VITTORIA (Victoria)
L'impeto vittorioso del popolo romano sembra essersi impersonato, in un primo tempo, nell'antichissima dea Vica Pota: Livio (ii, 7, 12) ne ricorda il sacrario e Cicerone (Leg., ii, 11, 28) ne fa derivare il nome da vincere e potiri. La V. stessa è legata ben presto a Giove, al quale vien dato l'attributo victor, in un tempio consacratogli durante le guerre sannite (Liv., x, 29, 14; C.I.L., vi, 438; νικηϕόρος, Joseph., Ant., xix, 218). Quasi contemporaneamente sorge sul clivus Victoriae, sul Palatino, un sacrario dedicato alla V., vicino al quale fu posteriormente edificato un tempio alla Victoria virgo (v. anche nike).
Durante le difficoltà sorte nella seconda guerra punica, Gerone spedisce a Roma una V. in oro, accolta come omen dal Senato, che decide di esporla nel tempio di Giove sul Campidoglio, nella speranza che essa sarebbe stata volentem propitiamque, firmam, stabilem populo Romano (Liv., xxii, 37, 12 ss.). In onore suo vengono organizzati giochi, per esempio, i ludi victoriae Sullanae e i ludi victoriae Caesaris. La venerazione tributatale raggiunge il culmine con la consacrazione nella Curia Iulia dell'altare alla V., ad opera di Ottaviano, nell'anno 29 a. C. Viene in tal modo stabilita la indissolubile unione tra la V. e il principato e con la figura della statua librata sul globo, fissato un prototipo riprodotto quasi costantemente nelle infinite rappresentazioni della dea, specie sulle monete. Come il modello greco (v. nike) essa è alata; la corona e il ramo di palma sono i suoi attributi. Quale "Figlia del cielo" scende verso la terra aleggiando, spesso su una biga (bigatus) o una triga, più spesso sulla quadriga trionfale (quadrigatus), che talvolta guida. Spesso quattro ghirlande fissate al ramo di palma indicano il numero delle vittorie riportate. Sullo scudo che la dea, volando, tiene con ambo le mani, sono leggibili delle iscrizioni, per esempio: "cl(upeus) v(irtutis)" o "s p q r". Tra i suoi attributi vediamo anche il trofeo (tropaeum); segno del momento decisivo nella battaglia, e il diadema della vittoria. Suo campo d'azione e suo luogo di culto è tuttavia l'orbis terrarum rappresentato dalla sfera; per lo più la dea vien figurata con le ali spiegate su un globo, secondo il prototipo della Curia Iulia, ma vi sono anche rappresentazioni indipendenti: essa si appoggia, come un soldato, allo scudo, un'insegna sostituisce il ramo di palma, l'aquila legionaria sta al posto della ghirlanda; la cornucopia simboleggia i benefici, frutto del successo; l'altare e il lituus sacerdotale ricordano il suo culto. Sin dai tempi più remoti la si vede coronare un trofeo (Victoriatus) o sorgere sulla prua di una nave (V. navalis). L'impeto che anima la volontà del successo è espresso dalla V. che avanza con passo spedito, talvolta travolgente. Simile a Marte gradivus tiene davanti a sé il trofeo o l'aquila delle legioni. Armata di lancia e di gladio, ricorda la figura di Virtus; un diadema spezzato è indice della sconfitta di un regale avversario. Numerose le immagini su cui la V. in cannnino attacca uno scudo al trofeo o alla palma, per segnare il successo delle armi; quando invece, il ramo d'olivo e la cornucopia sostituiscono i consueti attributi, essa è apportatrice di pace e di felicità. Finalmente la V. seduta indica chiaramente il riposo che segue il felice esito della battaglia; anche in questo caso essa annota sullo scudo i successi conseguiti. La coppa dei sacrifici indica le feste (supplicationes) che celebrano l'annunzio della vittoria. Su monete di tarda età compaiono insieme due o più V., che rappresentano o i varî successi bellici di un singolo imperatore - rese più comprensibili dalle cifre iterative - o la vittoria di due sovrani contemporaneamente regnanti.
Le molteplici attività attribuite alla V. si rispecchiano in modo anche più intelligibile nelle composizioni: V. che incorona Roma, l'Italia, Ercole, il Genio del Popolo Romano, particolarmente lo stesso imperatore; lo accompagna quando parte per la guerra (profectio) o quando ne torna vittorioso (adventus). Le V., talvolta aptere, che compaiono da Aureliano in poi, rappresentano probabilmente le forze del dio solare. Il busto di V. appare anche, insieme con quelli di Pax e Felicitas, sul dritto delle monete; sul retro è uso coniare immagini della V. fides exercituum, fortuna redux, securitas publica, spes publica, salus generis Romani, virtus invicta; altrettanto spesso essa compare sulle numerose monete votive, che celebrano particolari giorni degni di venir commemorati. Altrettanto significativi sono gli epiteti; salvo quelli che si riferiscono alla persona dell'imperatore, hanno o valore generale come: aeterna, perpetua, p(opuli) R(omani), imperii Romani, invicta, o specifico: ricordano i popoli vinti al caso genitivo o sotto forma di un aggettivo.
Vero e proprio simbolo del principato diventa la statuetta della V. che, secondo l'uso greco, è posata sulla mano di una delle grandi divinità, specie di Iupiter victor, di Mars victor, invictus, conservator, ultor, di Minerva victrix, di Venus genetrix, felix, victrix, di Hercules conservator e non ultimo di Roma renascens, perpetua, felix, e ora viene tenuta dallo stesso imperatore e personifica, fondendosi con la figura del sovrano, l'impeto vittorioso del popolo. La forza simbolica della V. è testimoniata dalle aspre lotte, che si combatterono ancora nel sec. IV intorno al suo altare, finalmente tolto definitivamente dall'aula senatoriale nel 357. Simmaco, il suo fanatico sostenitore, sapeva che la scomparsa della V. segnava la fine dell'Imperium Romanum.
Bibl.: G. Wissowa, Rel. u. Kult. der Römer2, Monaco 1912, pp. 98; 140; P. L. Strack, Röm. Reichsprägung, Traian, Hadrian, Antoninus Pius, Stoccarda 1931, passim; M. Grant, Roman Imperial Money, Londra-Edimburgo 1954, pp. 22 ss.; 150 ss.; 193 ss.; 200 s.
(† W. Koehler)