MELANO, Vittorio Filippo
– Nacque a Cuneo il 27 sett. 1733, undicesimo figlio di Giuseppe Antonio, conte di Portula (1677-1774), e di Anna Camilla Pascale.
Il padre apparteneva a una antica famiglia originaria di Entracque che, trasferitasi a Cuneo alla fine del Quattrocento, nel 1516 era annoverata tra le famiglie «de populo». Fra Cinque e Seicento diversi Melano avevano servito Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I a corte e nell’esercito e nel 1629 i fratelli Apollonio e Bartolomeo Melano erano stati nobilitati dal duca. Madamisti e filofrancesi durante la guerra civile (1638-42), negli anni Sessanta del Seicento i Melano erano entrati nel Consiglio di Cuneo, imponendosi come una fra le famiglie più in vista del patriziato cuneese. Nel 1718 il padre del M. entrò nel Consiglio di Cuneo e vi restò, con rare interruzioni, sino al 1735 (la figura egemone della famiglia era, però, il cugino Gabriele Melano, che fu consigliere dal 1714 al 1737 e sindaco per ben sei volte). Nel 1722 acquistò il feudo di Portula, con titolo comitale, entrando così a far parte della feudalità sabauda; dal 1738 sino al 1769 fu riformatore delle scuole di Cuneo e provincia: lasciato tale incarico, nel 1770 ottenne il titolo di consigliere di sua maestà.
Storia analoga ai Melano avevano i Pascale, famiglia della madre, presenti nel Consiglio di Cuneo sin dal 1516 ed entrati nella feudalità alla fine del Seicento: Giuseppe Maria, padre di Anna Camilla, fu in Consiglio fra 1692 e 1716 e quattro volte sindaco della città.
Sesto di sette maschi, il M. fu avviato alla carriera ecclesiastica con l’ingresso, nel 1749, nell’Ordine domenicano. Ordinato sacerdote il 18 sett. 1756, nel 1770 fu inviato a Cagliari quale professore di teologia scolastico-dogmatica e di storia ecclesiastica nella locale Università; il 10 apr. 1773 divenne maestro di filosofia e teologia nell’Ordine domenicano. Richiamato a Torino nel 1776, nel novembre 1777 divenne priore del convento torinese di S. Domenico, ricoprendo tale carica per pochi mesi. Il 25 marzo 1778, infatti, Vittorio Amedeo III lo propose arcivescovo di Cagliari: seguì la nomina da parte della S. Sede il 1° giugno.
L’arrivo del M. in Sardegna coincise con un periodo molto difficile per il dominio sabaudo sull’isola. Il malcontento dei Sardi cresceva di giorno in giorno soprattutto a causa delle mancate riforme che avrebbero dovuto attenuare le angherie feudali patite dalla popolazione. Il passaggio dalla Spagna al Ducato di Savoia aveva, infatti, aumentato gli abusi dei feudatari i quali chiedevano tributi estesi non solo ai diritti legittimi, ma anche ad altre attività con diverse denominazioni. Poi si fecero sentire i riflessi della Rivoluzione francese: nel 1793 una squadra navale francese attaccò le coste dell’isola occupando Carloforte, Sant’Antioco e il territorio di Quartu. Con un’altra manovra si avvicinò al porto di Cagliari, ma in quel caso la reazione sarda fu molto più decisa perché gli isolani non esitarono a prendere le armi e a respingere con vigore le truppe repubblicane.
Non appena le prime navi francesi (il 23 e 30 dic. 1792) apparvero all’orizzonte, il M. mise a disposizione del viceré per la difesa dell’isola 12.000 scudi e tutti gli argenti personali e della cattedrale. Il successo della mobilitazione antifrancese indusse i Sardi a inviare al re Vittorio Amedeo III un documento in cui si chiedevano cinque concessioni tali da restituire autonomia e potere decisionale alla rappresentanza dell’isola. Dopo lunghe trattative, la corte di Torino respinse le richieste dando fuoco alla miccia che avrebbe portato al moto popolare del 28 apr. 1794. Gli Stamenti e la Reale Udienza (Suprema Corte del Regno), pur in presenza delle prime divisioni tra novatori e moderati, presero in mano la situazione. Il 29 aprile, per far fronte all’azione dilagante del popolo in armi, fu indetta una riunione degli Stamenti, compreso quello ecclesiastico, alla quale il M. decise di non partecipare. Stabilitasi una certa disciplina tra gli insorti, il viceré e altri delegati piemontesi furono imbarcati, con tutti i loro averi, per tornare in Piemonte. L’assenza sabauda dall’isola durò poco poiché G.M. Angioj, temendo che la Sardegna diventasse preda delle mire espansionistiche austriache, francesi o inglesi, fece assumere dal magistrato della Reale Udienza i poteri di governo dell’isola in nome del re Vittorio Amedeo III. Questa si rivelò una mossa molto utile alla corte di Torino per riprendere il potere e dividere le forze politiche sarde. In conseguenza dei gravi fatti di sangue che ne scaturirono in tutta l’isola il M. fu scelto quale membro per una missione a Roma allo scopo di convincere Pio VI a perorare la causa dei Sardi presso la corte torinese. Nella circostanza la mancata approvazione della nomina di altri due inviati fece sì che il M. restasse «unico oratore» presso il papa.
