VIVIANI, Antonio detto il Sordo di Urbino
– Nacque a Urbino nel 1560 da Tommaso e da Petra Castellucci di Acqualagna (Pungileoni, 1835).
Tutt’altro che definita è la sua prima formazione. Giovanni Baglione (1642, p. 103) e Giulio Mancini (1617-1621, 1956-1957) lo dicono allievo diretto di Federico Barocci. Sfuggono tuttavia i termini di questo discepolato, mentre recenti notizie d’archivio confermano una formazione romana presso Ottaviano Mascarino, svoltasi sui disegni di Raffaellino da Reggio (Moretti, 2009, pp. 82 s.). Dell’apprendistato presso l’artista bolognese, ignoto alle biografie più antiche, riferiscono anche Girolamo Vernaccia (Pesaro, ms. Oliv. 1096, c. 151r), Andrea Lazzari (1797, p. 54) e Luigi Lanzi (1809, p. 152). Barocci non fu dunque l’esclusivo riferimento per Viviani, il quale va piuttosto inserito nella schiera dei giovani che seguivano a Roma la maniera morbida e vaga di Raffaellino (Baglione, 1642, p. 26). Il Sordo dipinse sulla base di valori formali della cultura emiliano-correggesca condivisi dai suoi maestri, optando nell’affresco come nella tela per un colorismo sciolto (non estraneo nemmeno a Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino), dal quale si genera quella tipica atmosfera densa, a volte una coltre leggera, che addolcisce ogni secchezza del segno. In continuità con la più schietta pratica di Barocci e di Raffaellino, il disegno permane tuttavia come irrinunciabile fondamento della sua pittura.
Nel dicembre del 1581 Viviani ricevette un compenso dalla Compagnia della Morte di Urbino per la decorazione dell’oratorio della SS. Annunziata (Scatassa, 1904, pp. 200 s.; Bravi, 2003): a lui sono state ipoteticamente riferite la Visitazione e l’Assunzione (Valazzi, 2005, p. 115).
Il trasferimento a Roma potrebbe essere avvenuto già alla fine del pontificato di Gregorio XIII. Negli anni di Sisto V (1585-90), Viviani, come altri pittori del ducato di Urbino, tra i quali Giovanni Paolo Severi, Giorgio Picchi e Giovan Giacomo Pandolfi, fu attivo a Roma nei frenetici cantieri pittorici, sotto la direzione di Giovanni Guerra e Cesare Nebbia (Moretti, 2018, p. 95). La sua mano è stata riconosciuta da Giuseppe Scavizzi (1960, pp. 327 s.) in alcune scene della rampa di sinistra della Scala Santa: nella volta Abramo e Isacco salgono al monte (riferibile invece al durantino Picchi), il Sogno di Giacobbe e Giuseppe venduto, e nella parete sinistra Giuseppe gettato nel pozzo (attribuzione confermata da Zuccari, 1992, p. 138). Va riferito a Viviani anche Il serpente generato dalla verga, sempre nella parete sinistra, dipinto già associato al fare di Girolamo Nanni (p. 132). Questa scena non è da confondere con l’analoga dipinta nella volta da Andrea Lilio (Baglione, 1642, p. 139; Barroero, 1991a, p. 143). Nella rampa destra possono essere ricondotti a Viviani anche Sansone e le porte di Gaza e David che placa la pazzia di Saul. Nel palazzo apostolico lateranense sono riconosciuti al Sordo il Tu es Petrus nella sala dei Pontefici e le figure allegoriche nella sala degli Obelischi (Barroero, 1991b, p. 221). Nella biblioteca Sistina Viviani ebbe un ruolo secondario, ma la sua mano è stata riconosciuta da Alessandro Zuccari in due affreschi che completano la scena del Concilio Lionese II: Gregorio X abbraccia un vescovo greco e il Battesimo di un re tartaro (Zuccari, 1992, p. 96, e 2012, p. 302).
La critica ha messo in evidenza un’affinità tra la maniera di Viviani e quella dell’anconetano Lilio, con il quale il primo lavorò in stretta collaborazione a S. Girolamo degli Illirici (1590-91), commissione che si protrasse oltre il pontificato Peretti. Non è facile distinguere gli apporti dei due pittori marchigiani nella composizione delle seguenti storie: Disputa di s. Girolamo, Consacrazione sacerdotale di s. Girolamo, S. Girolamo ricompone la controversia tra i vescovi romani (Pulini, 2003). Nella vicina chiesa di S. Rocco, nella cappella del Crocifisso, Viviani dipinse una «Nostra Donna e s. Giovanni Evangelista, e, per di sopra, Dio Padre con Angioli a fresco» (Baglione, 1642, p. 103). Le pitture, come altre documentate nelle chiese romane, risultano perdute (Valazzi, 2005, p. 127). Baglione attribuisce a Viviani la Pietà dipinta per l’altare della seconda cappella a destra della chiesa di S. Maria ai Monti, copia dell’analogo soggetto realizzato da Lorenzo Sabatini per la sacrestia di S. Pietro e direttamente ispirato alla Pietà Bandini di Michelangelo (Baglione, 1642, p. 103; Coronelli, 1703).
