PUTTI, Vittorio
PUTTI, Vittorio. – Figlio di Marcello, primario chirurgo nell’ospedale Maggiore, e di Assunta Panzacchi, sorella del poeta Enrico, nacque a Bologna il 1° marzo 1880.
Compiuti gli studi classici presso il liceo ginnasio Galvani, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Bologna, laureandosi il 1° luglio 1903 con una tesi sperimentale in anatomia patologica – L’azione della formalina sul rene – diretta da Giovanni Martinotti.
Su consiglio del padre, nel 1905 si recò a Monaco di Baviera; nel 1907, vincitore di una borsa di studio, frequentò scuole di medicina tedesche, fra cui Heidelberg, Berlino, Dresda, Amburgo, arricchendo ulteriormente la sua vasta cultura. Nel 1908 fu nominato vicedirettore dell’Istituto Rizzoli e nel 1910 conseguì la libera docenza in ortopedia, discutendo una tesi sulle deformità della colonna vertebrale, che era già stata oggetto di un’importante pubblicazione sulla rivista Fortschritte auf dem Gebiete der Röntgenstrahlen (1909, vol. 14, pp. 285-313; 1910, vol. 15, pp. 62-92, 243-292).
Le principali ricerche condotte da Putti in questo periodo riguardarono lo studio delle deformità nella siringomielia e nella tabe (in Archivio di ortopedia, XXI (1904), pp. 140-162; XXII (1905), pp. 431-469); la sindrome di deformità del polso negli adolescenti nota con il nome di Madelung (in Archives internationales de chirurgie, III (1906), pp. 64-98; Revue d’orthopédie, s. 2, X (1909), pp. 207-220); l’illustrazione degli angiomi muscolari primitivi come causa di deformità (in Archiv für klinic Chirurgie, 1906, vol. 89, pp. 1031-1043); la ricerca delle cause e delle lesioni anatomo-patologiche che accompagnano l’elevazione congenita della scapola (in Fortschritte auf dem Gebiete der Röntgenstrahlen, 1908, vol. 12, pp. 328-349).
Nel 1911 fu ternato nel concorso per la cattedra di ortopedia e traumatologia dell’Università di Roma; nel 1912, alla morte di Alessandro Codivilla, fu incaricato di assumere la direzione clinica dell’Istituto Rizzoli, mentre quella tecnica fu assunta dall’assistente anziano di Codivilla, Giuseppe Sangiorgi. Fu anche nominato nel 1912 professore straordinario di clinica ortopedica nell’Università di Bologna.
Putti affrontava argomenti nuovi di grande importanza clinica, quali quello dei trapianti ossei; nella relazione tenuta al VII Congresso della Società italiana di ortopedia (Roma 1912), ne illustrò il comportamento sperimentale e clinico, l’evoluzione biologica e l’utilissima applicazione pratica nelle pseudoartrosi o in sostituzione di segmenti scheletrici asportati perché sede di processi morbosi (in Archivio di ortopedia, XXIX (1912), pp. 359-422; XXX (1913), pp. 485-519). Al XVII Congresso internazionale di medicina-sezione di ortopedia (Londra 1913) e al XXVI Congresso della Società francese di chirurgia (Parigi 1913) comunicò i primi risultati sulla cura delle anchilosi, frutto di un complesso di indagini sperimentali e di applicazioni terapeutiche miranti a ridare alle articolazioni la mobilità perduta fino a creare con perfetta tecnica la ricostruzione di un’intera articolazione. Putti più volte ritornò su tale argomento (in Comptes rendus du XXVI Congrès de l’Association française de chirurgie, Paris 1913, pp. 136-140; La chirurgia degli organi di movimento, 1917, vol. 1, pp. 1-70; Lyon chirurgical, XIX (1922), pp. 121-131; Report of VI Congres International Society of surgery, London 1924, pp. 235-265; Report of VIII Congres International Society of surgery, I, Warsaw 1929, pp. 1085-1122; Press Médicale, 1934, vol. 42, pp. 1321-1324). Al Congresso di pediatria tenuto a Bologna nel 1914 illustrò la cura delle deformità poliomielitiche di importanza individuale e sociale, allargando e approfondendo le idee di Codivilla, che primo in Italia aveva concepito e applicato un metodo geniale per migliorare la funzione degli arti nelle paralisi sia flaccide sia spastiche subordinandolo alle condizioni anatomiche locali (in Volume in omaggio del Prof. A. Poggi pel suo XXV anno d’insegnamento, Bologna 1914, pp. 467-500).
