RANCO, Vitto Lorenzo Maria
RANCO, Vitto Lorenzo Maria. – Nacque ad Alessandria il 3 gennaio 1813 da Gioanni e da Caterina Fantoli, in una famiglia di agiati negozianti.
Primogenito di sette figli, Lorenzo – com’era comunemente chiamato – studiò in un collegio genovese finché il padre, rimasto vedovo alla fine degli anni Venti, lo coinvolse nel commercio familiare di panni e telerie. Diciannovenne, fu tra gli affiliati della Giovine Italia nella città natale, che aveva conosciuto, lui bambino, il moto costituzionale del 1821 e la repressione sotto il regno di Carlo Felice. Fu molto vicino al comitato direttivo e alle figure di spicco della locale rete mazziniana (Carlo Girardenghi, Cristoforo Moia, Andrea Vochieri) che tentò di affiliare i militari della fortezza e di coordinare le attività della Giovine Italia nel Regno e oltre Ticino, in vista dell’insurrezione prevista per il giugno 1833. Ma i piani furono sventati, e alla notizia dei primi arresti, all’inizio di maggio, Ranco fuggì in Francia senza che fossero spiccati mandati a suo carico. Dalle rivelazioni degli inquisiti nei processi che portarono all’esecuzione di Vochieri e di cinque militari, Ranco si segnalava per il giovanile fervore, ma la sua età e l’affiliazione recente non lo fecero investire di incarichi di rilievo. In Francia si stabilì a Lione, dove poté beneficiare delle reti commerciali del padre e trovarsi al contempo in uno dei centri nevralgici per l’attività dei fuorusciti, che contribuì a finanziare. Frequentò finalmente Mazzini, nei mesi che precedettero la fallimentare spedizione di Savoia del febbraio 1834, a cui prese parte e dove rimase ferito. In un profilo postumo, una delle figlie, la nubile Ambrosina (1854), custode delle memorie paterne – la sorella Elena (1849) sposò nel 1871 a Torino il possidente Enrico Zola –, sostenne che fu la gestione di quel moto a far rompere il padre con Mazzini. In realtà, l’evoluzione di Ranco verso posizioni liberali democratiche fu più graduale.
Nei due anni seguenti visse a Parigi, frequentando gli ambienti dell’emigrazione italiana, compresi molti mazziniani nonché Vincenzo Gioberti che, dall’osservatorio di una monarchia parlamentare, li incoraggiava a rigettare le cospirazioni in favore di più graduali modalità d’intervento intellettuale in patria. Tuttavia, l’unica influenza accertabile su di lui in quegli anni – e più sul piano personale che politico – fu quella di Niccolò Tommaseo. Ranco, che a Parigi contrasse il tifo, affermava di essere lui il «giovanetto d’ingegno e di cuore, al quale i sogni mazziniani stornavano la mente dai sodi studii, e poi vennero le cure domestiche a volgerlo per altra via» (N. Tommaseo, Un affetto, a cura di M. Cataudella, 1974, p. 97), a cui il poeta dedicò nel 1835 Ad un fuoriuscito infermo a morte (Michele Cataudella lo ha identificato però in Paolo Pallia, p. 225). Tommaseo lo incoraggiò e lo coinvolse negli studi storici e letterari e lo introdusse nel mondo del giornalismo parigino, raccomandandolo a Jacques Coste, direttore del Temps. Su questa e su altre testate – la Tribune, il Réformateur, il National – Ranco diede così le prime prove di un’attività a cui sarebbe tornato anni dopo ricavandone una certa notorietà. Sempre a Parigi fu nel gruppo dei giovani redattori del mensile L’Italiano, fondato da Michele Accursi e uscito tra maggio e ottobre del 1836.
A novembre di quell’anno era di nuovo ad Alessandria: ottenne il permesso di rimpatrio a seguito delle reiterate suppliche del padre e previo atto di sottomissione. Circa un anno dopo, alla morte del padre, ne rilevò l’attività e fino alla vigilia del ciclo quarantottesco la gestì con i due fratelli maschi, affiancando ad affari mal tollerati letture e ricerche storico-letterarie e politiche. La polizia sorvegliò più volte le sue frequentazioni, sospettandolo ora di segrete intelligenze con i fuorusciti, ora di ostilità verso la locale guarnigione militare, ora di appartenere a una setta «rivoluzionaria» o «comunista» riunita sotto il pretesto di studiare il magnetismo animale (cui in effetti si dedicò a lungo). All’inizio degli anni Quaranta Giuseppe Lamberti riteneva Ranco ancora un elemento utile per diffondere nella penisola manifesti di propaganda e l’Apostolato popolare, ma la freddezza e l’ironia che Mazzini gli riservava nel suo epistolario già nel 1842 mostravano che non si era più certi di quali principi professasse ormai l’antico fratello e congiurato. In effetti, da tempo Ranco aveva aderito al composito gruppo di giovani che si riuniva a Torino intorno a Lorenzo Valerio e riteneva di dover condurre un’azione politica legale nel quadro della monarchia esistente. Il suo nome ricorre nelle principali iniziative del gruppo: scrisse sul Subalpino di Massimo Montezemolo e sulle Letture (popolari, poi di famiglia) di Valerio e fu socio dell’Associazione agraria.
