VIVARA
È la più piccola delle isole flegree (oggi unita a Procida grazie a un ponte costruito per il passaggio dell'Acquedotto Campano), che ha restituito importanti testimonianze per la conoscenza dei più antichi rapporti fra il mondo egeo e quello peninsulare italiano. Un notevole numero di reperti ceramici micenei d'importazione (databili fra il Tardo Elladico I e il III) sono venuti alla luce durante gli scavi condotti a partire dal 1976 nei due siti di Punta Mezzogiorno (estremità S dell'isola) e Punta d'Alaca (estremità O). Il ruolo di V. quale importante nodo di scambi nel medio-basso Tirreno deve ricondursi alla felice collocazione rispetto alle altre isole flegree e alla prospiciente costa campana e alla sua conformazione topografica, con l'originario collegamento all'isola di Procida attraverso una lingua di terra (dove oggi passa il ponte dell'acquedotto) che permetteva un facile approdo ai navigli in qualsiasi condizione di venti.
Dopo l'episodico avvio a opera di G. Büchner (1937) con un saggio a Punta Capitello (frammenti del c.d. Appenninico Medio e anche due riconosciuti come micenei), le ricerche hanno accertato con i recenti scavi l'esistenza di almeno altri due insediamenti più antichi attribuibili a due momenti susseguenti della facies culturale detta «Protoappenninico B».
L'occupazione più antica appare quella rilevata sulle balze della Punta Mezzogiorno, a c.a m 30 s.l.m. Qui sono state individuate con sicurezza due unità abitative a pianta ellissoidale del diametro di c.a m 10-12, caratterizzate da un piano pavimentale a conca e strutture portanti costituite da pali lignei. La presenza di frustuli di bronzo, frammenti di crogiolo e di affilatoi attesta la pratica della lavorazione del metallo.
I materiali ceramici associati agli strati più antichi presentano decorazioni a scanalature e cuppelle, forme peculiari come la scodella a calotta ombelicata e sopraelevazione a lingua sull'orlo, o i sostegni a clessidra. Nei livelli superiori in associazione con le prime importazioni micenee, insieme ad alcuni frammenti di ceramica eoliana dello stile di Capo Graziano si hanno alte sopraelevazioni asciformi, scodelle a parete rientrante e decorazione incisa assimilabile ai repertorî eoliani-basso tirrenici.
Il secondo nucleo di insediamento è posto sulla terrazza soprastante la Punta d'Alaca (c.a m 80 s.l.m.) e dovrebbe collocarsi cronologicamente in un momento immediatamente successivo rispetto agli sviluppi tardi di Punta Mezzogiorno (anche se non va esclusa una parziale sovrapposizione cronologica fra l'occupazione nelle due aree). Una grande capanna rettangolare con struttura portante lignea è testimoniata nei suoi limiti pavimentali. Grandi contenitori e una vasta gamma di attingitoi ne costituivano l'arredo mobile più diffuso. Fra le forme vascolari specifiche si segnala un esemplare di vaso a partizione interna rinvenuto nei pressi di un focolare costituito da una piastra fittile quadripartita. Ad alcuni metri di distanza a O della struttura abitativa, lo scavo ha messo in luce due strutture parzialmente ipogeiche, circolari, del diametro di c.a m 2-3, adibite verisimilmente a granai. Il riempimento di tali strutture era infatti particolarmente ricco di sostanze organiche. Di recente (scavi 1986-87) è stata identificata una seconda capanna, a c.a m 5 a SO della prima, dal contorno ovale, ricca di reperti ceramici di piccole e medie dimensioni ancora in situ. Al centro era presente anche in questo caso un focolare costituito da una piastra fittile quadripartita.
I resti insediamentali della Punta d'Alaca si trovano a oltre m 2 di profondità rispetto all'odierno piano di campagna. A parte il primo metro circa di accumulo recente, il resto del terreno appare sigillato da uno strato di ceneri e pomici riferibili a una eruzione ischitana avvenuta in antico (nel Bronzo Antico/Medio). L'accumulo compreso fra il sigillo eruttivo e i resti di insediamenti è composto da terreno scivolato originariamente per fenomeni naturali dalle balze poste più a monte rispetto alla terrazza in questione (il pianoro alla sommità dell'isola si trova a c.a m 110 s.l.m.), contenente materiali in parte contemporanei a quelli della Punta d'Alaca, in parte anche leggermente più antichi (tipo Punta Mezzogiorno), testimoniando così di un'originaria più vasta occupazione di questo versante dell'isola.
