AMBROSINI, Vittorio
Nacque a Favara (Agrigento) il 15 febbr. 1893, da Giovanni Battista e da Carmela Lentini. Giornalista fin da giovanissimo (nel 1913 era corrispondente da Berlino del Giornale di Sicilia), nel 1914 divenne corrispondente dal Belgio invaso della Tribuna e della Frankfurter Zeitung (vedi la raccolta di articoli Nel Belgio invaso, Milano 1917). Dopo l'entrata in guerra dell'Italia si arruolò volontario su posizioni di interventismo democratico. Ufficiale addetto alla propaganda sul fronte interno, fu più tardi assegnato al III battaglione d'assalto raggiungendo il grado di capitano. Dopo Caporetto le sue posizioni politiche si radicalizzarono. Da allora le sue riflessioni e la sua attività si sarebbero orientate - sia pure attraverso capovolgimenti di fronte nella scelta dello schieramento - verso il problema dell'"applicazione della forza" alla lotta politica.
Conseguita la laurea in giurisprudenza e acquistati i titoli necessari alla professione legale, all'inizio del 1919 fondò insieme con G. Bottai, P. Bolzon, M. Carli e altri la Federazione arditi d'Italia, facendosi promotore di un "arditismo popolare" quale trasposizione sul piano politico dello spirito di corpo degli arditi.
Secondo quanto l'A. avrebbe scritto nell'Autobiografia, l'ardito avrebbe dovuto rappresentare l'elemento cosciente e la guida del blocco sovversivo formato dal proletariato manuale e dalla massa degli ex fanti da un lato, e dal proletariato intellettuale (ufficiali e arditi) dall'altro, cioè dai ceti medi che avevano combattuto la guerra animati da un "nazionalismo genuino". Infatti il tradimento delle attese dei reduci e la manipolazione nittiana del combattentismo imponevano, a suo avviso, una rottura rivoluzionaria con il passato.
Per questa via si avvicinò al nascente movimento fascista. Collaboratore saltuario del Popolod'Italia, fuprotagonista nel 1919 con Argo Secondari del cosiddetto "complotto di Pietralata", che avrebbe dovuto innescare un processo insurrezionale guidato da arditi. Confessò più tardi, sulle pagine dell'Avanti!, sia i retroscena del complotto medesimo, sia di aver assistito, nella sede milanese dei Fasci, alla ripartizione dei fondi dopo l'assalto alla redazione del giornale socialista. Questo episodio segnò la sua rottura personale con Mussolini e il distacco dal fascismo, le cui azioni - secondo l'A. - convergevano obiettivamente con gli interessi delle classi dominanti (Roma futurista, 27 apr. 1919, e l'Avanti!, 27 ag. 1919).
In quello stesso anno l'A. aderì al Partito socialista italiano, convinto che la guerra avesse portato a compimento la maturazione degli intellettuali e del ceto medio come classe e che in tal modo fosse divenuta possibile un'alleanza con il proletariato su posizioni di pari dignità. In particolare egli intendeva propagandare dentro le organizzazioni socialiste un "contromilitarismo rosso" nel quale all'intellettuale ex combattente sarebbe spettato il ruolo specifico della preparazione dell'insurrezione armata. Nel 1920fondò a San Marino il periodico l'Ardito rosso e fu attivo nella Lega proletaria dei reduci di guerra. Di fronte alla passività del massimalismo e al rifiuto della direzione socialista di assecondare i suoi progetti di "armamento proletario", l'A. si avvicinò alla frazione astensionista, nucleo del futuro Partito comunista d'Italia. Nell'autunno del 1920partecipò quale esperto della difesa militare all'occupazione dello stabilimento Bianchi a Milano e si recò poi a Trieste con l'intenzione di unirsi ai legionari dannunziani a Fiume, ma, inseguito da diversi ordini di cattura per attività sovversiva, dovette rifugiarsi in Austria ove riprese l'attività giornalistica come inviato dell'Abend. Nel 1921 si iscrisse al Partito comunista d'Italia e scrisse su L'Internationale communiste, sotto lo pseudonimo di Ardito Rosso, un articolo sulle cause e sulla diffusione del fascismo (n. 18, 1921, pp. 4536-4551: La crise révolutionnaire, ses perspectives, ses enseignements). Di questo periodo è anche lo scritto Per la difesa e la riscossa del proletariato italiano, Vienna 1921.
