FAUSTO, Vittore
Nacque a Venezia, da famiglia appartenente al ceto dei cittadini originari, secondo il Degli Agostini dopo il 1480; ma la data va forse spostata in avanti, considerato che il Bembo lo dice "molto giovane" ancora nel 1529. Ebbe, per quanto consentitogli dall'esiguo patrimonio famigliare, vari maestri, i più importanti tra i quali furono, senza dubbio, il forlivese Girolamo Maserio, che insegnò alla Scuola di S. Marco dal 1503 al 1509, e Marco Musuro. Non risulta sia stato allievo anche di fra' Urbano (Bolzanio) Dalle Fosse, ma tra i due ci furono certamente dei rapporti: nella seconda edizione (1512) della grammatica greca del dotto francescano, infatti. compare un epigramma del Fausto. È possibile, infine, che si sia laureato (Sanuto più di una volta lo definisce "doctor"), ma le fonti - almeno per ora - su questo punto tacciono.
Risale forse a questa prima fase dei suoi studi il manoscritto Marciano gr. IX.35 (= 1082), contenente l'Iliade di Omero, che altro non è, in realtà, se non un esemplare dell'editio princeps fiorentina del 1488 (Indice gen. degli incunaboli, 4795) con abbondanti glosse di mano del F., a cui si devono anche i ff. A1-A8.
Concluso il suo apprendistato umanistico, in cui ebbero una parte non secondaria anche studi di matematica, il F., adolescente ("ut adolevit", scrive P. Ramusio), iniziò una serie di viaggi la cui esatta cronologia non è tuttora definibile e che lo portarono a visitare, oltre all'Italia e allo Stato da Mar veneziano, la Spagna, la Francia e la Germania. Durante la guerra della Lega di Cambrai, per sua stessa testimonianza, il F. militò per qualche tempo nell'esercito della Repubblica: è probabile che questa esperienza militare vada collocata nel primo periodo (1509-1510) dello sc ? ntro tra Venezia e i collegati, quando più grave si presentava il pericolo di un'imminente scomparsa dello Stato marciano. A partire dall'inizio del secondo decennio del Cinquecento, il F. cominciò a pubblicare alcune edizioni e traduzioni di classici. Nell'agosto del 1511 curò per il tipografo Lazzaro de' Soardi un'edizione di Terenzio accompagnata dal suo De comoedia libellus (ora edito in Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, a cura di B. Weinberg, I, Bari 1970, pp. 5-19, 586-589); nel novembre dello stesso anno, sempre presso il Soardi, uscì un volume con alcune opere di Cicerone (De officiis; De amicitia; De senectute; Paradoxa stoicorum), anche questo curato dal F., che vi premise una lettera di dedica "Bartholomaeo Vanocio Senensi patricio". Nel 1513 circa era in Spagna, ad Alcalà, dove collaborava con Demetrio Duca (probabilmente conosciuto a Venezia nell'ambito dell'Accademia Aldina) all'edizione del testo greco del Nuovo Testamento per la Bibbia poliglotta complutense voluta dal cardinale Fr. Ximenez de Cisneros. Nel 1516-17 seguì Giovanni Badoer, ambasciatore della Serenissima, in Francia, e qui pubblicò una traduzione latina dei Mechanica di Aristotele (Parigi, Josse Bade, 1517), dedicandola appunto al Badoer.