Lo impegnarono in particolare una ricerca sui canti popolari nell’Alessandrino, con cui contribuì a uno dei primi studi sulle tradizioni popolari nel Regno di Sardegna, la raccolta di canzoni piemontesi e liguri avviata nel 1840 dall’amico Domenico Buffa – a lui e al fratello Ignazio lo legarono lunga intimità e sintonia politica – e una storia del Piemonte dal 1814, che vide parzialmente la luce, anonima, solo nell’autunno del 1847 in forma di radicale rassegna critica delle istituzioni e della società sabaude sull’Italia di Giuseppe Montanelli (nn. 21-25).
Per la sua pratica delle reti di distribuzione commerciale Ranco favorì spesso la circolazione libraria legata all’universo liberale italiano nella provincia piemontese. Ma fu soprattutto al giornalismo che si dedicò dalla metà del decennio, quando collaborò all’Espero e all’Eco dei giornali di Genova e fu apprezzato per la vena polemica (già emersa sulle Letture) e per la sua attenzione al contesto europeo. Ad Alessandria, dove sposò Caterina Damasio, sorella del noto avvocato liberale Ambrogio, fu con lui tra i principali animatori delle manifestazioni che nel 1846-47 celebrarono l’elezione e le riforme di Pio IX come occasione di propaganda liberale e patriottica e come strumento di pressione sulla corona. Nello stesso senso, al congresso agrario di Casale alla fine di agosto 1847 fu tra quanti tentarono di avanzare la richiesta di una guardia civica, allora concessa nel solo Stato pontificio, e al tema riservò una costante attenzione per tutto il biennio seguente. Con le riforme carloalbertine del 30 ottobre e l’avvio del giornalismo politico, pensò di creare e dirigere un foglio ad Alessandria. Fu invitato a collaborare a Casale al futuro Carroccio e a Torino alla Concordia di Valerio, ma infine accettò l’invito di Domenico Buffa: si trasferì a Genova e animò con lui e con Terenzio Mamiani (che aveva frequentato a Parigi) il giornale federalista la Lega italiana, tra gennaio e aprile del 1848.
Da queste colonne invocò ripetutamente guerra all’Impero asburgico e avversò il separatismo siciliano e la proclamazione della repubblica a Venezia. Tra maggio e luglio si spostò a Torino, divenendo in breve una delle firme di punta dell’Opinione, nella cui redazione era cresciuto il peso di Montezemolo, Giuseppe Cornero e Urbano Rattazzi, come lui allontanatisi dall’orbita di Valerio. Ranco attaccò l’influenza retriva degli uomini di corte sul nuovo corso costituzionale, curò le cronache parlamentari (al riguardo si espresse a favore di un sistema monocamerale) e criticò aspramente l’azione dei repubblicani nella Milano liberata (Mazzini su tutti). Si professò unitario e a favore del compimento delle leggi di fusione in un Regno dell’Alta Italia, le cui basi avrebbe dovuto fissare una costituente eletta a suffragio universale maschile. Nelle elezioni del 22 gennaio 1849 si candidò alla Camera subalpina: indicato sia dal comitato centrale elettorale democratico di Valerio sia dal gruppo dell’Opinione nei collegi di Castelnuovo d’Asti e Staglieno, fu eletto nel secondo. Sorprese la sua clamorosa opposizione al governo Gioberti. Se in privato Ranco lo rimproverava di non aver introdotto le discontinuità attese da un ministero democratico, il 21 febbraio giunse a richiedere in aula la messa in stato d’accusa di Gioberti, dimissionario per i piani di spedizione in Toscana che avevano spaccato la compagine ministeriale – piani che Ranco non esitò a denunciare in un manifesto (anonimo e poi rivendicato) diffuso per la capitale, che non fu senza effetti nei disordini di quei giorni. Confermato per un secondo mandato (in cui non fu però attivo), partecipò con Buffa, Rattazzi, Giovanni Lanza, Ferdinando Pio Rosellini alla fondazione del gruppo di centro-sinistra. Membro del comitato elettorale del gruppo, e indicato dall’Opinione tra i candidati alla IV legislatura, non fu eletto. La delusione, certo unita – come per molti deputati del ceto medio – all’onerosità imposta dalla gratuità del mandato parlamentare, lo portarono a non ripresentarsi.
