 ed emancipato nel 1397, conseguì nel 1407 la laurea in diritto a Bologna: iniziò la professione intorno al 1410 e nel maggio del 1422 fu "tratto" tra i Priori; Neri e Lodovico, gemelli, nati nel 1381, che furono emancipati nel 1397, insieme con il loro fratello maggiore; Andrea, che fu preposto di Prato e protonotario apostolico; Giovanni, che nacque il 7 sett. 1389, divenuto notaio nel 1407, nel 1412 fu fatto notaio delle Prestanze e fu tra i Priori nel novembre 1439 e nel settembre del 1443; infine Antonia, che nel 1406 risulta sposata a Ranieri Bagnesi.
Ci sono inoltre noti i nomi di altri tre figli del F. avuti con ogni probabilità dal suo secondo matrimonio con una donna di cui ignoriamo il nome: Silvestro, nato sul finire del sec. XIV; Franco, nato il 29 ott. 1399; e Leonardo nato il 4 apr. 1407. Tutti e tre erano ancora "pupilli" nel 1414, come risulta dal testamento del Franchi. La Nicolosa che il Marzi afferma essere stata la prima moglie del F. sembra invece sia stata consorte del fratello di quest'ultimo, Cille (Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani, 2157, n. 283, 1385).
Al F. è attribuita un'operetta, Istruzioni date a' Priori per bene esercitare l'uffizio loro, per la maggior parte inedita, conservata manoscritta presso l'Archivio di Stato di Firenze (Signori, Carte di corredo, 9, cc. 1r ss.).
Fratello minore del F., Cille (Michele), svolse pure un ruolo di una certa importanza nella vita pubblica fiorentina. Messo "a partito" per l'arte degli albergatori nello scrutinio per i Tre maggiori nel febbraio del 1382, "tratto" per l'Ufficio dei difetti nel marzo di quello stesso anno, tra gli Otto sindaci dell'esecutore di Giustizia nel gennaio 1383, nel marzo successivo venne sorteggiato alla Magistratura della condotta per l'arruolamento delle truppe mercenarie e in agosto tra gli "arroti" (aggiunti) al Consiglio del Comune. Il 16 novembre fu ascritto alla prestigiosa arte della lana. Nel 1389 fu "tratto" all'ufficio dei Dodici. Presente ai Consigli negli anni compresi tra il 1390 e il 1397, nel 1392, fu "tratto" a quello dei Gonfalonieri e nel 1393 fu - primo della famiglia - gonfaloniere per il bimestre maggio-giugno; nel febbraio 1396 fu camerlengo della Gabella delle porte. Nel 1411 fu di nuovo gonfaloniere, questa volta per il bimestre luglio-agosto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Arte dei giudici e notai, 22, 1 maggio 1378; 1° sett. 1380; 26, cc. 3r-4r, 10r, 15r, 16r, 17r, 18r, 19v, 20r, 53v, 57v, 59r, 61r, 63r, 64r; Arte della lana, 20, cc. 96r, 97r; 542, c. 70r; Balie, 16, c. 3r; 17, cc. 21v, 27rv, 68r, 107v; Bigallo, 2 marzo 1372; Camera del Comune, Camerlinghi, Uscita, 198, 28 febbr. 1371; 210, 12 sett. 1373; 234, 4 e 30 dic. 1378 (per il pagamento della prima rata di stipendio al F., quale notaio delle Riformagioni); Camera fiscale, 18 marzo 1370; Camera del Comune, Provveditori e ufficiali di banco, spese per condotte, 1, cc. 9v-10r; Consulte e Pratiche, 22, c. 80r; 23, c. 1v; 24, c. 114v; 47, c. 171v; Diplomatico, Carmine, 24 dic. 1364; Ibid., Monte Comune, 28 sett. 1370; Ibid., S. Maria degli Angioli, 5 ag. 1414; Libri fabarum, 50, c. 133v; Manoscritti, 248: Priorista Mariani, c. 1227 (per Cille); Manoscritti, 618, cc. 50, 56, 72, 78; Monte Comune, 1564, parte II, cc. 1r, 219v; Notarile antecosimiano, 21201, cc. 53v-55v; 21202; Prestanze, 1996, c. 192v; Provveditori di banco, 1, c. 19v; Provvisioni, Registri, 65, c. 122r; 67, cc. 1r, 4v; 103, cc. 4v-46v, 82r; Signori e Collegi, Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 4, cc. 39v, 69v, 75v; 5, c. 90r; 11, c. 80v; 18, c. 14v; 19, c. 79v; 22, c. 69v; Ibid., Deliberazioni in forza dispeciale autorità, 15, c. 79v; Ibid., Bastardelli di sbozzi, 2, c. 99v; Tratte, 79, cc. 93r, 96r, 102r, 108r; 355, c. 69v; 596, cc. 68r, 81v, 119r, 158v, 165r (per Cille), 168r; 654, cc. 4v, 87r, 89v, 109v; 655 (già 315), cc. 2v, 22r, 106r, 143r; 656 (già 316), cc. 4v, 87r; 657 (già 317), cc. 3v, 143r, 154r, 166r; 676, cc. 33r, 43r, 59v, 112v, 121v, 132v, 168r (per Cille); 677, cc. 15r, 41v, 53v, 72r, 79r, 93v, 112r, 133r (per Cille); 766, c. 49r; 1001, c. 187v; Arch. di Stato di Siena, Concistoro, 1857, nn. 25, 46, 66, 69, 71, 75, 76; 1860, nn. 1, 13, 28, 77 (per le trattative tra Siena e Firenze del 1408); Firenze, Bibl. naz., Mss. II, IV, 347, c. 37; Mss. II, VI, 86: Priorista Calamari, cc. 240, 267 (per Cille); XXV, 399, c. 162; XXVI, 131, c. 216; XXVI, 137, c. 184; Firenze, Bibl. Riccardiana, Mss. Ricc., 1187, c. 89v; 2024: Priorista Segaloni, c. 376 (per Cille); 3229, cc. 79r, 93v; Caso o tumulto de' ciompidell'anno 1378, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, col. 1120; A. Acciaioli, Cronaca, a cura di G. Sgaramella, ibid., 2ª ed., XVIII, 3, p. 29; M. Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, ibid., XXX, rubr. 800, 914; B. Pitti, Cronaca, Firenze 1720, p. 128 n. 1; Delizie degli eruditi toscani, XVI (1783), pp. 181, 255; XVIII (1789), pp. 225 ss.; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, a cura di C. Guasti, Firenze 1867, I, pp. 171 s.; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, in Fonti per la Storia d'Italia… [Medioevo], XV-XVIII bis, Roma 1891-1911, I, p. 290 n. 3; IV, pp. 168, 290, 404, 445-448, 466; Facezie e motti dei secoli XV e XVI, Bologna 1874, pp. 80 s.; L. Mazzei, Lettere di un notaro a un mercante del sec. XIV…, a cura di C. Guasti, Firenze 1880, I, pp. 8 s.; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, a cura di G. Cherubini, Firenze 1987, I, pp. 36, 128-132, 137 s., 148 s., 155, 161-163, 217, 222, 341, 349, 374; II, pp. 514, 580-582; G. Richa, Notizie istoriche intorno alle chiese fiorentine, Firenze 1754, I, p. 86; L. Martines, The social world of the Florentine humanists, 1390-1460, Princeton 1963, p. 106; Id., Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 333 n., 492; G. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton 1977, pp. 265 s., 269 n.