Scoppiata la prima guerra mondiale iniziò per l’Istituto Rizzoli e per Putti, ora direttore unico, un periodo di eccezionale fervore, dal momento che vennero ricevuti migliaia di feriti e di mutilati. Furono potenziate le officine dell’Istituto, riconosciute dall’autorità militare come Officine nazionali per le protesi. Particolare impegno Putti profuse nella riabilitazione dei mutilati, di cui scrisse a conflitto terminato (in Medical Record, XCVI (1919), pp. 544-548). In campo scientifico e assistenziale, l’attività di Putti fu indirizzata a ricercare soluzioni per le gravissime lesioni riportate dai militari. Così le amputazioni cinematiche, concezione geniale di Giuliano Vanghetti, che consistevano nell’utilizzare i muscoli e i tendini recisi come motori da adattare alla protesi, furono prese in attenta considerazione da Putti: la cinematizzazione dei monconi fu applicata su centinaia di infermi (in La chirurgia degli organi di movimento, 1917, vol. 1, pp. 419-492; 1920, vol. 4, pp. 65-86). Anche le lesioni dei nervi periferici da ferite da guerra furono oggetto della sue ricerche, riprese allo scoppio del secondo conflitto mondiale (in Forze sanitarie,1940, vol. 9, pp. 12-17). Le contingenze di guerra lo indussero a compiere ricerche nel complesso campo della terapia delle fratture (in Problemi sanitari di guerra: il trattamento delle fratture di guerra, Milano 1915), proseguite ben oltre la fine del conflitto (in La chirurgia degli organi di movimento, 1937-1938, vol. 23, pp. 399-429; Bibliografia ortopedica,1938, vol. 21, pp. 313-316). Descrisse rari e particolari tipi di fratture, applicando modificazioni di tecnica mediante la trazione con il filo o con il chiodo (ibid., 1931-1932, vol. 16, pp. 395-413; 1932-1933, vol. 17, pp. 317-320; 1933-1934, vol. 18, pp. 105-115; Cura operatoria delle fratture del collo del femore, Bologna 1940). Si preoccupò inoltre dei problemi logistici che pazienti di tal genere potevano generare (in La chirurgia degli organi di movimento, 1934-1935, vol. 19, pp. 163-172; Per i fratturati in pace e in guerra, Bologna 1936), ideando anche un particolare letto per essi (Un letto per fratturati, Bologna 1934).
Nel 1916 Putti acquisì la libera docenza in clinica chirurgica e medicina operatoria e il 1° giugno 1919 con decreto ministeriale fu nominato professore ordinario di ortopedia e traumatologia nell’Università di Bologna. Dopo il primo conflitto mondiale, Putti affrontò un altro tema di estrema importanza sociale, quello dei malati di tubercolosi osteoarticolare; si adoperò per far riconoscere loro le previdenze usufruite dai malati di tubercolosi polmonare. Nel 1923 riuscì a inaugurare a Cortina d’Ampezzo un sanatorio per questi malati con cento posti letto.