Si allontanò allora dalla vita pubblica, salvo una breve parentesi di ritorno al giornalismo nel decennio seguente, sulla Staffetta di Opprandino Arrivabene. Insegnò storia e geografia all’Istituto di commercio e industria diretto a Torino da Rosellini e intraprese una carriera negli impieghi pubblici. Per mediazione di Buffa fu applicato agli Archivi generali del Regno negli anni di direzione di Michelangelo Castelli (1854-59) e divenne poi capo sezione al ministero dell’Interno. A seguito del trasferimento della capitale a Firenze, nel 1865, ottenne un posto di consigliere di prefettura a Novara e, dopo tre anni, a Torino. Qui morì di tifo, ancora in servizio, il 24 aprile 1877.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Alessandria, Archivio storico del Comune di Alessandria, Serie II, vol. 610, n. 9; Archivio di Stato di Torino, Segreteria di Stato per gli Affari interni del Regno di Sardegna, Alta polizia, bb. 140, 171, 193, 204, 213, 262, 268, 287; Archivio dell’Archivio, b. 26; Archivio Bersezio, b. 17; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Carteggi Tommaseo, 119, 36; Ovada, Accademia Urbense, Fondo Buffa (qui il gruppo più consistente di lettere superstiti di Ranco); Atti del Parlamento Subalpino, 1a sessione del 1849, Torino 1860, ad ind.; V. Bersezio, L. R., in Gazzetta letteraria, 9-16 ottobre 1880, pp. 321-323; G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, V, X, XI, XIV, XIX, XX, XXIII, XXIV, XXVI, XXXIII, LXXVII, Imola 1909-1938, ad indices; Protocollo della Giovine Italia, I-IV, VI, Imola 1916-1922, ad indices; Carteggi di Vincenzo Gioberti, V, a cura di L. Madaro, Roma 1937, p. 99; N. Tommaseo, Diario intimo, Torino 1946, ad ind.; Il Regno di Sardegna nel 1848-1849 nei carteggi di Domenico Buffa, a cura di E. Costa, I-III, Roma 1966, ad indices; Carteggio politico inedito di Michelangelo Castelli con Domenico Buffa (1851-1958), a cura di E. Costa, Santena 1968, ad ind.; N. Tommaseo, Un affetto. Memorie politiche, edizione critica, introduzione e note di M. Cataudella, Roma 1974, pp. 97-99; L. Valerio, Carteggio, I-IV, a cura di L. Firpo - A. Viarengo, Torino 1994-2003, ad indices (anche per gli apparati critici di A. Viarengo); Epistolario di Urbano Rattazzi, a cura di R. Roccia, I, Roma 2009, ad ind.; P. Civalieri, Memorie storiche di Alessandria, a cura di R. Livraghi - G. Ivaldi - G.M. Panizza, IV, Alessandria 2013, p. 173; V, Alessandria 2015, pp. 20, 170.
E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze 1930, ad ind. (citato come Ronco); D. Bertoni Jovine, I periodici popolari del Risorgimento, I, Milano 1959, pp. 343-345; C. Pischedda, Elezioni politiche nel Regno di Sardegna (1848-1859), Torino 1965, pp. LVXII, LXIX, LXXV, CIV, CLIX, CLXXVI-CLXXX; E. Costa, La giovinezza di Domenico Buffa (1818-1847), in Figure e gruppi della classe dirigente piemontese nel Risorgimento, Torino 1968, pp. 50 s., 61, 66, 68 s., 71 s., 74 (con appendice di lettere: pp. 86-89, 94 s., 98-100); Il processo ad Andrea Vochieri, Alessandria 1983, pp. 125, 130; C. Manganelli, Il 1848 in Alessandria, in Quaderno di storia contemporanea, 1987, vol. 1, p. 43; A. Viarengo, I democratici dalla cospirazione alle riforme, in Il Piemonte alle soglie del 1848, a cura di U. Levra, Torino 1999, pp. 366-368, 378, 390, 394 s.; P. Bianchi, La cittadella e le vicende politiche dai moti del 1821 allo Statuto, in Alessandria dal Risorgimento all’Unità d’Italia, a cura di V. Castronovo, Alessandria 2011, pp. 42-44.