BARZONI, Vittorio
Nacque a Lonato (Brescia) il 17 dic. 1767 da Cristoforo, possidente, e da Giustina Biemmi, nipote dello storico bresciano Giovanni Maria Biemmi. Fu presto avviato agli studi, che compì prima nel seminario di Verona, poi nella facoltà di diritto della università di Padova, dove si laureò in giurisprudenza nel 1788: all'università di Padova si legò di amicizia con Melchiorre Cesarotti, che vi insegnava. Oltre agli studi giuridici, coltivò anche studi di letteratura e di filosofia, di scienze sociali e politiche, e apprese le lingue francese, spagnola e inglese. Il B. condivideva in questo momento le idee del piccolo gruppo di moderati riformisti veneziani, che seguivano con simpatia la politica di riforme promossa dagli Austriaci in Lombardia. Dopo un breve periodo trascorso a Lonato, il B. passò nel 1792 a Venezia, con l'intento di esercitarvi la professione di avvocato, intento che presto abbandonò per l'attività pubblicistica. A Venezia, il B. frequentò specialmente il salotto di Isabella Teotochi Albrizzi, frequentato, oltre che dal Cesarotti, dal Monti e dal Pindemonte. Nel 1792 egli pubblicò a Venezia il suo primo scritto, Tributo di un solitario alla tomba di Angelo Emo, elogio funebre dell'ammiraglio veneziano, in occasione dell'avvenuto trasferimento delle sue ceneri da Malta a Venezia (più tardi il B. scrisse anche una Lettera sopra il monumento di Angelo Emo scolpito da Canova, Venezia 1795). Pur nell'enfasi oratoria della quale il B. non seppe mai liberarsi, il discorso rivela un serio proposito di rievocazione della realtà storica veneziana e insieme una vivacità di interessi politici, che dovevano esprimersi pienamente due anni più tardi ne Il solitario delle Alpi (Venezia 1794).
In quest'opera, scritta in forma di dialogo tra un vecchio eremita delle Alpi Graie e un giovane adepto delle nuove idee illuministiche e giacobine, il B., che era andato intanto assumendo un atteggiamento di netta opposizione nei confronti della Rivoluzione francese, criticava la pretesa rivoluzionaria di fare tabula rasa di istituzioni politiche, religiose e giuridiche, le cui radici affondavano nelle tradizioni e nei costumi dei popoli, e la cui validità era sancita dalla storia dei singoli paesi, e criticava la pretesa di volere sostituire i tradizionali principi dell'onore e della proprietà con quelli della eguaglianza di tutti gli uomini, della sovranità popolare e della domocrazía, nell'illusione fra l'altro della esistenza di un modello di costituzione sociale, applicabile in ogni paese. La condanna della democrazia ora suffragata anche con esempi tratti dall'antichità. Con questi motivi il B. prendeva il suo posto nell'ambito della polemica controrivoluzionaria dei Burke, dei Mallet du Pan e più tardi dei de Maistre, sia pure a un livello alquanto inferiore, per acutezza di percezione e forza di argomentazioni, a quello degli scrittori d'Oltralpe: anche se non è chiaramente dimostrata la conoscenza di essi da parte sua.