A partire dalla metà degli anni Venti del Novecento si impegnò in un’opera di divulgazione della scienza ortopedica italiana in Europa e in America, stringendo stretti rapporti con alcune Università dell’America Latina: molti medici sudamericani vennero a specializzarsi all’Istituto Rizzoli. Affrontò anche altri probemi clinici, quali quello di determinare l’etiopatogenesi della sciatica. Putti dimostrò che l’artrite vertebrale ne costituiva spesso il fondamento anatomopatologico, intravvide l’importanza della sacralizzazione della V vertebra lombare, stabilì il nesso fra trauma e artritismo vertebrale, coordinò i rapporti fra anatomia patologica e clinica, precisò la tecnica della apofisiectomia (Lomboartrite e sciatica vertebrale, Bologna 1936).
Sul tema della lussazione congenita dell’anca, Putti lasciò fondamentali contributi: in una ventina di pubblicazioni prese in esame tutti gli aspetti della patologia: dalla diagnosi alla prevenzione, alla cura cruenta e incruenta. In particolare, affermò che la presenza di tre determinati segni in campo radiologico (ipoplasia o ritardo nella comparsa del nucleo cefalico ipofisario; sfuggenza del tetto acetabolare; interruzione dell’ogiva di Shenton) permetteva di fare diagnosi certa di displasia dell’anca (in La chirurgia degli organi di movimento, 1932-1933, vol. 17, pp. 453-459). Fin dal 1927 propugnò un metodo di cura precoce al fine di impedire che il bambino congenitamente malformato subisse ai primi passi la lussazione completa: la cura della deformità si sarebbe ottenuta per mezzo della prevenzione. Questo geniale concetto fu largamente applicato nella clinica e incontrò il più largo consenso, ottenendo una semplificazione della cura e un maggior numero di guarigioni definitive (Surgery, gynecology & obstetrics, 1926, vol. 42, pp. 449-452; Archivio italiano di chirurgia, 1927, vol. 18, pp. 653-668; La chirurgia degli organi di movimento, 1928-1929, vol. 13, pp. 529-558; 1934, vol. 20, pp. 93-112; The Journal of bone and joint surgery, 1933, vol. 15, pp. 16-21; Rivista di pediatria, XLII (1935), 1, pp. 1-14). Sull’anatomia della lussazione congenita dell’anca Putti pubblicò un testo-atlante ricco di nuove osservazioni anatomopatologiche (Anatomia della lussazione congenita dell’anca, Bologna 1935).
Al XVIII Congresso della Società italiana di ortopedia, tenutosi a Bologna nel 1927, Putti svolse una puntuale relazione sui tumori dello scheletro, la loro diagnosi e la loro terapia, presentando la casistica dell’Istituto tra il 1900 e quell’anno, certamente la più ricca in Italia. Conformatosi alla classificazione della Scuola americana, che si contrapponeva alla francese, Putti si soffermò in modo particolare sulla diagnostica radiologica dell’osteosarcoma, tumore da lui ritenuto estremamente maligno e a decorso rapidamente fatale con tendenza a precoci metastasi viscerali, per cui, spesso, l’amputazione non serviva a salvare il malato. A detta di Putti l’unica possibilità di salvezza era una diagnosi clinica e radiologica precocissima e una tempestiva demolizione dell’arto senza far precedere un prelievo bioptico a scanso di provocare disseminazione metastatica. Per l’endotelioma suggerì, come criterio ex juvantibus nella diagnosi differenziale con l’osteomielite e la sifilide, l’estrema sensibilità alle radiazioni Röntgen del tumore.
Accettò, con poca convinzione, di inserire i tumori benigni a mieloplassi nello stesso raggruppamento delle formazioni cistiche e dell’osteite fibrosa e suggerì, come trattamento di elezione, lo svuotamento della cavità e il riempimento di essa con tessuto osseo omoplastico. Se il tumore era molto voluminoso o aveva intaccato la limitante ossea, consigliava la resezione o l’amputazione (I tumori delle ossa e la loro cura, Bologna 1927, con M. Camurati; Surgery, gynecology & obstetrics, 1929, vol. 58, pp. 324-332; Tumori dello scheletro, in G. Vernoni, Tumori maligni, Milano 1933, pp. 313-346).
