VERNÈ, Vittorio
– Nacque a Roma l’8 maggio 1883 da Giuseppe e da Adele Bernardi.
Frequentò la Scuola militare di Modena (1901) e la Scuola centrale di tiro di fanteria di Parma (1903). Il 15 maggio 1908 si imbarcò per l’Eritrea, assegnato al III battaglione indigeni. Nel 1911 rientrò in Italia, dove frequentò la Scuola di guerra di Torino e al termine, nel 1914, fu promosso capitano.
Durante la prima guerra mondiale, raggiunto il grado di tenente colonnello nel 1917, come capo di stato maggiore della 50ª divisione combatté sul Montello e sul Grappa, guadagnandosi una croce al merito di guerra, poi commutata in croce di guerra al valor militare (r.d. 3 aprile 1926). Il 10 novembre 1918 fu nominato capo di stato maggiore della 6ª divisione cecoslovacca, formata da volontari ex prigionieri di guerra austro-ungarici che avevano combattuto a fianco dell’Intesa, ora richiamati in patria dal governo cecoslovacco, al comando del generale Luigi Piccione, inquadrati in due divisioni (6ª e 7ª) comandate rispettivamente dal generale Gastone Rossi e dal generale Giuseppe Boriani. Alla fine di dicembre iniziarono l’occupazione della Slovacchia occidentale; quindi, nell’ambito dell’offensiva scatenata contro l’Ungheria comunista di Béla Kun, fu loro ordinato di avanzare in territorio ungherese. La 6ª si attestò a Miskolc subendo poche perdite; tuttavia in seguito all’accanito contrattacco, le truppe italo-cecoslovacche furono costrette a ripiegare, e il 31 maggio 1919 gli italiani ricevettero l’ordine di rimpatriare.
Nel settembre del 1919 Vernè fu nominato capo di stato maggiore della divisione militare territoriale di Fiume, mentre la città, dopo la fine della guerra occupata da truppe italiane e dell’Intesa, si trovava al centro di gravissime tensioni legate alle ambizioni adriatiche frustrate dei nazionalisti, cui non erano estranei i vertici militari. In quello stesso mese Gabriele D’Annunzio entrò in Fiume con i suoi volontari e il generale Vittorio Emanuele Pittaluga gli cedette l’autorità, lasciando la città assieme al suo stato maggiore e dichiarando sciolto il corpo di occupazione interalleato di cui aveva il comando. Sembra che Vernè non ebbe parte in queste vicende, perché gravemente ammalato (L. Limongelli, Un virtuoso..., 1927).
Nel gennaio del 1920 fu inviato presso la Commissione interalleata di Danzica per la delimitazione dei confini russo-polacchi; a febbraio venne infine assegnato alla divisione militare di Novara. Furono gli ultimi incarichi prima di essere posto, ad aprile, in aspettativa per riduzione dei quadri.
Vernè, di tendenze nazionaliste, nel 1927 definì il popolo italiano nel dopoguerra «imbestialito dalla predicazione bolscevica», tranne quella «aristocrazia delle trincee» che aveva trovato in Benito Mussolini il suo capo (V. Vernè, Quello che deve conoscere..., 1927, pp. 17 s.). Nel 1920 si iscrisse al Partito nazionale fascista (PNF) e partecipò alla marcia su Roma, il 28 ottobre 1922 (L. Limongelli, Un virtuoso..., cit.).
Da quel momento la sua carriera fu totalmente dedita alla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN), fondata il 1° febbraio 1923, il cui primo comandante, Emilio De Bono, lo nominò sottocapo di stato maggiore presso il comando generale, con il grado di console generale.
Il 1° settembre 1923 fu effettuata una chiamata per l’arruolamento volontario straordinario di 3000 militi da destinare alle operazioni contro la resistenza libica. Allo scopo furono mobilitate per otto mesi le legioni 132ª Monte Velino (Avezzano), 171ª Vespri (Palermo) e 176ª Cacciatori e Guide di Sardegna (Cagliari), agli ordini di Vernè: era per lui la prova che le camicie nere «non sapevano soltanto battersi sulle vie e sulle piazze d’Italia contro il nemico interno, ma sapevano brillantemente anche affrontare la morte in guerra guerreggiata» (V. Vernè, Le camicie nere..., 1927, pp. 10 s.). In realtà, la partecipazione della Milizia agli scontri fu limitata. Non mancarono tuttavia episodi sgradevoli, il più noto a Homs, il 25 settembre, quando tre militi della Monte Velino irruppero nella moschea, rubarono e profanarono il luogo.
