LUZZATI, Vittorio
Nacque a Vercelli il 7 marzo 1875, da Zaccaria, commerciante, e da Regina Luzzati. Trasferitosi con la famiglia a Savona, vi frequentò il liceo ginnasio G. Chiabrera; proseguì gli studi all'Università di Torino, ove conseguì la laurea in giurisprudenza. Tornato a Savona, iniziò a esercitare la professione di avvocato. Le simpatie per il socialismo riformista lo indussero, contemporaneamente, a impegnarsi nell'amministrazione cittadina, come testimoniano l'elezione alla carica di presidente della Congregazione di carità e del civico ospedale negli anni precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale, e la nomina, nel 1914, a consigliere comunale.
L'avvento del fascismo ne interruppe la carriera politica ma non l'attività forense, che il L. seguitò a praticare conquistando la stima dei colleghi e una discreta fama nella provincia ligure. In quanto avvocato, del resto, egli ebbe l'opportunità di partecipare a una delle ultime manifestazioni collettive, su suolo nazionale, dell'antifascismo italiano: il procedimento giudiziario intentato contro C. Rosselli, F. Parri, S. Pertini, L. Da Bove, G. Boyancé, A. Oxilia, E. Albini, E. Ameglio e F. Spirito per l'organizzazione, nel dicembre 1926, della fuga in Francia di F. Turati.
Erano questi gli anni cruciali del consolidamento della dittatura, a ridosso dell'involuzione totalitaria inaugurata con la promulgazione delle "leggi fascistissime" (1925-26). Gli artefici dell'espatrio, tuttavia, non furono demandati al Tribunale speciale (1926), bensì giudicati dalla magistratura ordinaria, il cui organico, per quanto compromesso con il governo Mussolini, non era stato ancora compiutamente fascistizzato.
A tale circostanza si ispirarono gli imputati, che convertirono il processo, tenutosi a Savona dal 9 al 14 sett. 1927, in un atto d'accusa contro il regime, assumendosi la piena responsabilità dell'impresa per la quale erano stati incriminati e denunciando la faziosità, e l'illegittimità, della repressione fascista. Tra le arringhe difensive, affidate ad avvocati di spicco quali G. Gallina di Milano ed Erizzo di Genova, risaltò quella pronunciata dal L., difensore di Parri.
Egli non si contentò di presentare ai giudici la moralità dell'operato di Turati e l'esemplarità della condotta e degli ideali del suo assistito, che contribuendo all'esilio dell'anziano leader socialista non si era prodigato che per gli interessi della nazione. Nella sala gremita di pubblico italiano e straniero, si soffermò sullo stato di decadenza e di estrema ingiustizia in cui versava il Paese, appellandosi a un futuro migliore e al "semplice, eterno valore dell'uomo libero" (testimonianza di C. Levi: in Faggi, p. 97). "Avrebbe potuto fare come tutti, limitarsi a una corretta difesa giuridica", ha scritto V. Foa (1991) ricordando, nelle proprie memorie, il cugino di suo padre; "scelse invece di usare il foro e la toga per gridare la sua protesta contro il fascismo".
I giudici P. Sarno, A. Donadu e A.G. Melinossi sembrarono accogliere parte delle ragioni della difesa; comminarono pene relativamente lievi - dai dieci ai quattordici mesi di carcere - agli imputati, dichiarandoli colpevoli della fuga di Turati ma meritevoli delle circostanze attenuanti. Se il verdetto non riuscì a evitare il peggioramento delle condizioni di detenzione della maggior parte di loro, esso venne accolto come una vittoria: riconoscendo la necessità dell'emigrazione, il tribunale suggerì, di fatto, lo stato di illegalità del fascismo.
Negli anni Trenta il L. continuò a risiedere e a lavorare nel capoluogo di adozione, pur tra le difficoltà causate dagli echi del processo di Savona e dal progredire dell'opera di asservimento delle istituzioni giudiziarie. La sua abitazione in piazza Mameli rappresentò un punto di riferimento per l'antifascismo socialista del Savonese, ma egli non incappò nei provvedimenti punitivi della polizia politica del regime, che nel 1936 lo derubricò dal registro dei sovversivi. La situazione degenerò in seguito all'emanazione e alla rigida applicazione delle leggi razziali nel 1938. Come nel resto della penisola, anche i congiunti del L., ebreo coniugato con una donna ebrea, vennero sottoposti alle discriminazioni della legislazione antiebraica, prima tra tutte l'interdizione dai pubblici uffici, che costò al capofamiglia la radiazione dall'albo degli avvocati e al figlio maggiore, Angiolo, quella dal liceo cui era iscritto e da tutte le scuole del Regno.
