(lat. Victoria) Divinità romana, personificazione della vittoria, analoga alla greca Nike. Le fu eretto un tempio sul Palatino, votato nel 294 a.C. dal console Lucio Postumio; verso la fine della Repubblica invalse l’uso di assumere la dea a simbolo delle vittorie di capi politici, finché ai tempi di Augusto prese forza il concetto di V. Augusta come base del potere militare dell’imperatore. Augusto nel 29 a.C. fece erigere nel senato l’ara della V., che Costanzo ordinò di rimuovere nel 357, suscitando viva opposizione negli ambienti pagani di Roma. L’ara, ricollocata verosimilmente durante il regno di Giuliano, fu di nuovo rimossa per ordine di Graziano (382) e il tentativo fatto presso Valentiniano II per ottenerne il ripristino da parte di Simmaco e Vettio Agorio Pretestato, i due massimi esponenti della resistenza pagana, non ebbe effetto per la decisa opposizione di s. Ambrogio. Vittoriato Moneta d’argento romana, col tipo costante della testa laureata di Giove e della V. incoronante un trofeo, e la leggenda Roma. La sua prima emissione è probabilmente contemporanea a quella del primo denaro (269 a.C.); era destinata al commercio esterno ed era perciò uguale al peso della moneta esterna più conosciuta, la dramma focese. Insieme con il vittoriato furono coniati il mezzo e il doppio vittoriato; dal 100 a.C. circa scomparve il vittoriato vero e proprio e al suo posto si coniò un vittoriato del valore di un quinario.