Secondo l'A., la polarizzazione sociale e politica del dopoguerra avrebbe spinto i ceti medi, che si sentivano privi di una rappresentanza a livello politico-istituzionale, a cercare sul piano extralegale una soluzione al grave declassamento di status. D'altronde l'immobilismo legalista e il pacifismo delle sinistre spingevano questi settori nelle braccia del fascismo.
Dimessosi dal Partito comunista d'Italia, del quale aveva esplicitamente criticato la posizione verso gli arditi del popolo, dopo il congresso di Roma (marzo 1922) l'A. si riavvicinò per un breve periodo alle posizioni socialiste, finché, nel 1924chiese, senza peraltro ottenerla, la tessera del Partito nazionale fascista. Questo capovolgimento di fronte avvenne senza rotture ideologiche rispetto al passato, anzi in continuità con una concezione militaristico-autoritaria della politica.
"Questo messere - scriveva l'Avanti! il 25 marzo 1924 commentando la notizia della sua adesione al fascismo - ha chiesto fino a ieri, ripetutamente, di fare il corrispondente dell'Avanti! da Vienna. Gli fu rifiutato. Ha chiesto alla Direzione del Partito la tessera. Gli è stata rifiutata. I compagni di Vienna furono avvertiti di diffidare della megalomania fattucchiera di questo tipo avventuroso e inconsistente".
Divenuto il fascismo potere di governo, ritenuta ormai superata la fase "negativa e distruttrice" di contrapposizione alle organizzazioni proletarie, l'A. dette credito al progetto di "rivoluzione corporativa anticapitalista". Con il patto di palazzo Chigi, secondo l'A., il sindacalismo fascista si era trasformato da elemento precario della dialettica sociale in struttura associata del potere (Autobiografia, pp. 1585 s.). In questa fase - che l'A. definiva "NEP mussoliniana" - mutava, a suo avviso, il ruolo dell'intellettuale, il quale avrebbe dovuto trasporre il proprio impegno dal confronto antagonistico con le istituzioni al lavoro nella transizione fascista dentro le istituzioni. Lo sbocco finale sarebbe stato la scomparsa del fascismo stesso, una volta realizzatesi l'educazione e l'integrazione totalitarie dell'individuo produttore nello Stato. In questa direzione l'A. si allontanava da un ruolo di sostegno all'azione di Rossoni per avvicinarsi alle teorizzazioni di Alfredo Rocco, nei cui assunti giudicava compiuta "la sintesi fra la dignità teorica del bolscevismo e il forte movimento fascista povero però di cultura" (ibid., pp. 1830 ss.).
Sul piano pratico ciò significava per l'A battere da un lato la rozza componente interna che si richiamava a Farinacci come anche il ben più pericoloso e normalizzatore revisionismo di M. Rocca e, dall'altro, sollecitare la riunificazione del proletariato puntando sulla disponibilità di elementi quali Baldesi e D'Aragona. Il delitto Matteotti favoriva - secondo l'A. - l'iniziativa degli schieramenti che, all'interno dei due campi, volevano impedire che l'anima sovversiva del fascismo e quella dell'antifascismo si riunificassero partendo dalla questione sociale (ibid., p. 2268).