Dopo il rivolgimento in senso democratico avvenuto a Venezia, sotto la pressione delle truppe francesi, il 12 maggio 1797, il B., che proclamava di avversare sia il vecchio ceto aristocratico sia i giacobini filofrancesi, aderì al nuovo regime repubblicano, pur continuando la sua polemica antidemocratica. Dopo le Pasque veronesi egli scrisse una Orazione per Verona al generale Buonaparte (Venezia 1797), in cui sosteneva che le vessazioni delle truppe francesi erano state la vera causa dell'esplosione della collera popolare. È da attribuire probabilmente al B. anche l'anonima Lettera ingenua di un osservatore imparziale, scritta sotto uno scoglio della veneta laguna, non fraternizzato a un municipalista della Terraferma, uscita a Venezia nel giugno 1797: in essa, con il pretesto di volere realizzare in Venezia un regime pienamente democratico, egli affermava la necessità che il nuovo governo ottenesse l'investitura popolare e attaccava la politica di riforme avviata dalla municipalità. Nel maggio 1797 il B. fondò e diresse un periodico, L'Equatore, i cui articoli, scritti in forma dialogica, costituiscono una critica continua e aspra dei principi democratici e delle forme in cui essi avevano trovato applicazione a Venezia: fra l'altro, era sviluppato il motivo tipicamente burkiano che allo stato di natura gli uomini non hanno né diritti né doveri, i quali nascono, gli uni egli altri, con lo stato sociale. Sospeso due volte dalle autorità, L'Equatore fu costretto a cessare le pubblicazioni ai primi di ottobre dello stesso anno (gli articoli del giornale, rimaneggiati, furono pubblicati poi dall'autore con il titolo Colloqui civici, Venezia 1799).
Il B. intanto non si esimeva dal ricoprire qualche carica nella Repubblica veneta. Nell'agosto 1797 egli seguì come segretario il municipalista Vincenzo Dandolo, inviato dai democratici veneziani al quartiere generale di Bonaparte a Passariano, presso Udine, per affiancare il rappresentante ufficiale F. Battagia, come osservatore alle trattative tra Francia e Austria, che dovevano culminare a Campoformio. Dimessosi dalla carica di segretario del Dandolo nel settembre e ritornato a Venezia, il B. pubblicò il 27 dello stesso mese il Rapporto sullo stato attuale dei paesi liberi d'Italia e sulla necessità ch'essi sieno fusi in una sola repubblica presentato al generale in capo dell'armata francese (Italia 1797).
Nel Rapporto, dopo avere denunziato aspramente le repressioni militari francesi e il malgoverno dei vincitori, il B. invitava il generale Bonaparte a servirsi del suo prestigio per unire i vari Stati italiani in un'unica repubblica. Qui la proclamata necessità di una repubblica italiana mal nascondeva, in realtà il violento atto di accusa contro i Francesi e contro il regime democratico.
Il Rapporto suscitò subito dure reazioni. Qualche giorno dopo, al caffè delle Rive di Venezia, il B. ebbe un grave incidente con il segretario dell'ambasciata francese J. Villetard: in seguito all'incidente, il Bonaparte chiese una punizione esemplare del B., e il locale Comitato di salute pubblica ne decretò l'arresto, mentre le copie del Rapporto venivano sequestrate. Inoltre, il Comitato della Pubblica Istruzione di Venezia dette al suo presidente, l'esule napoletano Carlo Lauberg, l'incarico di scrivere la risposta al Barzoni. Nello stesso mese di ottobre il Lauberg dava alle stampe il Rapporto del Comitato d'Istruzione della Società patriottica di Venezia sulla lettera di Vittorio Barzoni (Venezia 1797), in cui accusava il B. di voler incitare il popolo veneto contro i Francesi, che difendevano la libertà d'Italia ed erano pronti a battersi per restituire ai Veneziani l'Istria e la Dalmazia.
Nel frattempo il B., con l'aiuto di L. Bonamico, console sardo a Venezia, era riuscito a riparare a Firenze, dove aveva ottenuto, per la protezione del granduca Ferdinando III, di stabilirsi nell'abbazia dei benedettini a Vallombrosa. Qui egli scrisse la replica al Lauberg, pubblicata a Firenze il 25 ott. 1797 con il titolo di Rapporto di risposta al rapporto scritto contro il mio primo rapporto: in questo, apparso dopo il trattato di Campoformio, egli aveva buon gioco nel commentare sarcasticamente la generosità dei Francesi proclamata dal Lauberg. A questo secondo Rapporto seguì nel novembre un Dialogo tra Eraclito e Democrito redivivi sulla rivoluzione politica di Venezia, stampato in Toscana e pubblicato anonimo, con la sola indicazione dell'anno. Il Dialogo è un compendio dei motivi polemici contro la rivoluzione dell'89, la democrazia e il regime repubblicano veneziano instaurato dai Francesi, già svolti dal B. nei suoi precedenti scritti.