Al nome di Putti sono legate una nuova sindrome, l’osteopatia eburneizzante monomelica, rara sindrome osteopatica, avente come caratteristica principale di colpire un solo arto e di presentare un aspetto di una reazione addensante eburneizzante (in La chirurgia degli organi di movimento, 1927, vol. 11, pp. 335 s.); la degenerazione primitiva del disco intervertebrale nella rachialgia lombare localizzata e cronica (ibid., 1933-1934, vol. 18, pp. 1-21); l’operazione di artrorisi consistente nel trapianto di una stecca di osso in uno dei capi articolari allo scopo di limitare i movimenti delle articolazioni ciondolanti per paralisi poliomielitiche (ibid., 1931-1932, vol. 16, pp. 29-34).
Animato da profonda passione per gli studi umanisti, Putti, oltre che raffinato bibliofilo e collezionista, come testimoniano la sua biblioteca e il materiale donato all’Istituto ortopedico Rizzoli, fu uno studioso di tutto rilievo nel campo della storia della medicina e per questo la Società italiana di storia delle scienze mediche e naturali lo volle suo presidente. Fra i suoi lavori più importanti in questo settore si ricordano: Protesi antiche (ibid., 1925, vol. 9, pp. 495-526); Historical artificial limbs (New York 1930); Il trattato delle ferite del Maestro Bartolomeo dal Sarasin. Ignoto testo di chirurgia di ignoto chirurgo italiano del secolo XV (Bologna 1933); Berengario da Carpi. Saggio biografico e bibliografico, seguito dalla traduzione del De fractura calvae sive cranei (Bologna 1937); Biografie di chirurghi del XVI e XIX secolo: Magati, Palletta, Scarpa, Mathijsen, Fabbri, Rizzoli, Margary, Paci (Bologna 1941, postumo).
Preside della facoltà di medicina e chirurgia nel 1939-40, fu membro del Consiglio nazionale delle ricerche e del Consiglio nazionale dell’educazione, scienze e arti; promosse la costituzione nel 1932 della Scuola di perfezionamento in ortopedia e traumatologia; fondò e diresse due prestigiose riviste: La chirurgia degli organi di movimento (1917-2008; edita, on-line, dal 2009 come Musculoskeletal surgery) e la Bibliografia ortopedica (1920-1982).
Molte società scientifiche lo ebbero come socio: tra queste l’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, che lo volle accademico benedettino, e la Società medica chirurgica di Bologna, di cui fu presidente e a cui fu particolarmente affezionato, pubblicando sulla sua rivista Bullettino delle scienze mediche molti dei suoi lavori.
Morì improvvisamente il 1° novembre 1940.
Fonti e Bibl.: O. Scaglietti, V. P., in La chirurgia degli organi di movimento, 1940, vol. 26, pp. 203-210; G. Forni, V. P., in Annuario della R. Università di Bologna, a.a. 1940-41, Bologna 1941, pp. 122-138; V. Putti, Scritti medici, a cura di L. Ugolini, I-II, Bologna 1952; Onoranze alla memoria di V. P., in La chirurgia degli organi di movimento, 1953, vol. 38, pp. III-XXVII, 1-137; L. Gui - M. Pantaleoni, La raccolta di V. P. di quadri, disegni, incisioni, ritratti di medici e uomini illustri, Bologna 1966; F. Balestrasse - S. Chelini - G. Della Capanna, Le antiche opere di medicina manoscritte e stampate della raccolta “V. P.”, Pisa 1969; M. Paltrinieri, Una lunga lettera di P. allo zio Tano, in La chirurgia degli organi di movimento, 1972, vol. 60, pp. 475-487; Le celebrazioni del 12 gennaio 1974, a Cortina d’Ampezzo, in occasione del 50° anniversario della fondazione degli Istituti Codivilla P., ibid., 1975, vol. 61, pp. 531-561; A. Benini - T. Böni - A. Viganò, V. P., in Spine, 1995, vol. 20, pp. 1728-1731.