Vittorio Emanuele II
Ultimo re di Sardegna, primo re d’Italia (Torino 1820-Roma 1878). Figlio di Carlo Alberto e di Maria Teresa degli Asburgo-Lorena di Toscana. Duca di Savoia (1831), sposò (1842) Maria Adelaide, figlia dell’arciduca Ranieri d’Asburgo; rimasto vedovo (1855), si unì in matrimonio (1869) con Rosa Vercellana Guerrieri, contessa di Mirafiori. Prese parte alla prima guerra d’Indipendenza, distinguendosi nelle battaglie di Pastrengo, Goito e Custoza. Salito al trono (23 marzo 1849) dopo la drammatica sconfitta di Novara e l’abdicazione di Carlo Alberto, fu costretto a stipulare a Vignale un armistizio le cui condizioni, quando furono note, provocarono a Genova un’insurrezione popolare della parte democratica del movimento nazionale (31 marzo). Nonostante ciò e nonostante che né per educazione né per temperamento fosse molto propenso a giocare il ruolo di sovrano costituzionale, ebbe il merito storico assolutamente non disconoscibile di essere l’unico sovrano della Penisola a mantenere la Costituzione dopo la sconfitta subita dal Piemonte a opera dell’Austria nel 1848-49 e di non rompere quella congiunzione tra aspirazioni dinastiche sabaude e causa italiana che Carlo Alberto per primo aveva realizzato. Si attenne poi al rispetto della Costituzione anche nella delicatissima congiuntura della ratifica della Pace di Milano da parte del Parlamento, quando, di fronte al pericolo di dover riprendere una guerra dagli esiti prevedibilmente ben più catastrofici di quella appena conclusa e di fronte all’alternativa di un colpo di Stato autoritario o di un semplice scioglimento della Camera per nuove elezioni, previo proclama al popolo fatto a Moncalieri per un voto moderato e responsabile, scelse questa seconda via, salvando la Costituzione e, vista la risposta elettorale positiva al suo appello, evitando al Piemonte la catastrofe di una nuova guerra. Fu questo il momento più alto di tutta la sua vita di re, anche se poi gli toccò la gloria di essere il primo re d’Italia. Successivamente, vicino ai clericali, approvò senza convinzione le leggi Siccardi (1850) e, dopo il «» con U. Rattazzi, pur chiamando Cavour al governo (1852), nutrì nei confronti della politica liberale e laica di questi una diffidenza non troppo nascosta e, sul piano personale, un’istintiva antipatia per il primo ministro, che dopo il 1859 divenne rancore durato anche oltre la morte di Cavour. Nel 1855 si oppose alla legge che prevedeva la soppressione degli ordini religiosi contemplativi e il passaggio dei loro beni allo Stato, ma il suo tentativo di allontanare Cavour fallì in seguito alla vivace reazione dei liberali. Negli anni seguenti, desideroso di affermare il prestigio dinastico e di ampliare territorialmente lo Stato sabaudo, sostenne comunque la politica estera di Cavour, pur cercando di acquisire spazi di manovra per una politica autonoma da quella del conte, di cui però fu costretto sempre a seguire la strategia anche a costo di grandissimi sacrifici sul piano strettamente personale. Fu quanto accadde in occasione dello scontro violentissimo avuto con Cavour nel 1859 a causa del suo progetto di contrarre matrimonio con Rosa Vercellana. A quel matrimonio Cavour si oppose energicamente adducendo che, essendo la donna di estrazione sociale assolutamente inadeguata a quella di un sovrano, l’evento sarebbe stato offensivo nei confronti di Napoleone III e della Francia per via del matrimonio che contemporaneamente si sarebbe celebrato tra la principessa Clotilde, figlia dello stesso V.E., e il principe Girolamo Napoleone Bonaparte, a coronamento sul piano dei rapporti dinastici di quell’alleanza politico-militare che avrebbe portato di lì a poco alla seconda guerra d’Indipendenza e all’inizio della fase decisiva del processo di unificazione (➔ Plombières, convegno segreto di). V.E. non perdonò mai al conte quell’imposizione, ma la accettò rinviando il suo matrimonio, che si tenne solo nel 1869. Va poi ascritta all’intelligenza politica del re anche la decisione di fondamentale importanza di incoraggiare e appoggiare Garibaldi nel caso della spedizione dei Mille, presa all’insaputa del suo primo ministro. Alla morte di Cavour (1861), cercò di accrescere il proprio ruolo esercitando pressioni sul Parlamento, ma senza grandi successi. Tutt’altro: in contatto diretto con G. Mazzini, non scoraggiò il suo progetto, poi non realizzato, di sollevazione del Veneto (1864) e incoraggiò Garibaldi nel tentativo di liberare Roma che nel 1867 finì con la sconfitta di Mentana. Nel 1870 cercò di imporre al governo l’intervento a fianco della Francia nella guerra franco-prussiana. Tuttavia, al di là di questi sconfinamenti in terreni che sarebbero stati di stretta competenza del Parlamento, va riconosciuto a V.E. che, a partire dal connubio Rattazzi-Cavour in poi, non si avvalse mai della facoltà che lo Statuto albertino gli riconosceva di poter formare governi anche nel caso che questi non godessero la fiducia del Parlamento. Sin dall’incarico dato a Cavour nel 1852, prese atto dell’esistenza di una maggioranza parlamentare diversa da quella che egli avrebbe voluto ma che comunque rispettò, come fece sempre in seguito. Fu grazie a questo atteggiamento che il regno di Sardegna prima e quello d’Italia poi ebbero un regime monarchico-parlamentare e non monarchico costituzionale quale era quello configurato nello Statuto albertino. Risolta la , la partecipazione del re alla vita politica diminuì. Negli ultimi anni del regno V.E. si recò a Vienna e a Berlino (1873), riaprendo un dialogo con l’Austria che avrebbe portato dopo la sua morte a sbocchi clamorosi con la Triplice alleanza. Nel 1876 sanzionò la vittoria elettorale della sinistra, nominando A. Depretis a capo dell’esecutivo.
Nasce a Torino, figlio di Carlo Alberto re di Sardegna
Sale al trono dopo l’abdicazione del padre a seguito della sconfitta di Novara
Chiama Cavour al governo
Appoggia la spedizione dei Mille all’insaputa di Cavour
Proclamato re d’Italia
Acquisizione del Veneto
La presa di Roma porta a compimento il processo di unificazione
Si reca a Vienna e a Berlino, gettando le basi della futura Triplice alleanza
Sanziona la vittoria elettorale della sinistra, nominando A. Depretis a capo dell’esecutivo
Muore a Roma