CERRUTI, Vittorio
Nacque a Novara il 25 maggio 1881 da Carlo e da Giuseppina Reciocchi.
Il padre, deputato del collegio di Novara I dal giugno 1886al maggio 1895, senatore dal novembre 1898 (morì il 19 dic. 1904), aveva fondato nel 1871 la Banca popolare di Novara.
Il C. studiò all'università di Torino e in seguito a quella di Roma dove si laureò in giurisprudenza l'11 luglio 1903. Entrato per concorso nella carriera diplomatica il 29 luglio 1904, fu subito destinato all'ambasciata di Vienna retta allora dal duca Giuseppe Avarna di Gualtieri. "Bell'uomo, alto, slanciato, elegante, con occhi chiarissimi e maliziosi", come ricorda il Cora (p. 473), amante della vita mondana, si inserì perfettamente nella società viennese. Il soggiorno a Vienna, che doveva durare fino alla dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria, ebbe però un'interruzione d'un anno e mezzo: l'8 giugno 1907 andò come segretario della delegazione italiana alla seconda conferenza della pace all'Aia, e, terminata la conferenza, fu collocato a disposizione, del ministero dove svolse le funzioni di segretario particolare del sottosegretario Guido Pompilj dal 22 dic. 1907 al 6 dic. 1908. Nello stesso mese riprese il suo lavoro di segretario all'ambasciata di Vienna.
Fu in questi anni che la stima dell'ambasciatore per lui crebbe fino al punto che, nel novembre 1914, quando il conte Aldrovandi Marescotti, ch'era il consigliere dell'ambasciata, fu chiamato a Roma da Sonnino, il duca Avarna chiese la promozione anticipata del C. a consigliere. Sonnino rispose che non poteva promuoverlo perché il salto era "troppo grosso" ed "avrebbe alterato la graduatoria di tanti buoni funzionari" (Arch. storico del Min. degli Aff. Esteri, Fasc. pers.), ma non sostituì Aldrovandi in modo da lasciare che il C. fosse di fatto il secondo dell'ambasciata.La trattativa con l'Austria-Ungheria nei mesi cruciali della neutralità fu interamente condotta dal duca Avarna. Ma il C. non vi fu estraneo come unico confidente dell'ambasciatore, di cui condivideva l'opinione contraria all'abbandono della Triplice ed anche il travaglio di coscienza che ciò comportava. Rientrato in Italia il 1º giugno 1915, chiese di essere arruolato nella milizia territoriale ed utilizzato per la sua specifica conoscenza del tedesco e dell'Austria. Nominato sottotenente, il 15 luglio fu destinato al segretariato civile del Comando supremo. Nel nuovo ambiente di lavoro ebbe difficoltà a causa delle sue opinioni sull'intervento, e, dopo un vivace incidente con Ugo Ojetti, nel maggio 1916 fu trasferito a Buenos Aires a quel centro informazioni del ministero della Guerra.
Dall'Argentina tornò il 19 marzo 1919 e, dopo una breve permanenza al ministero, il 19 giugno fu inviato a Budapest come commissario politico della, missione militare italiana allora capeggiata dal colonnello Guido Romanelli. Nell'Ungheria di Béla Kun il C. non si trattenne a lungo: sia che avesse-adempiuto alla sua funzione di osservatore, sia che risultasse impossibile la collaborazione con il Romanelli, dal 1º agosto passò a prestare servizio a Parigi presso la delegazione alla conferenza della pace. Il 21 ottobre era però nuovamente a Budapest per stabilire i primi contatti politici con il nuovo governo ungherese. Nel febbraio 1920 ricevette la nomina ad alto commissario, che gli conferì le funzioni di capomissione.
A Budapest, dove rimase fino al 24 sett. 1920, si trovò a seguire i riflessi che la preparazione del trattato del Trianon produceva nel paese e le mosse della diplomazia francese che, prima con l'accordo revisionista del 21 giugno e subito dopo con l'appoggio all'intesa ceco-iugoslava, stabiliva una delle basi per il predominio della Francia nell'Europa danubiano-balcanica.
Nell'ottobre 1920 fu destinato dal ministro Sforza a Tiflis, nella nuova Repubblica di Georgia, in qualità di agente politico. Fu una missione avventurosa, che si può seguire nel suo stesso racconto. Giunto a Tiflis il 10 genn. 1921, ricevette poco dopo le credenziali di ministro plenipotenziario, che riuscì a presentare l'11 marzo, ad una settimana dalla fine dell'indipendenza georgiana sotto l'incalzare dell'armata rossa. Questa esperienza, che si aggiungeva a quella fatta nell'Ungheria dell'estate 1919, lasciò in lui una traccia profonda. Fu ancora Sforza (3 luglio 1921) a destinarlo come incaricato d'affari a Pechino, sede che, dal 21 sett. 1922, occupò da ministro plenipotenziario. La capitale cinese, assai periferica per la politica italiana e lontana dai suoi interessi professionali, offriva solo vantaggi di carriera.
