CAMBURZANO, Vittorio Emanuele Tettù conte di
Nacque a Pinerolo il 28 ag. 1815 da Gaspare Giuseppe e da Teresa Crotti di Costigliole. Rimasto orfano nel 1816, e rimaritatasi la madre con Claudio Passerin d'Entrèves, crebbe praticamente nella famiglia dei Crotti, legandosi in specie ad Alessandra, sorella della madre e in seguito - nel 1849 - da lui sposata, e ad Edoardo, suo zio e poi maestro e collega nella vita politica. Dopo un breve periodo di vita militare come ufficiale di cavalleria, il C. fu nominato incaricato d'affari in Portogallo. In questo periodo ebbe modo d'informarsi, raccogliendo numerosi documenti, sull'attività sovversiva di alcune sette massoniche. Questa esperienza, innestandosi su un carattere schietto e impulsivo, e profondamente religioso, determinò nel C. una posizione politica rigidamente conservatrice e ostilissima per principio a ogni settarismo. Dopo le riforme albertine ritenne di non poter aderire al nuovo indirizzo piemontese, del quale rifiutava assolutamente i principi: rinunciò quindi al proprio incarico e si ritirò a vita privata, a Nizza Marittima, per curare i beni che possedeva nel Nizzardo e nel Cuneese. Con lo svilupparsi in Piemonte della lotta politica in senso laico e liberale, particolarmente dopo l'approvazione - 9 apr. 1850 - delle leggi Siccardi (che abolivano le immunità e il foro ecclesiastici e interdicevano alla manomorta l'acquisizione di beni stabili), dietro l'esempio dello zio Edoardo Crotti il C. uscì dal suo isolamento per combattere il progredire delle ideologie liberali e democratiche. Dal '51 infatti, da quando la redazione dell'Armonia rimase in mano al gruppo cattolico intransigente guidato da don Margotti e dal Birago di Vische, il C. divenne uno dei più attivi collaboratori del giornale, segnalandosi per le doti di vigoroso polemista.
In particolare difese la condotta di Ignazio Costa Della Torre, un alto magistrato piemontese deposto per essersi pubblicamente pronunciato contro le leggi eversive dei privilegi del clero. In questa circostanza il C. aveva pubblicato il 26ag. 1852, suln. 102dell'Armonia, l'articolo Nihil sub sole novum, in cui stigmatizzava violentemente la persecuzione operata da Enrico VIII d'Inghilterra nei confronti di Tommaso Moro. Benché non vi fosse alcun esplicito riferimento al caso occorso al Della Torre, il titolo stesso costituiva un'indicazione più che eloquente. Posto in stato d'accusa, i giudici però stabilirono che non fosse luogo a procedere contro il C. in base alla sua dichiarazione che l'articolo era un brano di un suo studio storico, del quale vennero immediatamente pubblicati il 9 settembre, sul n. 108del giornale, un proemio e un sommario dal titolo Fattimemorabili del regnodi Arrigo VIIIre d'Inghilterra, rimasti peraltro senza seguito alcuno Nel '54 un altro articolo del C., L'indomani (della rivoluzione), uscito sui nn. 86 e 94 del 20 luglio e 8agosto dell'Armonia, suscitò le ire dei democratici e dei liberali. Nulla si salvava sotto l'impeto polemico del C.: nelle università si predicavano i principî del giansenismo e della rivoluzione; ai congressi scientifici si radunavano i "commessi viaggiatori" della rivoluzione; la politica assistenziale, la filantropia, sostituitasi alla "purissima carità, figlia del Vangelo", altro non era se non una "meretrice vagante"; e il Piemonte era infine preda della calunnia che, "col volume del Gesuitamoderno sottole ascelle", era alimentata da uno stuolo di giornali e giornalisti "feccia delle contrade e scrittori da bettola". Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu l'uso del termine "cencio tricolore": benché il C. si riferisse alla bandiera di Luigi Filippo e non a quella di Vittorio Emanuele, l'articolo venne giudicato profondamente, lesivo delle istituzioni e della dignità nazionale e l'autore fu condannato a una lieve pena detentiva e ad un'ammenda di L. 1.100.
Alla collaborazione all'Armonia, il C. affiancò quella al Cattolico di Genova e alla Verité di Nizza. Presentatosi alle elezioni (1857) per la VI legislatura nel collegio di Verrès contro il democratico Barbier, riuscì vincitore. Appena giunto in Parlamento, dovette battersi, insieme con Edoardo Crotti, per la convalida delle elezioni contestate di alcuni deputati conservatori.
Difendendo l'elezione del Birago di Vische a Strambino, il C. dibatté con vigore e abilità la tesi della liceità delle pressioni del clero sugli elettori, affermando che se parroci e vescovi avevano minacciato scomuniche o sospensioni dai sacramenti, i governativi non erano stati da meno, minacciando dal canto loro destituzioni o perdite di pensioni.
L'intervento politicamente più impegnato del C. in Parlamento si ebbe nel maggio 1858, quando il Cavour avanzò la richiesta di un prestito di 40 milioni. Dopo aver ricordato il periodo precostituzionale, quando il Piemonte era un paese felice, senza missioni storiche da compiere e senza tassazioni gravose, il C. sostenne la necessità di impedire una ulteriore dilatazione della spesa pubblica, soprattutto paventando che questa politica portasse all'incameramento dei beni ecclesiastici; concluse quindi chiedendo che non solo venisse rifiutato il prestito, ma che si formulasse piuttosto un programma di economie e di restrizioni sulle spese per le opere pubbliche. Nella seconda sessione della legislatura il C. intervenne solo per opporsi alla guerra contro l'Austria: ricordando gli onerosi strascichi del 1493 faceva presente il timore che un nuovo scontro con l'Impero asburgico potesse risolversi in una catastrofe per il Regno sardo. Da questo momento, completamente superato dal corso degli eventi, il C. praticamente scomparve dalla vita politica piemontese. Quando Nizza, che egli considerava la sua patria, venne ceduta alla Francia, subì un colpo gravissimo, che lo fiaccò moralmente e fisicamente; vendette quanto possedeva nel Nizzardo e si ritirò a vivere a Fossano. Con la sua morte, qui avvenuta il 16 ag. 1867 dopo lunghi anni di malattia, si estinse il casato.
Fonti e Bibl.: Torino, Bibl. naz.: A. Manno, Il patriziato subalpino (dattiloscritto), XXXI, p. 123; corrispondenze ed editoriali del C. senza titolo sull'Armonia sono nei numeri 104 del 31 ag. 1852, 105 del 2 sett. 1852, 117 del 30 sett. 1852, 155 del 28 dic. 1852, 95 del 10 ag. 1854, 19 del 25 genn. 1855, 21 del 27 genn. 1855; Atti del Parlamento subalpino, Camera dei Deputati, Discussioni, VI legisl., ad Indicem. Sivedano anche: Processo contro il conte di C. e l'Armonia, in La Civiltà Cattolica, s.2, VI (1855), pp. 479-480; Il conte V. di C. (necrologio), in L'Unità cattolica, 20 ag. 1867; T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, IV, Torino 1892, pp. 44, 150; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale..., Terni 1890, p. 398; U. Santini, I deputati valdostani nel Parlamento subalpino (1848-1859), in Rassegna storica del Risorg., XVI (1929), pp. 654-663; B. Montale, Lineamenti generali per la storia dell'Armonia dal 1848 al 1857, ibid., XLIII (1956), pp. 475-84; Storia del Parlamento italiano, IV, Dalla crisi Calabiana alle annessioni, a cura di G. Sardo, Palermo 1966, pp. 266 passim.