Nel 1925 Vernè fu nominato ispettore generale della Milizia coloniale, chiedendo per ragioni familiari di avere la sede a Roma presso il Comando generale «pur essendo deciso, come mio dovere, a passare gran parte dell’anno in Colonia» (Roma, Archivio centrale dello Stato, ACSR, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, Vernè a Enrico Bazan, 7 settembre 1925).
Vernè sembra essere stato un elemento poco gradito al regime, in primo luogo perché fu più volte critico nei confronti del duce circa la sua gestione della MVSN. Nel 1925 scrisse a Mussolini una lettera molto diretta, nella quale denunciava l’«atmosfera pesante d’indifferenza e d’oblio che si sta addensando su questa nostra magnifica Milizia», accusando il duce di aver lasciato lettera morta le promesse fatte, con il risultato che «all’Esercito non siamo simpatici [...]. I Prefetti si ricordano di noi solo quando premono gravi motivi di ordine pubblico; nelle ordinarie contingenze la Milizia è spesso capro espiatorio di ogni più piccolo incidente. La Pubblica Sicurezza ed i Reali Carabinieri in genere ci sopportano, la burocrazia ci odia, la Magistratura quando può grava la mano» (ibid., Vernè a Mussolini, 14 agosto 1925). In seguito espresse ulteriori critiche.
Da alcune informative della polizia politica è noto che nel 1928 la donna con cui conviveva, figlia della contessa Cappelli Carelli, raccontò di aver saputo in confidenza da Vernè di un suo colloquio con Mussolini nel quale egli descrisse una MVSN ridotta a «un’accozzaglia senza valore alcuno e di spirito molto incerto», rimproverando Mussolini «di non voler far niente per la Milizia» (ACSR, Ministero dell’Interno, Polizia politica, 30 agosto 1928). Nel febbraio del 1932 Vernè sarebbe stato sentito affermare che Mussolini «ha un bel pretendere una intensa preparazione morale e militare [...] quando Egli dimostra quotidianamente di non volere più bene alla Milizia» (ibid., 1° febbraio 1932). Secondo un’altra informativa, Vernè non poteva «perdonare al Capo del Governo di averci abbandonato in un modo così poco bello» (ibid., 22 settembre 1932).
Autore prolifico, fu accusato di «incontinenza giornalistica» (ibid., 30 agosto 1928) a causa della «cruda narrazione» di alcuni suoi scritti (ACSR, nota della Segreteria particolare del duce, maggio 1927). Ad esempio: «Lo squadrista in Libia si sentiva in casa sua; nella sua maniera spiccia e semplice di ragionare egli aveva subito capito che l’Italiano doveva essere il padrone, l’Arabo il sottomesso, l’Italiano doveva comandare, l’Arabo doveva ubbidire senza discutere. E se l’obbedienza non veniva con le buone, il santo manganello l’otteneva pronta, assoluta e rispettosa. [...] La classica teoria squadrista espressa nel ritornello: “Botte, botte, botte, e sempre botte, BOTTE IN QUANTITÀ” può all’occorrenza diventare un’ottima teoria coloniale» (V. Vernè, Le camicie nere..., cit., pp. 27 s.). Alcuni anni dopo, secondo la polizia politica, l’opuscolo di Vernè Per le Camicie Nere dell’Africa Orientale avrebbe causato tali preoccupazioni nei militi da indurre alcuni al ritiro della domanda per l’invio in Africa orientale. Mussolini annotò «Far ritirare questo libro – quando la smetterà di scrivere?» (ACSR, nota della Segreteria particolare del duce, giugno 1935).
Nel 1931 Vernè sposò Bianca Bellini, da cui ebbe tre figli: Fernanda Maria Elvira (1932), Benita Maria Adelaide (1935) e Oberto Massimo (1936).
Vernè ebbe sotto la sua responsabilità diversi comandi della MVSN, cambiando frequentemente destinazione: III Zona (Genova), V Zona (Venezia), XIII Zona (Bari), II Raggruppamento (Bologna), IV Raggruppamento (Napoli). Fu promosso colonnello (1926) e poi generale di brigata (1934) in aspettativa.
Nel 1936, nell’ambito dell’invasione dell’Etiopia, venne richiamato in servizio e nominato vicecomandante della 6ª divisione camicie nere Tevere con il grado di luogotenente generale della Milizia. Partecipò quindi, al comando di una colonna mista celere, all’offensiva lanciata dal generale Rodolfo Graziani ad aprile dal fronte somalo puntando su Harar. In questa operazione la colonna Vernè, autocarrata e forte di 2000 uomini, attraversò rapidamente l’Ogaden come avanguardia della colonna Nasi, sulla sinistra dello schieramento italiano, e l’8 maggio – indossando per l’occasione la camicia nera – giunse per prima a Harar.
