ZOPPI, Vittorio. –
Nacque a Novara il 23 febbraio 1898 da Ottavio, dei conti Zoppi, e da Ida Poggi. Il padre fu generale di Corpo d’armata poi nominato senatore, come il nonno Vittorio, già prefetto di Torino negli anni della Destra storica.
Laureatosi in giurisprudenza nel 1921, due anni dopo, in seguito a concorso, fu nominato addetto consolare, quindi nel periodo degli esordi dell’interim di Benito Mussolini come ministro degli Affari esteri, quando le redini della macchina amministrativa erano ancora nelle mani di Salvatore Contarini. Destinato a Monaco di Baviera, vi prestò servizio sino al 1925, anno in cui venne trasferito ad Algeri come vice console di 2a classe. Iniziò lì il periodo ‘africano’ della sua carriera: nominato viceconsole di 1a classe nel 1926, nel 1927 venne trasferito a Bona, in Algeria, quando fu nominato console di 3a classe; nel 1928 fu destinato a Nairobi e nel 1930, con funzioni di primo segretario, ad Addis Abeba. In servizio al Ministero dal 1930, già considerato un esperto di affari africani, fu stretto collaboratore di Giovan Battista Guarnaschelli, prima capo dell’Ufficio IV della Direzione generale affari politici e commerciali Europa, Levante, Africa e, dopo la riforma Ciano, capo ufficio III della Direzione generale affari dell’Europa e del Mediterraneo.
La formazione di Zoppi avvenne dunque tutta nel seno di una tradizione politico-amministrativa animata da forte passione colonialista, che aveva avuto in Giacomo Agnesa il suo iniziatore e in Contarini, Raffaele Guariglia e, appunto, Guarnaschelli autorevoli esponenti (cfr. Monzali, 2017, p. 253).
Nominato primo segretario di legazione di 2a classe nel 1932, svolse funzioni di membro della Commissione permanente dei mandati in seno alla Società delle Nazioni. Primo segretario di legazione di 1ª classe nel 1935 e poi consigliere di legazione nel 1936, in quell’anno fu destinato al Cairo, sede che non raggiunse perché confermato in servizio al ministero. La sua competenza in materia di Africa e vicino Oriente in quegli anni è confermata dalla pubblicazione di alcuni interventi in riviste del tempo, che firmava anche con lo pseudonimo di Narok, tra i quali il più corposo ha per titolo Appunti storici sull’Etiopia, uscito in tre parti sull’autorevole Rivista di studi politici internazionali tra il 1935 e il 1936.
Nel 1939 fu destinato a Madrid con funzioni di consigliere, mentre nel 1942 fu trasferito a Parigi, distaccato a Vichy in qualità di console generale, dove svolse funzioni prettamente politiche, come quando segnalò l’atmosfera di «delusione, scoraggiamento e disorientamento» che si era creata attorno a Pierre Laval, criticato anche negli ambienti collaborazionisti per il pessimo trattamento ricevuto dai tedeschi (Zoppi a Buti il 18 settembre 1942, DDI, Serie IX, vol. IX, p. 140). Nel maggio del 1943 rientrò a Roma e, promosso inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, con Guariglia ministro degli Esteri, occupò la posizione di vicedirettore generale degli Affari d’Europa e del Mediterraneo, mentre fu Renato Prunas a nominarlo direttore generale degli Affari politici, incarico che Zoppi svolse a partire dal 15 luglio 1944.
Si trattava di una nomina del tutto compatibile con la gestione Prunas, di un funzionario che non aveva esitato a voltare le spalle alla Repubblica di Salò, per fedeltà dinastica e perché convinto che le ragioni della Patria stessero dalla parte del governo costituzionale. In quel ruolo Zoppi fu sin dagli esordi esponente di una linea che mirava a difendere i diritti dell’Italia, nella convinzione forse troppo ottimistica che – come ebbe a comunicare a Prunas già nel 1944 a proposito del ripristino dei rapporti diplomatici con la Francia – «ogni giorno che passa ci allontana sempre di più dalle date infauste della nostra storia recente» (Borzoni, 2004, p. 410).
In virtù della sua competenza in materia, fu subito impegnato nella questione delle colonie: la linea di Zoppi era quella di sostenere le rivendicazioni italiane nell’ambito di un’azione che ribadiva la presenza europea in Africa settentrionale e orientale, ciò che presupponeva una collaborazione con la Francia e l’Inghilterra, in opposizione ai nazionalismi autoctoni di quelle aree. Si trattava di una visione comune a quella componente di funzionari coloniali che credeva ancora in un ruolo attivo dei Paesi europei nello sviluppo civile dell’Africa, «investendovi cioè popolazioni e capitali, ossia colonizzandola», sosteneva Zoppi in una lettera a Carlo Sforza del 15 settembre 1947, vedendo come possibile un trustsheep nel quadro di un’azione ONU (DDI, Serie X, 6, doc. 465). Inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1ª classe nel 1947, già membro della Commissione consultiva per l’applicazione delle clausole del trattato di pace, nel giugno del 1948 Zoppi fu nominato segretario generale del ministero degli Affari esteri, nomina che era anche un evidente segnale di normalizzazione e di garanzia per la diplomazia di carriera in una fase di ricorso massiccio alle nomine politiche, soprattutto nelle ambasciate di inner circle.
