VIVARIO (Vivarium; ζωγρεῖον, ϑηριοτροϕεῖον)
Con questa parola che, all'età di Augusto, sostituì l'antico nome di leporarium (originariamente "allevamento di lepri", ma poi usata con più larga accezione), i Romani indicarono quei parchi o recinti in cui venivano mantenuti, allo stato naturale, animali selvatici e fiere; nonché i vivai, vasche per l'allevamento dei pesci (vivaria piscium; piscinae). Si ricorda, come primo parco del genere, quello di Q. Fulvio Lippino (Varrone, De re rustica, III, 12), ricco proprietario del tempo di Cicerone, poi quelli di Lucullo e Ortensio. Erano specie di riserve di caccia, dell'estensione di 10 o più ettari, per lo più di terreno boschivo, con alte mura di cinta, bacini d'acqua in opus signinum, ecc. Il guardiano (custos vivarii) aveva cura d'integrare il nutrimento naturale, quando non era sufficiente, badava alla riproduzione e, eventualmente, alla vendita degli animali: per lo più daini, gazzelle, cervi, caprioli, cinghiali, onagri, selvaggina di cui i Romani erano ghiotti. In speciali recinti si tenevano lepri (leporarium), ghiri (glirarium), ecc. Col tempo l'uso del vivario si estese; non più limitandosi alle esigenze pratiche di una mensa pur raffinata, ospitò fiere d'ogni genere e fu una delle tante espressioni spettacolari del lusso della società romana. L'affermarsi e l'estendersi di quest'uso rivela probabilmente influssi orientali (il παράδεισος annesso alla reggia dei re persiani era una specie di giardino zoologico), e si riconnette con il costume della venatio, spettacolo di caccia, che era venuto di moda a Roma e nelle provincie dal 186 a. C. Un grande vivario fu naturalmente in Roma alle dipendenze dell'anfiteatro; questo si trovava, giusta una testimonianza di Procopio, presso la Porta Prenestina accanto alle mura Aureliane. Il nome di vivario dato al castro pretorio non sembra risalire che al sec. XII; ma altri minori ve ne furono in Roma stessa e altrove come attesta il frequente toponimo vivaro o vivara.
Per i vivai di pesci, v. piscicoltura.
Bibl.: G. Lafaye, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des ant. gr. et rom., V, p. 957 segg.; L. Friedländer, Sittengeschichte Roms, 10ª ed., Lipsia 1922-23; Plutner-Ashby, A Topographical dictionary of ancient Rome, Oxford 1929, pagina 582 seg.