Il matrimonio con l'attrice ungherese Elisabetta de Paulay (che aveva ragioni familiari per rientrare quanto prima in Europa), celebrato il 2 giugno 1923, contribuì a fargli desiderare un sollecito trasferimento che, al termine del biennio di missione, cominciò a chiedere con insistenza ma inutilmente.
Nella Cina divisa tra i "signori della guerra" e il Kuo Min Tang che aveva l'appoggio dell'U.R.S.S., il C. prese posizione, nel 1925, a favore del maresciallo Chang Tso-lin, perché lo riteneva "campione della lotta contro il bolscevismo in Asia" (Docc. diplom. ital., s. 7, IV, p. 43). Ciò gli valse un passo dell'ambasciatore sovietico a Roma che protestò con il sottosegretario Grandi per la condotta "contraria all'azione del governo del soviet in Cina" tenuta dal C. (ibid., p. 60). Fu forse questa protesta che prolungò ancora la sua permanenza a Pechino fino al 10 giugno 1926. Quando Mussolini, alla fine di quell'anno, decise di congelare i rapporti con l'U.R.S.S. per puntare sull'accordo con la Romania sul quale si doveva fondare un'estensione della presenza italiana nei Balcani, il C. divenne il candidato ideale per l'ambasciata di Mosca.
Nominato nel febbraio 1927, presentò le credenziali il 16 aprile e la missione durò finché il nuovo ministro Grandi non si propose di iniziare un progressivo riavvicinamento all'U.R.S.S., componente importante del suo disegno politico che tendeva a dare piena autonomia alla posizione dell'Italia per farle assumere la funzione di elemento determinante dell'equilibrio europeo. D'altra parte il C., pur interpretando il suo ruolo con capacità e discrezione, fu oggetto di sempre maggiore diffidenza negli ambienti del Commissariato del popolo agli Esteri al punto che fu informato, alla fine del 1928, d'essere considerato "un denigratore sistematico del regime sovietico" e accusato d'aver assunto "la direzione dell'accerchiamento dell'U.R.S.S." (ibid., VII, p. 113).Lasciò Mosca nel giugno 1930 per recarsi a Rio de Janeiro, una sede meno importante ma più tranquilla che costituì un "intermezzo piacevole" nella carriera. In Brasile rimase due anni: presentò le credenziali al neopresidente Vargas il 10 novembre e ripartì da Rio il 18 sett. 1932.
Nel vasto movimento diplomatico che Mussolini effettuò dopo aver riassunto il ministero degli Esteri nel luglio 1932, il C. fu destinato a Berlino. La nomina era questa volta dovuta ad un pieno riconoscimento delle sue qualità di esperto conoscitore del mondo tedesco e centroeuropeo e delle sue capacità di diplomatico divenuto con gli anni sempre più compassato nei modi, lucido nelle analisi, perspicace nelle previsioni e sempre meno influenzabile dall'ambiente nel quale operava. Di fronte all'emergere del nazional-socialismo, che introduceva un elemento di incertezza nella situazione europea e poteva determinare notevoli riflessi sulla politica italiana, occorreva avere a Berlino un osservatore attento e disincantato ed un negoziatore che sapesse "alternare il tono moderato e conciliante alla fermezza necessaria" (d'Amoja, p. 101). I giudizi sull'azione svolta dal C. nella sua missione a Berlino - che è quella su cui si è più soffermata la storiografia e dalla quale egli trasse la maggiore notorietà - sono generalmente positivi. Vengono ricordati la parte da lui avuta nella trattativa per il patto a quattro siglato il 7 giugno 1933 e in quella per il disarmo, il suo intervento contro il proclama sugli ebrei nel tempestoso colloquio con Hitler del 31 marzo 1933, le sue diagnosi sugli obiettivi della politica estera hitleriana, in particolare riguardo all'indipendenza dell'Austria, il cui mantenimento era da lui ritenuto essenziale per gli interessi italiani, la sua reazione all'assassinio di Dollfuss e la sua generale repulsione per i programmi e i metodi della Germania nazionalsocialista.
Il suo collega francese André François-Poncet ha osservato che nei primi mesi del 1933 il C. aveva l'aria d'essere "una sorta di lord protettore" del terzo Reich (Doc. dipl. français, s. 1, III, p. 644), impressione che sembra corrispondere più all'atteggiamento ufficiale di simpatia con cui l'ambasciata italiana doveva seguire l'ascesa al potere del partito nazista che alle convinzioni personali del Cerruti. Ma anche quelli che raccolgono questa riserva concordano nell'affermare che essa va riferita ad un breve momento iniziale.