Imbarcatosi alla volta di Roma il 28 sett. 1794, il M. fu costretto dai venti contrari a ritardare la partenza al 5 ottobre. Approfittò di questo intervallo di tempo per esercitare un’opera di moderazione tra le forze contrapposte.
Dopo alterne vicende la rivolta baronale di Sassari rientrò grazie ad Angioj che stava ottenendo sempre più potere e consenso. Il viceré F. Vivalda tentò allora di ridimensionare anche il partito progressista, al quale faceva capo Angioj, contrapponendogli un nuovo gruppo capeggiato dall’avvocato V. Cabras e da E. Pintor. A mettere in rapporto il viceré e il Cabras era stato appunto il M., prima di partire per la sua missione a Roma.
Solo staccandosi da Angioj, Cabras e gli altri più moderati del partito progressista potevano agevolare la missione dell’arcivescovo il cui successo avrebbe giovato a tutti i Sardi eliminando dall’isola, insieme con i pochi piemontesi colpevoli di torti verso i Sardi, anche gli elementi francofili vicini ad Angioj. Le parole del M. furono tanto persuasive che, prima di imbarcarsi per Roma, egli ottenne da Cabras la promessa di formare e guidare un partito di moderati da contrapporre al partito progressista di Angioj. Il nuovo partito assunse un ruolo effettivo con il ritorno del M. da Roma.
In seguito il M. svolse ancora opera di mediazione presso la corte sabauda. Il 14 giugno 1797 il re Carlo Emanuele IV lo designò vescovo di Novara, nomina accolta dalla S. Sede il 24 luglio.
Dopo l’occupazione francese del Piemonte, poi annesso alla Francia, il M. aderì al nuovo regime. Il 26 maggio 1805 egli concelebrò a Milano la messa d’incoronazione di Napoleone a re d’Italia. Due settimane più tardi, il 5 giugno, l’imperatore lo creò cavaliere dell’Ordine della Corona di ferro (e commendatore nel 1812). Infine, nel gennaio 1807, Napoleone lo designò a reggere la diocesi di Udine. Il M., tuttavia, anche per evitare di entrare in contrasto con la S. Sede, riuscì a evitare il trasferimento adducendo il motivo che, per la sua tarda età, gli sarebbe riuscito particolarmente gravoso. La rinuncia non compromise, comunque, i buoni rapporti con Parigi. L’8 ott. 1809 fu creato conte del Regno d’Italia e dieci giorni più tardi, il 19 ottobre, senatore e conte dell’Impero francese.
La sua nomina fu accompagnata dall’adesione dei Melano di Portula al regime napoleonico. Nelle tempestose vicende del 1798-1800 la famiglia era restata fedele al re. Prima non s’era lasciata coinvolgere nella Municipalità repubblicana del 1798 e nel 1799, e poi il conte Ludovico (1756-1817), nipote del M. e già decurione della città fra 1784 e 1795, era stato fra i decurioni di Cuneo in carica durante il periodo austro-russo (dicembre 1799 - luglio 1800). Dopo Marengo e il ritorno dei francesi, i Melano di Portula avevano mantenuto un basso profilo, in attesa di tempi migliori. Nel 1805 il giovane conte Carlo Melano di Portula (era nato 1781), nipote del M., aveva trovato la morte nella battaglia di Austerlitz, dove era tenente di fanteria dell’esercito francese. Due anni più tardi, un altro nipote, Luigi (1785-1842), fece sapere alle autorità francesi di esser disponibile a riprendere l’impegno politico nel governo cuneese e, di lì a poco, entrò nel Consiglio municipale cuneese.
Il M. morì a Novara il 23 dic. 1813.
Fonti e Bibl.: Sulla famiglia, in particolare sul conte Giuseppe Antonio, si vedano: R. Berardi, La scuola nel Settecento. Ricerche e documenti sulla provincia di Cuneo, Cuneo 2001, pp. 34 s.; A. Merlotti, Cuneo dall’età amedeana alla crisi dell’antico regime (1685-1798), in P. Bianchi - A. Merlotti, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d’antico regime, Milano 2002, pp. 238-251; Sul M.: P. Martini, Storia ecclesiastica di Sardegna, III, Cagliari 1841, pp. 169, 189-192; G. Madau Diaz, Storia della Sardegna dal 1720 al 1849, Cagliari 1971, ad ind.; G. Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Bari 1984, pp. 138, 174, 192, 197, 209; Dal convento alla città: la vita torinese attraverso il registro dell’Archivio del convento di S. Domenico redatto dal padre G.A. Torre (1780), a cura di V. Ferrua, Torino 1995, II, p. 1128; Ruolo delle persone insignite dei titoli di duca, conte, barone, cavaliere da parte di Napoleone nel Regno d’Italia (1807-1814) e Ruolo dei titoli conferiti da Napoleone in Piemonte e in Liguria allora unite all’Impero francese, in G. Bascapé - M. Del Piazzo, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma 1999, pp. 815, 872; C. Avogadro, Pastoralità e patriottismo di un vescovo. M. di Portula e la coscrizione militare, in Boll. storico per la provincia di Novara, XCII (2001), pp. 369-400; Hierarchia catholica, VI, pp. 140, 315.
P. Palumbo