Nel 1518 venne messa a concorso la cattedra di greco della Scuola di S.Marco, vacante da quando, nel 1516, Marco Musuro si era trasferito a Roma. La cattedra era ambita, tra gli altri, da Pietro Alcionio e dall'Egnazio (G. B. Cipelli), ma alla fine il F. si trovò davanti come avversari Costantino Paleocappa e Giovanni Ettore Maria Lascaris, detto Pirgotele: non, per sua fortuna, Erasmo, che Andrea da Asola, suocero del defunto Aldo Manuzio, aveva invitato a scendere in Italia e a concorrere, assicurandolo che "omnes boni consentiunt hos honores tibi decerni debere". Rimasto vincitore, il F. ebbe la cattedra, ufficialmente, il 16 di ottobre, ma forse non iniziò di fatto i suoi corsi che nell'aprile dell'anno seguente: è questa, infatti, la data che si legge alla fine della sua Oratio qua gratiae aguntur pro impetrato Graece profitendi honore. Nel novembre del 1520 con una seconda orazione (in cui si ricordano anche le cattedre offertegli da Ragusa e da Lucca, e da lui rifiutate in favore di quella veneziana) chiese il raddoppio del suo salario, che era fissato in 100 ducati annui, ma non si sa se lo ottenne. Un anno dopo la Signoria gli affidò l'incarico di pronunciare la solenne orazione funebre per Francesco Rossi, senatore di Milano e oratore del re di Francia, morto improvvisamente: il F. - che del Rossi era, a detta del Sanuto, "amicissimo" - assolse con buon successo al compito, il 20 ott. 1521, nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo (non di S. Marco, com'è scritto per errore in Sanuto, XXXII, 37). Al marzo dell'anno seguente risale l'ultima edizione, per quanto finora noto, curata dal F.: una raccolta di preghiere alla Vergine, pubblicata dai fratelli Nicolini da Sabbio sotto il titolo di Parakletiké (1522). A fine settembre del 1524, "dovendose far ellection de uno lector over preceptor docto et perito neli studii de humanità per... instruire i nodari de la cancellaria", i capi dei Dieci allora in carica proposero il nome del F., ma la "parte" - nonostante due votazioni - non riuscì ad ottenere la maggioranza necessaria.
Pur occupato dall'insegnamento pubblico e dagli impegni derivanti dalla scuola privata che teneva in casa sua, il F. continuava per, suo conto gli studi - a lui evidentemente più cari e congeniali - di matematica e ingegneria, che dovevano condurre alla costruzione e al varo della famosa "quinquereme".
L'idea (tutta rinascimentale) di renovare la potente nave da battaglia dell'antichità greco--romana, le cui stesse tecniche costruttive erano cadute nell'oblio, poté trovare pratica attuazione a Venezia grazie, da un lato, all'abilità delle maestranze dell'Arsenale e, dall'altro, alla presenza, nelle supreme magistrature della Repubblica, di influenti patrizi capaci di discernere nel "sogno" umanistico del F. il concreto vantaggio che poteva derivarne allo Stato. Già nell'agosto del 1525 il F. aveva pronto un modello della sua nave, che fu mostrato dapprima al doge e poi al Collegio; le discussioni sulla fattibilità del progetto coinvolsero in seguito anche il Senato e il Consiglio dei dieci, così che soltanto più di un anno dopo, nell'ottobre del 1526, fu deciso di concedere al F. un "volto serado" in Arsenale, e la nave fu varata, in un clima di diffuso scetticismo, solo il 28 apr. 1529. Il 23 maggio successivo, alla presenza del doge Andrea Gritti, del Senato e di una folla strabocchevole e curiosa, la quinquereme fu messa alla prova "in contesa pubblica" con una trireme comandata da Marco Corner del fu Piero da S. Margherita. La gara fu a lungo incerta: le due navi procedevano appaiate e, di quando in quando, la più leggera trireme riusciva a mettere avanti la prua; ma, arrivati in vista del traguardo - è il Bembo che scrive - "il Fausto messosi per lo mezzo della galea inanimava i suoi galeotti a mostrar la loro virtù", cosicché "in un punto passò la trireme non altramente, che se ella fosse stata uno scoglio, con tanta velocità, che parve a ciascuno cosa maravigliosa". Il successo del F. - in verità non proprio così netto e limpido - fu salutato da amici e sostenitori come una prova dell'utilità civile dell'uomo di lettere. A ancora il Bembo ad esprimere con vivacità e chiarezza questo sentimento: "dico che tutti i letterati uomini gli hanno ad avere un grande obbligo. Ché non si potrà più dire a niun di loro, come per addietro si solea: Va' e stati nello scrittoio e nelle tue lettere, quando si ragionerà d'altro, che di libri e di calamai ...".