Morì il 7 gennaio 1937 a Godofelassi, in Eritrea, a causa di una peritonite non operabile.
Vernè era stato decorato con la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia (r.d. 24 agosto 1936). Il 30 giugno 1936 era stato nominato comandante della 5ª divisione camicie nere 1° febbraio, impiegata nelle operazioni di ‘pacificazione’ del Semien, per le quali ricevette dal governatore dell’Amara due encomi semplici.
Le altre sue decorazioni furono le medaglie a ricordo delle campagne d’Africa; commemorativa nazionale della guerra 1915-18; interalleata della Vittoria; a ricordo dell’Unità d’Italia; commemorativa per le operazioni militari in Africa orientale 1935-36. Fu commendatore degli Ordini della Corona d’Italia, coloniale della Stella d’Italia, e dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Dopo la morte venne decorato da Mussolini con una medaglia d’argento al valor militare alla memoria (r.d. 1° luglio 1937), in occasione della cerimonia per il 14° annuale della MVSN, presso l’Altare della Patria.
Opere. Le prime pagine della storia militare della Milizia Volontaria S. N. in Libia, Tipografia Comando generale MVSN, 1924; La milizia volontaria per la sicurezza nazionale, Roma 1925; La difesa contro aerei: nozioni elementari per le Camicie nere (Milizia volontaria fascista. Comando V zona, ufficio difesa aerea), Venezia 1927; Le camicie nere in Libia, Roma 1927; Quello che deve conoscere ogni camicia nera, Roma 1927; Istruzione premilitare obbligatoria, Napoli 1930-1931; Milizia volontaria sicurezza nazionale: storia, organizzazione, compiti, impiego, Napoli 1932; La milizia e il cittadino-soldato, in Quaderni di segnalazione, I (1934), 12; M. V. S. N: Organizzazione, compiti, impiego, Napoli 1934; Per le camicie nere nell’Africa orientale: notizie, norme, consigli, Napoli 1935; Alla battaglia dell’Ogaden con la colonna Vernè, Milano 1937.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, ACSR, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, anni 1922-43, b. 13, f. 186/R: gen. Vernè a Luogotenente generale Enrico Bazan (CSM della MVSN), Roma 7 settembre 1925; Vernè a Mussolini, Roma 14 agosto 1925; note della Segreteria particolare del duce, s.d. [maggio 1927, giugno 1935]; Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Polizia politica, Fascicoli personali, anni 1926-44, b. 1425, Roma, 30 agosto 1928; Roma, 1° febbraio 1932; Milano, 22 settembre 1932; Guzzoni (Ministero Colonie) a ministero, Asmara 7 gennaio 1937; L. Limongelli, Un virtuoso: il generale Vittorio Vernè, in Italianissima, IV (1927), 8-9, pp. 174-179; La morte in A.O.I. del generale Vernè, in La Stampa, 9 gennaio 1937; La solenne cerimonia di domani all’Altare della Patria, in La Stampa, 31 gennaio 1937.
Sulla 6ª divisione cecoslovacca: L. Ferranti, La Legione Ceco-Slovacca d’Italia nel processo di formazione della Ceco-Slovacchia, Perugia 2018; F. Gritti, La fine della missione militare italiana in Cecoslovacchia nel 1919 alla luce dei documenti d’archivio italiani, in Studi italo-slovacchi, VII (2018), 1, pp. 96-109. Sui fatti di Fiume: P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920), Milano 1959; I.J. Lederer, La Jugoslavia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo, Milano 1966; R. Pupo, Fiume città di passione, Roma-Bari 2018. Sulla MVSN: A. Acquarone, La milizia volontaria nello stato fascista, in Il regime fascista, a cura di A. Aquarone - M. Vernassa, Bologna 1974; V. Ilari - A. Sema, Marte in orbace. Guerra, esercito e Milizia nella concezione fascista della nazione, Ancona 1988, ad ind.; C. Poesio, Reprimere le idee, abusare del potere. La Milizia e l’instaurazione dell regime fascista, Roma 2010. Sull’esperienza coloniale: A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, II, La conquista dell’impero, Roma-Bari 1979, ad ind.; Id., Gli italiani in Libia, II, Dal fascismo a Gheddafi, Roma-Bari 1988, ad indicem.