II trasferimento del C. da Berlino viene da alcuni attribuito alle pressioni di Hitler che ne aveva richiesto il richiamo in due occasioni, e si tende, ad annettere un'influenza determinante alla seconda, un colloquio con il maggiore Giuseppe Renzetti avvenuto il 21 giugno 1935. L'argomento merita attenzione perché tocca la maggiore difficoltà incontrata dal C. durante la sua missione. Il Renzetti era formalmente il presidente della Camera di commercio italiana a Berlino, ma aveva in effetti l'incarico di mantenere i rapporti con il partito nazionalsocialista, nel quale contava molti amici personali, tra cui Göring. L'ingresso del partito nel governo determinò un pericoloso dualismo con l'ambasciatore che nel febbraio 1933 chiese l'allontanamento del Renzetti. Questi ne fu verosimilmente informato e restituì il colpo attraverso Göring, il quale nel novembre fece intendere a Mussolini che l'ambasciatore non era più "persona grata", per la sua opposizione al nazionalsocialismo. Mussolini, dopo un po' di riflessione, non accolse la richiesta di richiamo e il C. poté giustificare le doglianze di Göring con la fuga di notizie sul contenuto dei suoi dispacci che si verificava a Roma.
Il contrasto tra i due continuò e il C. ebbe non poche noie, finché, il 15 apr. 1935, Mussolini non dispose di inviare il Renzetti a San Francisco come console generale. È pertanto naturale che nell'udienza di congedo, il 21 giugno, si sia parlato del comportamento del C., ma non è certo che Hitler si sia espresso nei termini riferiti dal Renzetti. Non risulta quando il suo rapporto giunse a Roma, ma è almeno dubbio che abbia avuto l'effetto di un fulmine. Il telegramma che annunziò ufficialmente al C. il suo trasferimento a Parigi è del 25 giugno ed è anche probabile che egli fosse già stato presentito durante una sua visita a Roma di fine aprile. La decisione di Mussolini non sarebbe quindi riconducibile alle pressioni di Hitler quanto piuttosto al desiderio d'avviare una fase di distensione nei rapporti con la Germania prima d'affrontare la partita decisiva con la Gran Bretagna nella crisi etiopica. E per questo compito occorreva un nuovo rappresentante.
A Parigi il C. giunse il 14 agosto, direttamente da Berlino, e si venne a trovare nel bel mezzo della crisi etiopica. Ma non ebbe modo di svolgervi un ruolo particolare: la linea politica dei rapporti con la Francia era stata già interamente tracciata ed inoltre il Quai d'Orsay non era un ambiente favorevole per la diplomazia italiana. Il C. assolse comunque i compiti che la crisi richiedeva fino al dicembre 1935 quando il tramonto delle possibilità di soluzione concordata del conflitto produsse una svolta nelle relazioni italo-francesi. Al C. non restò che adoperarsi per evitare l'inasprimento delle sanzioni. La formazione del governo di fronte popolare e l'insorgere della guerra civile spagnola introdussero nuovi motivi d'attrito nella controversia sul riconoscimento francese della conquista dell'Etiopia. Il C. insistette per mantenere un atteggiamento flessibile, ponendosi in contrasto con l'opinione del ministro Ciano. Il 30 ott. 1937 fu richiamato a Roma per consultazioni e non fece più ritorno in sede. Nel nuovo clima dominato dal rapporto privilegiato con il Reich, le opinioni del C. erano ormai troppo note perché egli potesse essere ancora utilizzato in ambasciate adeguate al suo grado: il 16 giugno 1938, a cinquantasette anni, Ciano lo collocò a riposo "per ragioni di servizio".
Nel 1946 riprese l'attività paterna: assunse la presidenza della Banca popolare di Novara e divenne consigliere d'amministrazione di varie società tra cui le Assicurazioni generali e la Società romana di elettricità. Fu anche presidente della Società storica novarese.
Il C. morì a Novara il 25 apr. 1961.
Gli scritti del C., tutti di ricordi, comprendono: Vent'anni dopo Serajevo, in Nuova Antologia, 1º luglio 1934, pp. 24-34; Ricordi di una missione nel Caucaso,ibid., 1º nov. 1942, pp. 15-25; 16 nov. 1942, pp. 73-92; Mussolini e gli Ebrei, in La Nuova Stampa, 12 sett. 1945; Collaborazione internazionale e ragioni dell'insuccesso della Società delle Nazioni, in Riv. di studi politici internazionali, XIII (1946), 1-2, pp. 50-73; prefazione a Il carteggio Avarna-Bollati(luglio 1914-maggio 1915), a cura di C. Avarna di Gualtieri, Napoli 1953; Perché Hitler aiutò il Negus, in Il Tempo, 20 apr. 1959. A questi vanno aggiunti: Deposizione di V. C., in Il processo Roatta: i documenti, Roma 1945 pp. 76-78; Intervista di V. C., in International News Service, 6 ag. 1946.
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