VITTORIO AMEDEO I duca di Savoia
Nato a Torino l'8 maggio 1587 da Carlo Emanuele I e da Caterina di Spagna, morto il 7 ottobre 1637. Dopo la morte della duchessa, Carlo Emanuele I che nutriva ancora speranze sull'eredità spagnola decise d'inviare alla corte di Madrid il primogenito Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto, perché vi completassero la loro educazione (1603). Li accompagnava l'abate G. Botero. Nel gennaio del 1605 i tre principi si ammalarono di vaiuolo; Filippo Emanuele morì e V. A., ormai principe ereditario, fu richiamato a Torino insieme col fratello minore, tanto più che proprio in queglì anni era nato l'erede del trono di Spagna. Con il 1607 V. A. partecipa dell'attività paterna, iniziando un lungo e duro tirocinio politico-militare. Carlo Emanuele I considerava i figli come intimi coadiutori, e quindi non esitò ad affidare loro posti di responsabilità e missioni delicate. Così, all'inizio della controversia per la successione di Mantova e del Monferrato, V. A. fu inviato in Spagna (1613), ma il viaggio si risolse in un insuccesso diplomatico che faceva presagire il vicino conflitto armato. Le vicende stesse di quegli anni tempestosi contribuirono a templare il carattere di V. A. già per natura riservato, serio, pratico. Alla consuetudine della lotta politica si aggiunse l'educazione guerresca: nella difesa della Savoia contro il duca di Nemours (1616) e nella conquista di Masserano (1617) il giovane principe mostrò di possedere doti di coraggio e capacità di comando. Ma, nei confronti del padre, appariva più prudente, meno incline ai grandi progetti, alle imprese rischiose, ai rapidi mutamenti d'alleanza. Questi ultimi ritardarono per qualche tempo il matrimonio di V. A. Respinte le proposte spagnole, distrutta la possibilità delle nozze con Elisabetta di Francia per l'improvvisa morte di Enrico IV, sfumati i progetti matrimoniali con una principessa inglese, finalmente, mediatore Francesco di Sales, V. A. sposò nel 1619 la sorella di Luigi XIII, Cristina. La politica dello stato sabaudo si orientava così in senso francofilo, e attraverso il disegno d'una lega italiana contro la Spagna, Carlo Emanuele I sperò che il figlio potesse un giorno cingere la corona di re della Lombardia. Ma gli aiuti decisivi del Richelieu vennero meno, e apertasi la seconda crisi per la successione di Mantova (1627), il ducato di Savoia, premuto tra la minaccia spagnola e le pretese francesi, fu gravemente compromesso nella sua stessa integrità. Quando il 26 luglio 1630 Carlo Emanuele I morì, V. A. prendendone il posto, aveva piena consapevolezza della situazione grave in cui versava il paese, né credeva possibile uscirne con una vittoria militare. Si delinea quindi un desiderio di pace, dignitosa ma rapida; pace che era raggiungibile solo mediante un'alleanza con la Francia. E in tal senso agiva, con i suoi consigli, anche il gesuita Pietro Monod, confessore della duchessa. Una prima tregua d'arme venne decisa a Rivalta (4 settembre 1630); un mese dopo fu stipulata la pace generale a Ratisbona tra la Francia e la casa d'Austria con l'attribuzione di alcune terre del Monferrato al duca di Savoia. Ma questi dovette superare ben altre difficoltà per ottenere che i Francesi sgombrassero il proprio territorio. Attraverso i negoziati che portarono al trattato di Cherasco (1631), il Richelieu riuscì ad assicurare il possesso di Pinerolo alla Francia e quindi a stabilire una perpetua minaccia alle porte del Piemonte: fatto assai grave perché rivelava la ripresa d'una politica d'espansione francese in Italia, e perché faceva scadere agli occhi degli altri stati italiani il Piemonte che perdeva, in parte, la possibilità di esercitare la sua funzione di "antemurale della Penisola". E l'amicizia