Fu questo il grande momento di gloria nella vita del F., e gliene derivarono stima e onori (tra i quali sono da ricordare la menzione che di lui fece l'Ariosto nell'Orlando furioso, XLVI 19, 1, e la proposta, avanzata da Lazare de Baïf nel febbraio del 1530, di condurlo ai servigi del re di Francia, dopo che si erano rivelati infruttuosi i tentativi in questo senso con Michelangelo); forse proprio per questo la routine dell'insegnamento lo entusiasmava sempre meno: il francese Pierre Bunel, infatti, in una lettera del gennaio 1531 (1532, se datato more veneto), scrive che il F. leggeva Tucidide e Aristofane "ita ut facile appareat eurn alieno animo haec facere". Dopo la quinquereme il F. progettò ancora altre navi: la sua opera fu richiesta nel 1530 dal duca di Ferrara, che voleva far costruire a Venezia due brigantini, e nel 1531 un altro brigantino gli fu commissionato dal duca d'Urbino. L'attività teorico-pratica di ingegnere navale e capocantiere andava ormai sostituendosi alla professione delle humanae litterae. Nel settembre del 1532 presentò in Collegio una sua scrittura, in cui si offriva di modificare cinque galee bastarde, abbandonate in Arsenale per la loro lentezza, in modo da farle diventare quadriremi; il 24 di quello stesso mese il Senato, spinto anche da una appassionata orazione di Bernardo Navagero, deliberò di concedere al F. una delle galee perché la potesse "conzar... a modo suo", riservandosi di deliberare sulle altre dopo aver valutato la riuscita o meno di questo primo adattamento. L'esito della prova dovette esser giudicato soddisfacente, visto che quadriremi vennero effettivamente costruite a Venezia, sia pure in numero limitato, almeno fino agli anni Sessanta del secolo. Nell'ottobre del 1532 il F. accompagnò Gaspare Contarini, provveditore all'Arsenale (da non confondere con l'omonimo futuro cardinale), in Friuli, a fare i ponti per il passaggio di Carlo V che scendeva in Italia. Nel 1536 annunciò di aver trovato il modo di risparmiare legname nella costruzione delle galee, e il Senato dispose che si sperimentasse la nuova tecnica.
Tre anni dopo, nell'ottobre del 1539, il F. corse un grosso rischio: il 20 di qu el mese fu fatto arrestare dai capi dei Dieci e il 2 novembre correva voce (raccolta da Pietro Aretino e riferita a Gregorio Amaseo) che fosse stato affogato nottetempo perché "tentava de disviar ai primarii dela maistranza del arsenal per condurli al Turcho, dov'el scrivea a un suo fradel, che stantiava in Constantinopoli". Almeno stavolta, però, la vox populi aveva esagerato. Il 6 dicembre il F. era già stato rilasciato, in quanto riconosciuto innocente; l'accusa di intese conla Porta era caduta, ed egli poteva tornare in Arsenale. La probabile ragione della momentanea disgrazia del F. venne narrata a Gregorio Amaseo dal bolognese Scipione Bianchini: "era mal capitato per sua insolentia per haver usato stranie parole, come menazando'1 stado, che non ge mancharia partidi cum di primi signori del mondo, et che l'havea uno fratello a Constantinopoli, quale teneva avisato dele cose del stato". A dimostrazione che l'inchiesta dei Dieci aveva fugato ogni sospetto sul suo conto, al F. fu concesso un aumento di salario annuo di 200 ducati a partire dal 31 luglio 1540.
Il suo lavoro in Arsenale proseguiva con ritmo intenso: nel 1540 gli fu commissionata la costruzione di un galeone, nel 1543 gli fu data una galea perché studiasse una nuova sistemazione del ponte e del remeggio e nel 1544 gli furono concessi numerosi "squeri" per le sue costruzioni. Un nuovo momento di frizione con le magistrature della Repubblica si verificò nel 1546. Una lettera cifrata dell'oratore fiorentino a Venezia, scritta nel luglio di quell'anno, informava Cosimo I che il F. desiderava lasciare Venezia e passare al servizio del duca; ma non se ne fece nulla. Probabilmente subito dopo il F. diede inizio alla sua ultima nave, un galeone, di cui non riuscì a completare la costruzione; la nave rimase in Arsenale fino agli anni Sessanta, quando si decise di terminarla.
Morì a Venezia, ab intestato e senza eredi diretti, tra la fine del 1546 e l'inizio del 1547, prima del 18 gennaio.
Secondo il Ramusio, "quum immatura morte praereptus est" aveva ormai pronta per la stampa una traduzione dei Mechanica di Aristotele arricchita da un commento e da disegni: doveva trattarsi, con ogni probabilità, di una revisione della versione già pubblicata presso il Bade nel 1517.
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