La polemica antidemocratica e antibonapartistica del B. continuò e culminò con l'opuscolo I Romani nella Grecia, scritto nell'esilio di Vallombrosa e pubblicato a Venezia nel 1798, dopo l'arrivo in città degli Austriaci, ma con la falsa indicazione di Londra come luogo di stampa. L'opuscolo ebbe presto un enorme successo, testimoniato da una quindicina di edizioni e di ristampe, anche di Londra, Berlino e Amburgo, mentre era diffuso oltre Atlantico dal presidente degli Stati Uniti, J. Adams.
In questo opuscolo, che è forse lo scritto più notevole del B., egli conduce un durissimo attacco contro la politica italiana del Bonaparte, nella forma allegorica e analogica del racconto della conquista romana della Grecia, racconto che tuttavia sostanzialmente travisa la realtà storica per fini di polemica attuale.
Il concetto fondamentale de I Romani nella Grecia è che i Romani (leggi: i Francesi) pretesero trapiantare il loro tipo di civiltà in un altro paese, che godeva di una civiltà superiore alla loro, civiltà che era fondata su principî connaturali alla tradizione e ai costumi di quel popolo. Approfittando della divisione del paese in molti Stati spesso in lotta fra loro, il console Tito Quinzio Flaminio (in realtà Flaminino: leggi Bonaparte) liberò la Grecia dai Macedoni per sottometterla ai Romani, per imporle le leggi romane a essa inadatte: tutto ciò portò alla corruzione alla decadenza della Grecia. Il B. si serviva così di riferimenti tolti dall'antichità classica per combattere il mito della romanità, di origine giacobina: la condanna da parte del B. dell'imperialismo bonapartistico-romano contribuiva a immettere nella tradizione culturale italiana del sec. XIX il motivo della anti-romanità, che trionfò nella scuola neoguelfa.
Occupata di nuovo Venezia dagli Austriaci, il B. vi ritornò nel 1798, per restarvi sino al 1801. In questi anni scrisse i Memorabili avvenimenti successi sotto i tristi auspicj della Repubblica francese (Venezia 1799), ripubblicati più tardi, con non sostanziali tagli che ne attenuavano il tono polemico, con il titolo Le rivoluzioni della Repubblica francese (Milano 1815).
Qui il B. dava un quadro idillico, analogo a quello già offerto dal Burke, della situazione della Francia prima della Rivoluzione. Questa fu dovuta sostanzialmente, secondo il B., agli errori di alcuni ministri, all'opera corruttrice e alla propaganda antimonarchica svolta dal duca Filippo d'Orléans, alle nuove idee venute dall'America, all'odio dei protestanti e degli ebrei: una banda di criminali distrusse così una società bene assestata sulle tradizionali basi della monarchia e della religione. In questa opera il B. mostrava la sua sfiducia anche verso la monarchia costituzionale, e la sua adesione a un tipo di monarchia di diritto divino.
Passando dall'analisi della Francia tra Ancien régime e Rivoluzione a quella di Venezia fra il regime oligarchico e quello democratico, il B. scriveva le Rivoluzioni della Repubblica veneta (Venezia 1800).
L'opera era un atto di accusa contro la aristocrazia veneziana, la cui inettitudine e impotenza, l'affievolito senso dello Stato, la inane politica di neutralità seguita di fronte ai Francesi, erano stati responsabili, insieme con l'opera del Bonaparte e dei Francesi, della rovina della Repubblica.