All'obiettivo di "gettare un ponte fra le due sponde" l'A. dedicò tutte le sue energie. Rientrato in Italia, nel 1925 pubblicò a Roma il volume La battaglia per lo Stato sindacale, nel quale riproduceva tra l'altro due interviste a Baldesi e a D'Aragona già edite su Epoca (la rivista diretta da G. Bottai, a cui aveva già collaborato). Promosse la pubblicazione del periodico Roma-Mosca e fondò nel 1926 Lo Stato sindacale, che avrebbe guadagnato spazio con la soppressione della stampa proletaria di opposizione. Fu anche attivo nella Confederazione degli intellettuali. Lavorò alla costruzione di un "Movimento Impero Lavoro", al quale assegnava l'ambizioso obiettivo della riunificazione del proletariato a livello internazionale. Ritenendo preliminare al perseguimento di ciò la lotta alla dissidenza e al fuoruscitismo (a quello fascista in primo luogo) - agendo insieme con Sollazzo, Bastianini e Crispo Moncada - finì con l'organizzare a Parigi una provocazione contro Cesare Rossi e Carlo Bazzi. L'intenzione era quella di suscitare divisioni nel fronte del fuoruscitismo fascista, nella fattispecie provocando incidenti nel corso di un comizio tenuto dal gruppo di Parigi. Ma nel perseguire tale scopo l'A. venne in aperto conflitto con il rappresentante ufficiale del partito fascista a Parigi.
Accusato di doppio gioco, alla fine del 1926 fu richiamato a Roma e colpito da un provvedimento di confino che scontò a Lampedusa, Lipari, Ustica e Ponza, ove rimase fino al settembre 1931 (a Lipari compose una lunga autobiografia e due scritti di sociologia politica: Economia scialista, economia liberale ed economia corporativa [1929] e Opinioni dal confino, può esservi, in regime di partito unico di Stato, libertà sindacale e politica? [1930], entrambi inediti, conservati nell'Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 95). In libertà provvisoria, rimase dapprima in Sicilia poi, dal 1934, si stabilì a Roma, ove si dedicò all'attività forense e tentò di attivare una casa editrice di studi corporativi, continuando ad essere oggetto di vigilanza da parte della polizia fascista.
Nell'ultimo dopoguerra l'A. aderì al movimento neofascista. Nel 1947, dinanzi alla Corte d'assise di Roma, sostenne la difesa di Amleto Poveromo, componente della banda fascista che aveva assassinato G. Matteotti: in quella sede riprese le tesi già sostenute nel 1925 circa gli scopi e i probabili mandanti del delitto (ne pubblicò le argomentazioni nell'opuscolo Avete assassinato l'Italia. Ambrosini accusa affaristi del capitalismo e fuorusciti al processo Matteotti, Roma 1947).
Già presidente dell'Associazione nazionale arditi di guerra, l'A. morì suicida a Roma il 20 ott. 1971.
Alcuni organi di stampa, tra i quali l'Unità, ritennero poco chiare le circostanze della sua tragica morte e la collegarono alla cosiddetta strategia della tensione e, in particolare, alla probabile conoscenza che l'A. avrebbe avuto di fatti relativi all'organizzazione della strage avvenuta il 12 dic. 1969 alla Banca nazionale dell'agricoltura di piazza Fontana a Milano.
Fonti e Bibl.: L'Autobiografia inedita dell'A., scritta nel 1928, si conserva presso l'archivio della diocesi di Lipari. Vedi inoltre: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, busta 95, ad nomen (per tutto il periodo fascista l'A. risulta schedato come socialista); R. De Felice, Mussolini il fascista, I, Torino 1966, pp. 136, 564; S. Caprioglio-P. Spriano, L'Ardito rosso non era Gramsci, in Rinascita, 26 marzo 1966, p. 26; G. Amendola, in R. Grieco, Scritti scelti, I, Roma 1966, p. XXIII; P. Spriano, Gramsci, il fascismo e gli Arditi del popolo, in Critica marxista. Quaderni, n. 3, 1967, p. 194; Id., Storia del Partito comunista italiano, I, Torino 1967, p. 149; La strage di Stato, Roma 1970, pp. 123-125; l'Unità, 24 e 26 ottobre, 7 dic. 1971; M. Sassano, La politica della strage, Padova 1972, pp. 91-105; S. Zavoli, Nascita di una dittatura, Torino 1973, pp. 48, 51, 221; G. Sabbatucci, Icombattenti nel primo dopoguerra, Roma-Bari 1974, ad Indicem; D. Pompejano, Autobiografia di un capitano degli Arditi 1927-1928, in Riv. di storia contemporanea, XII (1983), pp. 194-218.