francese non solo non consentì a V. A. I di realizzare l'acquisto di Ginevra, a titolo di compenso, ma ben presto si manifestò troppo pericolosa e invadente. Il dramma angoscioso di questa situazione è ben rappresentato dal pronunciamento antifrancese (1634) del principe Tommaso di Savoia Carignano, il cui gesto, mascherato da ragioni di privati dissensi col duca, era in realtà ispirato dal desiderio di porre gli stati sabaudi al riparo dalla violenza delle armi francesi. Il duca che, in un primo tempo, rimase dispiaciuto per il momento e il modo dell'azione del fratello, poi si rese conto che il gesto compiuto dal principe Tommaso aveva contribuito a smorzare la tracotanza del Richelieu. Rinacque il disegno di una lega tra la Francia e i duchi di Savoia, Mantova, Modena e Parma contro la Spagna. Ma, nonostante il trattato faticosamente raggiunto di Rivoli (11 luglio 1635), era evidente che la politica del grande ministro di Luigi XIII osteggiava l'aspirazione sabauda all'acquisto della Lombardia. Lo si vide dallo stesso piano di guerra, che V. A. I voleva rivolto alla rapida e decisiva conquista di Novara e di Milano, mentre il Créqui mirava solo a isolare il nemico da Genova e dal mare, tagliando le vie di comunicazione. Comunque, è merito del duca l'aver ripreso e accentuato questo orientamento della politica estera verso la Pianura Padana. Ma, dopo le prime vittorie a Tornavento (22 giugno 1636) e a Mombaldone (8 settembre 1637), V. A. I morì, probabilmente di febbri malariche, lasciando due fanciulli (Francesco Giacinto e Carlo Emanuele). Fu quindi proclamata reggente la duchessa Cristina, sostenuta dalla Francia.
Nella politica interna V. A. I si mostrò, secondo il giudizio del Richelieu, "buon principe verso i suoi popoli". Durante la peste (1630) e la carestia alleviò le miserie dei sudditi, e fu pronto a reprimere le tristi conseguenze morali (violenza e brigantaggio) di quegli anni difficili. Nel settore economico e commerciale fece poche innovazioni, ma riordinò e ristabilì consuetudini che la guerra e la pestilenza avevano ostacolate o distrutte. Per sopperire alle esigenze finanziarie procedette alla vendita di molti titoli nobiliari. La povertà dei mezzi gl'impedì di attuare un vasto programma di lavori pubblici, ma un notevole impulso ebbero i restauri del Valentino. Sul terreno giurisdizionale lottò contro i nunzî, sia in difesa delle prerogative statali, sia per evitare un aumento delle immunità ecclesiastiche nel quadro della proprietà terriera. Molte cure furono rivolte all'esercito e alla difesa del territorio: V. A. I fece fortificare Torino e soprattutto le piazze di confine, come Mommeliano; riordinò le artiglierie e istituì le caserme, vietando l'alloggio dei soldati nelle case private. In sostanza, V. A. I rivelò ottime direttive e propositi eccellenti, ma dovette operare con mezzi scarsi e in circostanze sfavorevoli. Pure, anche nei momenti più aspri, conservò forte il senso della dignità e dell'alto prestigio dello stato, cercando di accrescerli, come si vide nel 1630, quando assunse il titolo, per altro non riconosciuto, di re di Cipro.
Bibl.: Oltre le opere generali di storia sabauda di E. Ricotti e D. Carutti, si veda: C. E. Patrucco, Antifrancesismo in Piemonte sotto il regno di V. A. I, in Boll. stor. bibliogr. subalpino, II e III (1896); R. Bergadani, L'opera del principe V. A. nelle negoziazioni tra le corti di Savoia e di Mantova per la successione del Monferrato, in Atti R. Acc. scienze Torino, 1907; S. Foà, Il tratt. di Rivoli, in Boll. stor. bibl. subalp., 1927 e 1930. Ma soprattutto: S. Foà, V. A. I., Torino 1930. Per i rapporti tra V. A. I e il principe Tommaso; v.: R. Quazza, Il pronunciamento antifrancese di Tommaso di Savoia-Carignano, in Convivium, V (1936).