Alla fine del 1801 il B. accompagnò a Vienna il conte G. G. Strassoldo, per cercare di ottenere, anche con il suo appoggio, la successione a C. Sibiliato sulla cattedra di eloquenza latina e italiana nell'università di Padova. La nomina però non venne, anche se il B. fu bene accolto nella capitale austriaca, dove strinse rapporti di amicizia con alcuni rappresentanti del pensiero politico conservatore europeo, da F. Gentz a J. von Müller, e del liberalismo britannico. Quando il Bonaparte riuscì a ottenere, nel gennaio 1804, la espulsione del B. dai domini austriaci, egli accolse le offerte inglesi e si trasferì a Malta. Qui il B. riprese, al servizio dell'Inghilterra, la sua attività di pubblicista e la sua polemica antibonapartistica. Per incarico di W. Pitt e con documentazione ufficiale, scrisse a Malta, nello stesso 1804, i Motivi della rottura del trattato di Amiens, in cui svolse naturalmente il motivo che la rottura del trattato era stata provocata da Napoleone. Assunse quindi la redazione di un giornale intitolato l'Argo e chiamato poi Il Cartaginese.IlB., ormai sotto l'influsso del costituzionalismo britannico, ricorreva nuovamente a termini desunti dall'antichità classica per contrapporre la nuova Cartagine, cioè la libera Inghilterra, alla nuova Roma, cioè al dispotismo francese. Dalle colonne de Il Cartaginese, che veniva diffuso dagli, Inglesi in Italia, il 1º ott. 1805 il B. lanciò un Proclama per i miei compatrioti, in cui esortava gli Italiani a insorgere contro tutti gli stranieri, Francesi e Tedeschi, confidando nella Gran Bretagna, e auspicava per l'Italia unita una costituzione analoga a quella britannica, con un principe, un Senato aristocratico, un Consiglio di deputati e la libertà di stampa. L'influenza dell'antipapismo britannico gli dettava poi accenti anticlericali. Cessata nel 1808 la pubblicazione de Il Cartaginese, nel 1805 il B. prese a dirigere il Giornale politico, ilcui obbiettivo principale era quello di incoraggiare la resistenza degli Spagnoli contro le truppe francesi. Nello stesso 1805 sembra che fosse il B. a propugnare la necessità della spedizione militare che si compì nel Regno di Napoli. Cessato nel 1811 anche il Giornale politico, nel 1812 egli cominciò a dirigere il Giornale di Malta, che doveva durare sino al 1814. Il 31 marzo 1813, in un Indirizzo d'un italiano ai suoi concittadini, pubblicato in questo giornale, il B. invitava nuovamente gli Italiani a insorgere contro i Francesi e a costituire uno Stato unitario sotto un principe italiano: prometteva per questo fine l'aiuto inglese.
Così il B., che a Malta aveva conquistato una posizione di notevole prestigio, sembrava essersi convertito, con i due appelli agli Italiani del 1805 e del 1813, all'idea dell'unità della penisola.
Alla fine del 1814 egli tornò in Italia con una pensione inglese, ma non riuscì a inserirsi nel nuovo clima politico della Restaurazione: pesavano evidentemente su di lui la delusione per il regime poliziesco che gli impediva quella libertà di parola che in parte aveva goduto persino sotto l'occupazione francese e l'ostilità che gli suscitavano le sue propensioni anglofile. Si dette, così, essenzialmente a curare la ristampa delle sue opere e a una attività letteraria, fra i cui deboli frutti sono da ricordare il dramma Narina (Crema 1825) e Belfonte descritto (Lodi 1825). Nel 1830 redasse la propria autobiografia, sollecitato da mons. C. E. Muzzarelli, che intendeva inserirla in una silloge da lui concepita: essa fu pubblicata a Lodi nel 1836, come presunta traduzione di una biografia pubblicata a Londra, nel 1831 da certo William Thompson, del quale, come della biografia, non vi è traccia (Vita di V. B. scritta in inglese da W. Thompson e... tradotta in italiano, Lodi 1836, poi stampata nel volume di Demetrio Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 52-59). Sino al 1834 il B. visse fra Venezia, Milano, Crema, Lodi, Brescia; poi si stabilì a Lonato, dove restò sino alla morte, che lo colse il 22 apr. 1843.