Mentre quest'ultimo emigrò a Losanna nel 1941, per intraprendere gli studi universitari che gli venivano vietati in Italia, il L., la moglie e il figlio minore rimasero a Savona fino all'autunno del 1943, quando, allertati da un conoscente, impiegato presso la questura, abbandonarono precipitosamente la città riuscendo a sfuggire alla cattura e alla deportazione.
La prima tappa del viaggio che li avrebbe condotti all'estero fu Brusson, un paesino presso Saint-Vincent in Valle d'Aosta, da cui dovettero ben presto allontanarsi per la frequenza delle perquisizioni fasciste e la diffidenza della popolazione. Su consiglio di don C. Ferrero, un sacerdote conosciuto in montagna, si diressero a Milano ed entrarono in contatto con don P. Liggeri, della rete di soccorso patrocinata dall'arcivescovo del capoluogo lombardo, il cardinale I. Schuster.
Partirono dunque alla volta della Svizzera, ove rimasero fino alla Liberazione. Rientrato a Savona, il L. contribuì attivamente all'opera di fondazione della democrazia repubblicana, in quanto uomo di legge e militante del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), la formazione nata, nell'agosto 1943, dalla fusione del Partito socialista italiano (PSI) e del Movimento di unità proletaria (MUP). Rientrato in possesso dei diritti negatigli dal fascismo, riprese inoltre la collaborazione al governo della città, avviata in età liberale. Candidato socialista alle elezioni comunali del 18 marzo 1946, fu consigliere e assessore nella giunta guidata dal sindaco comunista A. Aglietto, che lo nominò, durante la sessione dell'8 aprile, assessore anziano.
Nel corso del dibattito interno al PSIUP sull'evoluzione dei rapporti con il Partito comunista italiano (PCI), il L. prese posizione contro la tesi fusionista e, in nome della completa autonomia socialista, in favore dello scioglimento del vincolo di unità d'azione con i comunisti di P. Togliatti. A seguito della scissione di palazzo Barberini (gennaio 1947) non raggiunse, tuttavia, il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) di G. Saragat, optando per la permanenza nel PSI di P. Nenni. Assessore socialista dalle elezioni del maggio 1951, confermato in quelle del maggio 1956, rimase in carica fino all'agosto 1959, allorché il Comune di Savona fu commissariato; tornò quindi ad assumere la funzione di consigliere comunale successivamente alle consultazioni del novembre 1960.
Nel 1965, in occasione della prima teatrale de Il processo di Savona, il dramma scritto da V. Faggi sulla base degli atti processuali del 1927 e rappresentato al teatro Stabile di Genova, il nome del L. occupò nuovamente le cronache nazionali, a testimonianza della centralità, nella memoria repubblicana, dell'episodio che lo aveva visto protagonista a fianco dei padri fondatori dell'antifascismo libertario e socialista.
Nominato decano degli avvocati della città ligure e insignito, nel 1966, di una medaglia d'oro per la lunga attività forense, il L. morì a Savona il 5 ott. 1968.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Polizia politica, Fascicoli personali, b. 744, f. 31: Luzzatti [sic] V.; Ministero dell'Interno, Divisione generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, Cat. A1, 1941: Luzzatti [sic] V.; Arch. Ferruccio Parri, scatola 17, f. 90: Processo di Savona; scatola 216, f. 1140: Luzzati, V.; Arch. di Stato di Savona, Tribunale di Savona, Processi penali, f. Processo di Savona; Milano, Centro di documentazione ebraica contemporanea, 5.H.b, f. L, sottofasc. V. L.: Savona, L'odissea di un ebreo (testimonianza personale del L.); V. Faggi, Il processo di Savona. Dagli atti processuali del 1927. Due tempi, Genova 1965, pp. 96 s., 110 s., 161; A. Chiarle, La fuga di Filippo Turati e il processo di Savona, a cura di M. Bettinotti, Albisola 1967, pp. 35-37, 100 s.; S. Ficini, Il Partito socialista a Savona (1943-1947), introd. di V. Spini, Savona 1980, pp. 7, 22; A. Chiarle, PSIUP Savona: 25 luglio 1943 - 9 genn. 1947, Sestri Ponente 1987, pp. 107, 163, 173-175, 252; S. Zuccotti, L'Olocausto in Italia, prefaz. di F. Colombo, Milano 1988, ad ind.; V. Foa, Il cavallo e la torre: riflessioni su una vita, Torino 1991, p. 3; Id., Lettere della giovinezza. Dal carcere 1935-1943, a cura di F. Montevecchi, Torino 1998, pp. 759, 977; L'applicazione della legislazione antiebraica del 1938 nel Savonese: ricerca storica, Savona 2000, pp. 73-75; Savona 1860-2002: gli amministratori della città, Savona 2002, ad ind.; L. Polese Remaggi, La nazione perduta. Ferruccio Parri nel Novecento italiano, Bologna 2004, p. 162; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, III, Milano 1978, sub voce.