Negli anni del pontificato sistino Viviani lavorò a giornata e con poco guadagno, per di più menomato dalla sua sordità (Baglione, 1642, p. 104; Orlandi, 1704). All’inizio degli anni Novanta tornò a operare nel Ducato di Urbino. L’occasione per il primo riconoscimento in patria si concretizzò nel 1595, quando il Sordo venne scelto, su consiglio di Barocci, per la decorazione della volta della cappella del SS. Sacramento di Urbino, dove dovevano essere posizionati due dipinti del maestro: l’Ultima cena e la Caduta della Manna, quest’ultima poi affidata ad Alessandro Vitali a seguito di una richiesta esosa di Federico Zuccari (Negroni, 1993). Viviani realizzò le tele con i Miracoli dell’Eucarestia, ponendosi in sintonia con il cromatismo di Barocci e mettendo a frutto l’esperienza compositiva e narrativa appresa nei cantieri sistini, particolarmente alla Scala Santa.
Come ha notato Maria Rosaria Valazzi, il legame tra Viviani e Barocci non fu in questi anni soltanto stilistico, ma rientrò appieno nelle dinamiche della bottega. Secondo la ricostruzione di Calzini (1910, p. 12) fu il Sordo ad accompagnare nel 1596 a Genova il Crocifisso con la Vergine, s. Giovanni Evangelista e s. Sebastiano realizzato per il senatore poi doge Matteo Senarega (Emiliani, 2008, II, p. 172). Nell’occasione, come scrive Raffaele Soprani (1674, p. 296) riferendosi tuttavia a un «Antonio Antoniani suo degno allievo», il pittore di Urbino avrebbe dipinto un’Incredulità di s. Tommaso e la Madonna venerata da s. Giovanni Battista e s. Nicola da Tolentino, opere disperse. Pur godendo di una certa indipendenza, Viviani era a questo punto un gregario del maestro: tra il 1598 e il 1599 furono a lui affidati i Misteri dipinti attorno alla Madonna del Rosario di Barocci, destinata alla chiesa di S. Rocco a Senigallia (Anselmi, 1905).
Nel 1598 Viviani progettò e realizzò gli apparati trionfali per il passaggio a Pesaro di Clemente VIII insieme a Picchi, a Damiani e a Virgilio Nucci (Scorza, 1980, pp. 24 s.). Fu parte del seguito papale anche il cardinale Cesare Baronio, grazie al quale Viviani poté riprendere la via di Roma, dove era presente già nell’anno giubilare del 1600. In quell’anno inviò dalla capitale pontificia l’Annunciazione per l’oratorio di S. Maria del Gonfalone a Fabriano (Costamagna, 1973-1974, pp. 268 s.; Mochi Onori, 1992, p. 328). Nell’opera si intravedono alcune suggestioni tratte dalle prove di Cristoforo Roncalli e forse anche di Caravaggio.
Nella Roma clementina, in assenza di Barocci, verso il quale la capitale pontificia continuava a rivolgere un vivo interesse (Moretti - Zuccari, 2009), Viviani fu chiamato da Baronio a dipingere nell’oratorio di S. Barbara a S. Gregorio al Celio (Mancini, 1617-1621, 1956-1957, I, p. 246), dove, aderendo con puntuali citazioni ai modelli del maestro urbinate, volle dichiarare la sua appartenenza a «quella grande e famosa scola» (Gronau, 1936). Come nei Misteri del Rosario affrescati nella cripta di S. Domenico a Cagli nello stesso giro d’anni (Mochi Onori, 2008), nelle Storie di s. Gregorio si nota un sistematico e metodico reimpiego delle più celebri composizioni del maestro.
Viviani fu presente tra i decoratori della sala dei Palafrenieri in Vaticano, lavorando a fianco di Paul Brill, già attivo con Baldassarre Croce e Cherubino e Giovanni Alberti nell’attigua sala Clementina. Anche per questa sala Vernaccia riconobbe a Viviani un ruolo di ‘capomastro’, con il compito di versare a Brill 60 paoli al giorno.
Con la morte di Barocci nel 1612, Viviani sembrò guadagnare una propria autonomia, frutto, d’altronde, di un percorso articolato. Di questa nuova fase sono testimonianza gli affreschi del grande salone al primo piano dell’Archivio apostolico Vaticano, nei quali il pittore si cimenta in un soggetto allegorico, il Trionfo di Paolo V, che sembra preannunciare gli ancora lontani esiti della pittura encomiastica di età barocca. In questi anni, tra il 1612 e il 1613, Viviani fu impegnato nelle stanze di Paolo V in Vaticano: nelle sale dell’Archivio lavorò a fianco di Giovanni Battista Calandra e Marzio Ganassini, mentre nei due ambienti paolini della biblioteca intervenne sotto la direzione di Giovanni Battista Ricci da Novara (Fumagalli, 2014). Viviani poté quindi permettersi un gruppo di ‘compagni’, di cui purtroppo ignoriamo i nomi, con i quali lavorò, per la notevole somma di 1500 scudi, alla decorazione di palazzo Sforza Cesarini, poi compreso nel nuovo palazzo Barberini (Mochi Onori, 1992, pp. 328 s.).