Oltre alle opere sopra citate, si possono ancora ricordare: Raccolta di varie carte del B. col quadro delle imprese del principe Carlo (Venezia 1798), ristamp. nello stesso anno col titolo Prose (Venezia); L'Ebe di Canova, posseduta dal conte Giuseppe Albrizzi e descritta da V. B. (Venezia 1800).
Bibl.: G. B. Pagani, Elogio di V. B., Brescia 1843; L. Ercoliani, V. B., cenni biografici, in Rivista europea, n.s., I (1843), 2ºsemestre, pp. 521; U. Papa, V. B. e i tempi napoleonici, Roma 1879; C. Cocchetti, Del movimento intellettuale nella provincia di Brescia dai tempi antichi ai nostri: memorie, Brescia 1880, p. 103; V. Malamani, Isabella Teotochi Albrizzi, i suoi amici, il suo tempo, Torino 1882, pp. 33 s.; Id., I Francesi a Venezia e la satira, Venezia 1887, pp. 21-23, 57-60, 64-71, 77-87; U. Papa, V. B. e i Francesi in Italia, Venezia 1895 (ristampa, con aggiunte, dello scritto del 1879); M. Kovalevsky, La fin d'unearistocratie, trad. dal russo, Turin 1901, pp. 254, 257 s., 299, 306-312, e appendice III, pp. 346-349; A. Lumbroso, Gli scritti antinapoleonici di V. B. lonatese, in Attraverso la Rivoluzione e il Primo Impero, Torino 1907, pp. 139-164; A. Benzoni, La vita di V. B. lonatese, Bobbio 1908; P. Hazard, La Révolution Française et les lettres italiennes, Paris 1910, pp. 260 s.; F. Nani Mocenigo, Memorie veneziane, Venezia 1911, pp. 227-241; U. Da Como, La Repubblica bresciana, Bologna 1926, pp. 103-105; R. Soriga, V. B. contro Carlo Laubert [sic] nella polemica patriottica alla vigilia di Campoformio, in La Lombardia nel Risorgimento ital., XI, Milano 1926, pp. 23-45 (ristampato poi, con l'altro scritto del Soriga, La passione italica di V. B. da Lonato, 1767-1843, già pubblicato nella Rass. stor. del Risorgimento, XX [1933], pp. 675-677, in. L'idea nazionale italiana dal secolo XVIII all'unificazione, Modena 1941, pp. 66-87, 243-246; D. Spadoni, L'ultimo appello antinapoleonico di B., in La Lombardia nel Risorgimento ital., XV, Milano 1930, pp. 65-73; G. Perale, I Francesi a Venezia e l'Equatore di V. B., in Riv. letteraria, V (1933), pp. 7-19; B. Croce, La vita di un rivoluzionario, in La Critica, XXXII (1934), pp. 275 s. (poi ristampato in Vite di avventure, di fede e di passione, Bari 1936, pp. 381-384); E. Ondei, Un bresciano tra la Rivoluzione francese e la reazione austriaca (1796-1814), V. B., in Nova historia 1951, n. 2, pp. 485-489; Id., Un lonatese tra rivoluzione e la reazione: V. B., in Commentari dell'Ateneo di Brescia per l'anno 1950, Brescia 1951, pp. 209, 222; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, pp. 151 s., 205; J. Godechot, La Grande Nation, Paris 1956, pp. 350, 400, 408, 412; A. Bozzola, Un antigiacobino veneto, V. B., in Arch. veneto, XC (1959), n. 99, pp. 13-71; n. 100, pp. 20-64; Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, a cura di P. Treves, Milano-Napoli 1962, pp. 103-147 (si ristampa, alle pp. 115-147, I Romani nella Grecia del B.); P. Treves, L'idea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX, Milano-Napoli 1962, pp. 11 ss.; I giornali giacobini italiani, a cura di R. De Felice, Milano 1962, pp. XIII, XXXV, XLIII, 509; Biogr. univ. ancienne et moderne, III, pp. 207 s. (con varie inesattezze ed errori).