Quando si delinearono le posizioni delle potenze vincitrici riguardo alle colonie italiane, constatata la diffidenza di Inghilterra e Stati Uniti d’America, Zoppi sostenne la linea di un’intesa con la Francia per ridimensionare le pretese britanniche, in ciò confortato dall’azione dell’ambasciatore italiano a Parigi Pietro Quaroni. Fu al centro dell’azione per la preparazione del piano Bevin-Sforza del 6 maggio 1949, poi respinto dall’Assemblea generale, nonostante il grande lavoro diplomatico diretto a ottenere il consenso dei Paesi latino-americani, alcuni dei quali però poi votarono contro il piano, assieme all’URSS e ai Paesi arabi.
Dopo il fallimento in sede ONU, Zoppi giocò un ruolo decisivo per la messa a punto di un nuovo progetto, prendendo questa volta, atto che le istanze anticolonialiste e anti-imperialiste erano prevalenti in seno alla comunità internazionale, ciò che portò nel novembre del 1949 al riconoscimento dell’indipendenza della Libia a partire dal 1952 e all’amministrazione fiduciaria italiana della Somalia per dieci anni, mentre rimaneva ancora in sospeso la questione dell’Eritrea, che Zoppi nei suoi rapporti al ministro aveva sempre difeso dall’invadenza etiopica.
Circa la collocazione dell’Italia nel sistema occidentale, Zoppi fu moderatamente aperturista, non dimenticando che gran parte della classe politica italiana e anche molti diplomatici nutrivano seri dubbi sull’opportunità di una decisa scelta di campo. Valutò comunque soltanto in linea teorica la possibilità di una neutralità, constatando che questa avrebbe comportato dei vantaggi soprattutto in caso di un conflitto a breve termine tra USA e URSS, mentre in una prospettiva di lunga durata non aveva dubbi sulla convenienza di una partecipazione a un sistema di difesa con gli Stati Uniti. Non si mostrò tuttavia insensibile ai richiami dei più scettici, come Manlio Brosio, consigliando soprattutto di verificare la reale disponibilità degli americani di garantire la sicurezza dei nostri confini. In particolare sull’Unione occidentale, in sintonia con Sforza, la strategia fu quella di prendere tempo, cercando uno spazio di manovra per subordinare l’adesione dell’Italia soltanto in cambio di una revisione sostanziale del trattato di pace (cfr. Zoppi a Tarchiani il 26 aprile 1948, DDI, Serie X, 1943-1948, vol. VII, pp. 797-800), ipotesi che secondo Quaroni, Alberto Tarchiani e Tommaso Gallarati Scotti era però priva di un reale fondamento (cfr. Canavero, 2015, p. 82).
Riguardo agli aspetti più propriamente militari, dopo la ‘risoluzione Vanderberg’ del giugno del 1948, la preoccupazione maggiore fu l’esclusione dal gruppo direttivo dell’alleanza atlantica e, di conseguenza, anche dallo Stato maggiore. Anche in questo caso le istruzioni furono chiare: la posizione geografica, il potenziale demografico e industriale e il possibile contributo alla difesa comune rendevano necessaria la partecipazione italiana. Proprio riguardo alla proiezione mediterranea della penisola, la linea ministeriale trovò un valido supporto nell’azione dell’ambasciatore Quaroni, che fece leva sull’interesse francese a scongiurare l’isolamento nel momento in cui prendevano corpo ipotesi di un rapporto privilegiato tra gli USA e la Germania occidentale. Come ha sottolineato Ennio Di Nolfo (2006), «la presenza italiana nell’alleanza avrebbe automaticamente provocato l’estensione della garanzia atlantica a tutto il Mediterraneo occidentale» e quindi anche all’Algeria, suscitando il forte interesse della Francia (p. 57).