A collaboratori di Viviani, tra i quali forse andrebbe individuato Girolamo Cialdieri, si devono gli affreschi della cappella dei Tessitori nel duomo di Fabriano, raffiguranti S. Sebastiano curato da s. Irene e il Battesimo di s. Barbara (Vanni, 2003). Le due scene si allontanano dal colorismo baroccesco per assestarsi su uno stile narrativo piano che ricorda alcune semplificazioni dell’ultima attività romana del Sordo, segnata dalla maniera di Ricci.
Il 16 dicembre 1614 morì a Roma donna Margherita, moglie di Viviani e madre della figlia Felicia (Pungileoni, 1822). Antonio tornò a Urbino per lavorare ancora alla decorazione della chiesa di S. Francesco di Paola, ricevendone il saldo nel 1616 (Mosconi, 2006).
L’ultima sua impresa pittorica di rilievo è la decorazione della volta e dell’abside della chiesa di S. Pietro in Valle, che lo impegnò tra il 1618 e il 1620 (Costamagna, 1973-1974, pp. 280 s.). Le Storie di s. Pietro, composte seguendo il filo della narrazione baroniana degli Annales, racchiudono un’intera carriera, ma i richiami a Barocci sono ormai vaghi, a vantaggio delle più corsive soluzioni sperimentate nell’ultimo soggiorno romano. Nella cappella di S. Paolo Viviani realizzò la Conversione e il Martirio dell’Apostolo oggi alla Pinacoteca civica di Fano (La Pinacoteca civica di Fano, 1993). Si collocano nel medesimo frangente le decorazioni delle cupolette della cappella di S. Paterniano nell’omonima chiesa della città.
Nelle opere più tarde Viviani sembra riscoprire anche Correggio, i cui echi si rinvengono in diverse pale d’altare, alcune di notevole qualità (per un primo elenco delle opere ancora reperibili e di quelle perdute si rimanda al saggio monografico di Maria Rosaria Valazzi, 2005, p. 127).
Sulla vasta produzione grafica di Viviani – conservata prevalentemente nei fondi del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi e della Galleria nazionale delle Marche – si sono soffermate Alba Costamagna (1973-1974, pp. 286-298), Marina Cellini (1999, passim) e Catherine Monbeig-Goguel (1992), la quale ha attribuito a Viviani un corpus di disegni del Louvre relativi a un foglio del Paradiso conservato presso lo Statens Museum for Kunst di Copenaghen. Si deve a Denis Morganti (2008, p. 138, n. 11) l’aver ricondotto con certezza questi fogli a Picchi.
Viviani morì a Urbino il 6 dicembre 1620 (Pungileoni, 1835).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-1621), I-II, a cura di A. Marucchi, Roma 1956-1957, pp. 246, 325 s.; G. Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Vrbano ottauo nel 1642, Roma 1642; R. Soprani, Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi, e de’ forastieri che in Genova operarono, con alcuni ritratti degli stessi, I, Genova 1674, p. 424; V. Coronelli, Biblioteca universale sacro-profana, antico-moderna, Venezia 1703, n. 4625; P.A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 75; A. Lazzari, Dizionario storico degl’illustri professori delle belle arti e de’ valenti mecanici d’Urbino, in G. Colucci, Delle antichità picene, Fermo 1797, pp. 1-56; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia. Dal risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del XVIII sec., II, Bassano 1809, p. 152; L. Pungileoni, Elogio storico di Giovanni Santi pittore e poeta, padre del gran Raffaello di Urbino, Urbino 1822, pp. 89-91; Id., Elogio storico di Timoteo Viti da Urbino, Urbino 1835, pp. 89 s.; E. Scatassa, Artisti che lavorarono in Urbino nei secoli XVI e XVII, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, VII (1904), pp. 200 s.; A. Anselmi, Un secondo quadro del Barocci a Senigallia. Notizie e documenti, ibid., VIII (1905), pp. 140-145; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, p. 202; G. Scavizzi, Gli affreschi della Scala Santa ed alcune aggiunte per il tardo manierismo romano, in Bollettino d’arte, s. 4, XLV (1960), pp. 327-335; A. Costamagna, A. V., detto il Sordo di Urbino, in Annuario dell’Istituto di storia dell’arte - Università di Roma, 1973-1974, pp. 237-303; G.G. Scorza, Pesaro fine secolo XVI. Clemente VIII e Francesco Maria II della Rovere, Venezia 1980, pp. 24 s.; L. 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