DELILIERS, Vittore
Nacque a Ferrara il 1° ag. 1849 da Vincenzo e Anna Levorati discendente da Filippo Maria Liliers, aio alla corte del granduca di Toscana dopo il 1720 e conte palatino, il quale aveva aggiunto al nome originario il "De" inaugurando il ramo italiano della famiglia. Il D. intraprese studi di ingegneria, come il fratello più anziano Giacomo (l'altro fratello, Enrico, era invece avvocato), ma la sua passione si scoprì essere la musica, o meglio il canto.
Sposatosi assai giovane con Maria Teresa Mariotti, si trasferì a Milano per avere la possibilità di affinare i suoi mezzi. Studiò con certo maestro Moretti, preparandosi per il debutto che avvenne nel 1874 al teatro Rossini di Roma; i giornali dell'epoca lo descrivono come "un tenore dell'avvenire", dalla voce "vibrata e le modulazioni finissime", mentre il critico della Capitale lo paragonò, per lo splendido falsettore, addirittura a C. Baucardé, quando il giovane tenore affrontò l'arduo ruolo di Arturo in I puritani di Vincenzo Bellini. Fu l'inizio di una carriera splendida, che proseguì con I promessi sposi di A. Ponchielli a Monza, nel 1875. Tale anno fu denso di ruoli impegnativi e di soddisfazioni, come pure il 1876 che vide il D. in Mignon di A. Thomas, in La sonnambula (altro ruolo che precisò la sua vocazione di tenore di grazia) fino a giungere, nel 1881 a formare coppia fissa con Bianca Donadio. La stagione successiva, 1881-82, lo trovò al traguardo ambito del teatro Costanzi di Roma, dove interpretò i ruoli tenorili in La figlia del reggimento e Il barbiere di Siviglia entrando a far parte di una sceltissima compagnia di canto comprendente fra gli altri Antonio Cotogni e Gemma Bellincioni. Sul quotidiano romano La Riforma (25 giugno 1885) il critico Primo Levi definì il D. "il successore legittimo e naturale di Roberto Stagno". Un giudizio chiaro e netto, che acquista maggiore evidenza considerando che Roberto Stagno era in quell'anno ancora in piena attività.
Il successo fu sempre crescente, confermato da pubblico e critica fino alla consacrazione della prima di L'ebrea di J. F. Halévy al teatro alla Scala di Milano il 18 genn. 1883, nel difficile ruolo di Leopoldo, e tale da farlo definire artista accuratissimo e molto apprezzato dai frequentatori del teatro d'opera. La critica decretò che il D. era riuscito a mettere in una luce singolarmente favorevole un personaggio solitamente ingrato, in virtù della efficacia drammatica saputa dispiegare, unita alla voce insinuante, al vigore espressivo e alla eleganza della sua figura.
Questo successo rese al D. una scrittura alla Scala di Milano proprio per lo stesso ruolo. A Milano, fra gli altri riconoscimenti ebbe quello dell'editore francese dell'opera di Halévy; conquistò quindi il pubblico milanese, ed in seguito superò la prova del severo pubblico veneziano, interpretando il suo cavallo di battaglia, il ruolo di Elvino in La sonnambula.Nel frattempo egli ampliava il suo repertorio col verdiano Rigoletto, meritando altri onori; fu notato che "fu meno tenore e più duca di Mantova" dando cioè il massimo risalto al personaggio senza che la sua voce risultasse meno soave, piena e modulata del solito. Su questa strada era ovvio che si venisse a trovare il ruolo tenorile di Alfredo, di La traviata affrontato e superato con la consueta efficacia interpretativa, come pure il ruolo tenorile nella Mignon di Thomas dove ancora una volta si fecero notare la sicurezza dei mezzi tecnici e l'eleganza nel rendere le sfumature interpretative. Tenore di grazia, con una grande abilità nello smorzare e nel colorire, e con una splendida presenza scenica dovuta alla bella e prestante figura ed alla sua assoluta naturalezza: una rarissima foto d'epoca ce lo ritrae nel ruolo di Renzo ne I promessi sposi di Amilcare Ponchielli. La data è del 1875 e possiamo notare come l'aspetto del D. si confacesse pienamente a quei ruoli di amoroso che costituirono i suoi maggiori successi. Non è infatti difficile paragonarlo ad esempio a G. B. De Candia detto Mario, celeberrimo tenore dell'800, con il quale appunto ebbe ad avere repertorio in gran parte comune. Puritani, Barbiere di Siviglia, Matrimonio segreto, Linda di Chamounix, La sonnambula, Rigoletto, Traviata furono comuni ad entrambi; ma ciò che più conta è il fatto che anche per Mario vi era chi notava che la sua voce pura e chiara pareva perdere espressione nelle parti di forza, che pure ebbe ad interpretare (Trovatore, Ugonotti).
Appare poco spiegabile a questo punto l'entrata in repertorio, per il D., del ruolo tenorile della Carmen di Bizet, se non a riprova delle affinità, a dispetto della voce morbidissima, del carattere del D. con l'irruenza e la passione malinconica di don Josè. I giornali del 1883 degli anni seguenti rilevarono come il personaggio di don Josè venisse interpretato dal D. con la massima irruenza, soprattutto nel duetto con Carmen detto "della rosa". Iniziò da questo momento un processo involutivo per l'arte del D., che lo porterà ad interrompere la carriera relativamente presto, al ritorno da una tournée in Sudamerica.
Contribuirono a questo rapido declino varie circostanze tra cui la tormentata relazione con il soprano Ersilia Malvezzi che costituirà con lui coppia fissa nell'ultima grande tournée, che toccò Montevideo, Buenos Aires, Santiago e tutti i maggiori centri del Sudamerica (una precedente tournée lo aveva portato nei maggiori centri della Russia, ed a Tiflis dove nacque il figlio Filippo, futuro direttore d'orchestra). La morte della Malvezzi (1889?) ebbe ripercussioni sulla robustezza ormai intaccata dell'organo vocale del D. che, tornato in patria, pensò di aprire una agenzia teatrale affiancata da una pubblicazione a carattere informativo sull'andamento della vita operistica. Rilevò infatti nel 1899, alla morte dell'editore Felice Vianello, la conduzione di uno specifico e molto quotato periodico: la Rivista melodrammatica, che nel 1900 cambierà nome, divenendo l'attuale Rassegna melodrammatica. La sua esperienza di cantante e di uomo di teatro si rivelò preziosa, quale punto di riferimento per critici e musicologi: moltissimi giovani cantanti, poi divenuti stelle di prima grandezza, passarono dal suo studio in via Silvio Pellico per essere giudicati; fra gli altri, Toti Dal Monte, inviata a lui da Giulio Ricordi per averne un parere, fu giudicata "bravina assai" e con "grosse qualità"; ma il tenore di grazia dalle agilità splendide giudicò la Toti proprio "un po' debole nelle agilità" a testimonianza dell'eterno divario fra vecchia e giovane scuola.
Il D. morì a Milano il 2 febbr. 1932.
Bibl.: Notizie (critiche, recensioni e altre testimonianze tratte da quotidiani e periodici d'epoca) fornite dalla famiglia; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte, II, Cronologia, Milano 1964, p. 61; V. Fraiese, Dal Costanzi all'Opera, Roma 1978, I, p. 61; IV, pp. 7, 15; A. Bosi, Le intermittenze del cuore di V. D., in Rass. melodrammatica, 20 dic. 1981, p. 4; Grande Enciclopedia della musica lirica, III, Milano 1982, p. 773.