Sotto il profilo cronologico, la facies di Punta d'Alaca dovrebbe inquadrarsi in un Protoappenninico Β avanzato (senza escludere la possibilità di attardamenti insulari rispetto al continente), confrontabile con i siti campani di Tufariello e Pertosa. Tale facies è caratterizzata dalla particolare evoluzione delle anse sopraelevate, spesso ad apici e margini rialzati e, talvolta, con costolatura mediana, nonché dalla presenza di uno o più fori. È attestata anche una peculiare forma di ansa a maniglia sagomata e munita talvolta di lobi simmetrici. L'olla ovoidale, l'attingitoio carenato a basso orlo, il vaso a partizione interna, oltre ad alcuni esemplari di grandi dolî, formano il patrimonio essenziale delle forme vascolari.
Tracce di insediamenti riferibili al Protoappenninico Β sono state riscontrate anche alla Punta Capitello in un contesto stratigrafico ormai irrimediabilmente disturbato. Qui le ricerche del Büchner avevano accertato le uniche testimonianze riferibili a un'occupazione di pieno Bronzo Medio (Appenninico tipico).
Considerando più da vicino le testimonianze di importazioni micenee in rapporto agli insediamenti è possibile fissare un quadro schematico dei dati.
1) Le testimonianze più antiche, relative al Tardo Elladico I e I/IIA (tazzette di tipo Vaphiò e brocchette schiacciate), miste a forme e decorazioni riferibili a una tradizione ancora fortemente mesoelladica, sono associate ai livelli più alti di Punta Mezzogiorno. Alcuni frammenti (fra cui esempî di forme chiuse con decorazione matt painted bicroma) attribuibili a questo orizzonte provengono anche dagli strati di accumulo soprastanti ai livelli insediamentali della Punta d'Alaca.
2) Dai livelli più profondi dei c.d. granai alla Punta d'Alaca provengono alcuni frammenti riferibili ancora al momento di passaggio fra il Tardo Elladico I/IIA; il grosso delle testimonianze dalla Punta d'Alaca si riferisce invece al Tardo Elladico IIA, IIB, II/III e IIIA iniziale. Il repertorio tipologico comprende non solo contenitori di forma chiusa/aperta di piccole dimensioni (tazzette tipo Vaphiò, coppe, goblets monocromi, alàbastra, brocchette schiacciate, brocche), ma anche alcuni esemplari di dimensioni medie con decorazione composita su più registri (giare e anfore).
3) I due frammenti originariamente rinvenuti dal Buchner a Punta Capitello e tradizionalmente associati ai reperti appenninici classici, trovano esatti riscontri con il materiale d'importazione rinvenuto nei livelli di abitazione di Punta d'Alaca (Tardo Elladico IIB). Data la presenza ormai accertata di reperti del tipo Protoappenninico Β anche a Punta Capitello e data la completa assenza alla Punta d'Alaca di materiali riferibili all'orizzonte appenninico classico, sembra molto probabile che i frammenti micenei siano da associare a questo orizzonte più antico.
Per quanto concerne le possibili provenienze, a un'analisi puramente formale dei reperti, questi sembrano potersi riferire, soprattutto per le testimonianze più antiche, non solo ad ambiente peloponnesiaco, ma anche ad ambiti insulari minoicizzati (Cicladi, Kythera). Fra i materiali più recenti prevalgono i confronti con l'area peloponnesiaca anche se non vanno sottovalutati alcuni elementi di carattere minoicizzante.
Oltre alle testimonianze offerte dai prodotti ceramici fini d'importazione, occorre mettere in rilievo ancora due fenomeni di estremo interesse. Si tratta, da un lato, della presenza di un notevole numero di frammenti ceramici attribuibili a contenitori d'uso corrente certamente importati dall'area egea che, per le notevoli dimensioni (dolî, giare), devono evidentemente connettersi al trasporto marittimo di beni commestibili e non. D'altro lato, si è potuta verificare una vasta tipologia di «rondelle» (piastrelle circolari ricavate da riutilizzo di pareti di vasi di produzione locale) all'interno della quale sono identificabili più serie omogenee (quanto a diametro) che presentano spesso la suddivisione in spicchi di 1/2 e 1/4. Questa particolare categoria di manufatti si deve riportare, con ogni probabilità, all'uso generalizzato di «unità di computo», un fenomeno ampiamente attestato e studiato per le fasi più antiche dei grandi centri protourbani della Mesopotamia e della Susiana.
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(S. Tusa – M. Marazzi)