Parallelamente Zoppi fu al centro dell’attività diplomatica nell’avvio del processo di integrazione europea e fu tra gli ispiratori del Memorandum del 24 agosto 1948 in cui si proponeva una dichiarazione dei sedici Paesi dell’ERP (European Recovery Program) per giungere a una Unione Europea attraverso una estensione dei poteri dell’OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica; cfr. Cacace, 1986, p. 298) e scontrandosi in questo caso con le obiezioni del governo inglese. Furono le rassicurazioni di Sforza a Ernest Bevin a spianare la strada per la firma del Patto atlantico il 4 aprile 1949 e all’approvazione dello Statuto del Consiglio d’Europa il 5 maggio successivo, cosa che sanciva il rientro dell’Italia nel nuovo quadro delle relazioni internazionali. In merito al Consiglio d’Europa, Zoppi si tenne costantemente in contatto con l’ambasciatore italiano a Londra Gallarati Scotti, filtrando i consigli di questi in direzione del ministro, al quale infatti scriveva di allinearsi alle posizioni inglesi sia sulla necessità di ridurre i poteri dell’assemblea, sia sulle riserve circa l’ammissione di Paesi come la Grecia e la Turchia (cfr. Zoppi a Sforza il 30 aprile 1949, DDI, Serie XI, vol. II, pp. 896 s.).
Ambasciatore dal dicembre del 1949, Zoppi mantenne la carica di segretario generale anche dopo la fuoriuscita di Sforza nel 1951, quando si potevano considerare ormai consolidati i rapporti diplomatici con la Francia, soprattutto dopo il vertice di Santa Margherita Ligure del febbraio di quell’anno, sicuramente più distesi i rapporti con il Regno Unito e pienamente in atto il riavvicinamento con la Germania di Konrad Adenauer.
A lungo impegnato nelle trattative per l’ammissione dell’Italia all’ONU, rispetto alla quale subì ben cinque veti da parte dell’URSS, riguardo alla questione di Trieste Zoppi sostenne la linea dei contatti diretti con gli iugoslavi, e poi fece parte di quella componente che premeva affinché fosse restituita all’Italia l’amministrazione civile della Zona A del Territorio libero: fu testimone attivo quindi di quel percorso diplomatico che, non senza gravi momenti di tensione durante il governo Pella, portò alla firma del trattato di Londra del 1954, che poneva fine al regime provvisorio militare di Trieste.
Nel dicembre di quell’anno, che vide anche l’affossamento della CED (Comunità europea di difesa), cessò anche l’incarico di segretario generale del ministero, e Zoppi assunse funzioni di ambasciatore d’Italia a Londra, nel quadro di un vasto movimento diplomatico che andava a mutare profondamente l’organigramma di Palazzo Chigi e delle ambasciate di inner circle. Nella capitale inglese seguì da vicino il riposizionamento della politica estera britannica dopo la crisi di Suez (1956), che vide soprattutto Harold MacMillan impegnato a favore di una possibile distensione tra i due blocchi, ciò che si rifletteva nelle posizioni del conte Zoppi, non a caso criticato da Brosio perché era «andato molto in là nel parlare di distensione e nell’invitare il nostro governo ad iniziative distensioniste» (Brosio, 2008, p. 456). Nel 1961 fu ancora al centro di un vasto movimento diplomatico, che lo portò a New York in qualità di capo della rappresentanza permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, sostituito a Londra dal vecchio amico Quaroni. Fu collocato a riposo per sopraggiunti limiti di età nel 1965, ma continuò a prestare la sua opera presso il contenzioso diplomatico.
Morì a Roma il 6 maggio 1967.
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero degli Affari esteri, Archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari esteri, Personale, Zoppi Vittorio; ibid., Direzione generale Affari Politici (1926-1946); ibid., Archivio riservato della segreteria generale (1943-1947); ibid., Documenti Diplomatici Italiani (DDI), Serie IX, 1939-1943, voll. III, IV, V, VIII, IX, X; Serie X, 1943-1948, voll. I-VII; Serie XI, 1948-1953, voll. I-IV; Annuario Diplomatico, 1936, pp. 136, 476; Annuario Diplomatico, 1963, pp. 191, 626.
Il Ministero degli Affari esteri. Governo e diplomazia al servizio del popolo italiano, a cura di G. Brusasca, Roma 1948, pp. 290, 320; L. Zeno, Ritratto di Carlo Sforza, Firenze 1975, pp. 273, 487; M. Brosio, Diari di Mosca 1947/1951, a cura di F. Bacchetti, Bologna 1986, pp. 203 e passim; P. Cacace, Venti anni di politica estera italiana (1943-1963), Roma 1986, pp. 9 e passim; Manuale per una bibliografia dei funzionari del Mae, Roma 1999, p. 259; G. Borzoni, Renato Prunas diplomatico, Soveria Mannelli 2004, pp. 409 e passim; E. Di Nolfo, Carlo Sforza, diplomatico e oratore, in C. Sforza, Discorsi parlamentari, Bologna 2006, passim; G. Borzoni, Diari di Washington 1955-1961, a cura di U. Gentiloni Silveri, Bologna 2008, pp. 102 e passim; T. Gallarati Scotti, Memorie riservate di un ambasciatore, a cura di A. Canavero, Milano 2015, pp. 82 e passim; L. Monzali, Il colonialismo nella politica estera italiana 1878-1949, Roma 2017, pp. 253 e passim.