CANAL, Vittore
Nacque a Venezia, da Bartolomeo, probabilmente nel 1375. Una famiglia, la sua, di non grandi ricchezze e che non partecipa al contemporaneo allargarsi degli investimenti veneziani nella proprietà agraria; infatti, nel testamento stilato il 16 luglio 1439 da Gaspare Canal, dove si fa direttamente riferimento al C., alla sua famiglia e ai beni della stessa, compare un patrimonio ristrettissimo (due "case" nella contrada di S. Benedetto, il luogo d'origine). Ma interessante, invece, è rilevare l'inserimento di alcuni membri, come Girolamo, nella "cancelleria". Quindi, un mondo di politici e di burocrati, che già nella seconda metà del sec. XIV ha completato il suo processo di inserimento in alcuni importanti settori delle strutture burocratiche della Repubblica, e senza le grandi aperture verso i problemi della diplomazia europea o gli assestamenti politici nella penisola in vista di una netta preminenza veneziana. Questo clima mentale della famiglia influisce profondamente sul C., nella cui personalità non si avvertono scorci ed orizzonti vasti, mentre le poche tracce di interventi rimasteci (lacunosissimo, pure, il tracciato documentario della sua carriera politica) non suggeriscono suggestioni culturali e religiose, quali la congiuntura del momento suggeriva. La sua importanza nel mondo politico veneziano è legata soprattutto agli avvenimenti dell'ottobre 1425, quando risulta savio del Consiglio, e sul tappeto dei grandi problemi assumono un ruolo decisivo le relazioni col Turco e il re d'Ungheria, Sigismondo.
Venezia attraversava un momento cruciale della sua storia. I continui, insistenti scontri con i Turchi, proprio nelle zone costiere della Dalmazia, unitamente all'alto grado di preparazione della sua flotta ("avendo, come si usa, le nostre genti pronte e in ordine", come si era affermato già nel marzo 1418, anche dal C.: Cessi, Storia della Repubblica, I, p. 357) avevano portato alla graduale conquista della Dalmazia e ad un suo assestamento nell'Adriatico completatosi entro il 1420, mentre al confine nordorientale anche il Friuli era divenuto possesso veneziano. Nel contempo, pure il prestigio presso le popolazioni dalmate era aumentato, creando, in tal modo, un dominio momentaneamente inserito nelle strutture delle regioni assoggettate. Ma era proprio questo allargamento nell'Adriatico e nella Dalmazia a suscitare le paure, le apprensioni dell'Ungheria, ove si parlava di usurpazione persistente dei diritti ungheresi. Tuttavia, fiduciosa nella sua forza navale, Venezia proseguiva nella politica di rafforzamento delle conquiste dalmate rispondendo che "anzi intendeva con la grazia di Dio, mantenere e conservare perpetuamente sotto il suo dominio tutte le terre e tutte le città della Dalmazia" (Cessi, p. 359).
Il C., nell'aprile 1424, si era fatto interprete di questo stato d'animo della Repubblica sottolineando la "iustitia" di un "dominio" che rafforzava il volto vero della potenza di Venezia, cioè il suo aspetto di città legata al mare ed alle sue fortune: il possesso dell'Adriatico era possesso della sua parte più intima e preziosa. D'altronde, con Sigismondo già nel 1420 era stata stipulata una tregua nella quale tacitamente erano riconosciuti i diritti veneziani nella Dalmazia e in Italia. La tregua, però, non aveva cancellato le continue recriminazioni e le possibilità di scontri armati; da parte di Sigismondo, inoltre, più volte erano state avanzate proposte di pace in vista di un assestamento definitivo dei problemi dalmati; ma si era sempre trattato di proposte pericolose per i più generali equilibri e interessi veneziani, e perciò respinte. In questo quadro di recriminazioni e di pressioni si inseriscono le iniziative dell'ottrobre 1425 quando a Venezia, il 26, giunse il cancelliere di Sigismondo. Le proposte per una pace erano molto complesse: possibilità di una lega antiturca fra la Repubblica e l'Ungheria; richiesta di un prestito di 200.000 ducati; permesso di reclutare soldati nei territori di Venezia e di fare incetta di bravi costruttori navali. A tutto ciò si aggiungeva il desiderio di un neutralità veneziana durante la discesa di Sigismondo in Italia per ricevere la corona di imperatore. L'insieme di queste proposte venne attentamente vagliato dai savi del Consiglio, ed in particolare dal C., l'uomo che con maggiore insistenza si era fatto portavoce dei "diritti" della Signoria in Dalmazia e della necessità di non giungere ad una pace pericolosa, per le sue implicazioni, con Sigismondo. E il C., il 30 ottobre, insieme con Francesco Loredano, Daniele Vitturi e Marco Lippomano, respinse la proposta dell'alleanza, e della pace, dannosa per Venezia non solo per le conseguenze economiche e militari (la richiesta di fornire costruttori di navi era assai pericolosa per la potenza navale della Repubblica), ma anche in relazione al nuovo equilibrio da instaurarsi col Turco e al quale Venezia era maggiormente interessata. In tal modo il C. contribuiva a determinare un orientamento politico che vedeva nell'accordo col Turco il punto focale di un diverso assestamento dei rapporti mediterranei oltre che della complessa tessitura della politica degli Stati italiani. Ed infatti, eliminata la possibilità della pace, si ripeté soltanto il rinnovo della tregua nel 1428.
Con questa importante presa di posizione si chiude la presenza del C. nella vita politica veneziana. Morì nel 1458.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato. Deliberazioni, Secreta, reg. IX, c. 46; Ibid., Testamenti. Atti Bianco, b. 79, n. 436; Ibid. Misc. codd. I, Storia veneta, 18:M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti;Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, ms. It., cl. VII, 925 (= 8594): M. Barbaro, Geneal. d. fam. patrizie venete, II, c. 205v; P. M. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise du XIIIe siècle à l'avènement de Charles VIII, I, Paris 1896, ad Indicem;R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, I, Milano-Messina 1968, ad Indicem;G.Pillinini, Il sistema degli Stati italiani, 1454-1494, Venezia 1970, ad Indicem.