Vedi VITRARIUS dell'anno: 1966 - 1973
VITRARIUS
Vitrarius fu chiamato nel mondo romano l'artigiano dei vasi e dei recipienti di vetro (vascula vitrea, vitrea supellex), come mostra una frase di Seneca, in cui si allude alla capacità di dare forma al vetro con il fiato: "... vitrarium... qui spiritu vitrum in habitus plurimos firmat, qui vix diligenti manu effingerentur" (Epist., 90, 31). Pochissime sono però le menzioni del v. negli autori e nelle iscrizioni. Queste ultime ricordano un v. in Africa (C.I.L., viii, 9430), uno a Salona (Cabrol-Leclerq, Dict. Ant. Chrét., s. v. Vitrier, xv, 2, p. 3133); un opifex artis vetriae, Iulius Alexander, originario di Cartagine, lasciò il suo epitaffio in Gallia (C.I.L., xiii, 2000); infine la sigla A V che appare, assieme ad altri elementi, per lo più nomi, su alcuni marchi di vetri, soprattutto nelle Gallie (cfr. C.I.L., xiii, 3, p. 657; xii, 5696, 8; xv, 6964, 2) può forse essere sviluppata in A(rtifex) V(itrarius). Non compare testimoniato alcun v. nelle iscrizioni dei liberti e degli schiavi imperiali (v. anche vetro).
Originariamente gli artigiani del vetro dovettero anche in Italia essere orientali, venuti dalla Siria e dall'Egitto; illustre è il nome di Ennion (v. ennion, vol. iii, p. 342) della prima metà del I sec. d. C.; successivamente proprietarî ed operai hanno nomi romani, o romanizzati delle provincie occidentali, soprattutto delle Gallie e della Germania.
I nomi di qualche v. ci è rimasto nei marchi delle officine, per lo più sui fondi o sui manici dei vari tipi di recipienti; ma poiché si tratta di prodotti destinati ad un largo mercato, gli stessi nomi si trovano in luoghi diversi e talora lontani, così che sono raramente indicativi dell'origine. In pochissimi casi essa è esplicitamente indicata, come sembra lo sia quella di Aquileia in due marchi trovati a Linz (Année Epigraph., 1955, 101). Ad Aquileia, che fu importante centro dell'industria vetraria, non si sono trovate iscrizioni di v.; le si è tuttavia attribuita l'officina di C. Salvius Gratus, per il fatto che uno dei cinque pezzi noti con questo nome è stato trovato ad Aquileia, gli altri in località della Cisalpina, e che inoltre il nome Salvius è testimoniato dall'epigrafia aquileiense.
I marchi sono costituiti analogamente a quelli di altri prodotti fabbricati in serie. Sono per lo più formati con il nome del proprietario al nominativo o al genitivo, oppure con l'espressione ex officina variamente abbreviata, seguita dal genitivo del nome del proprietario o da un aggettivo formato da esso. Talora sono invece sigle che non sappiamo interpretare. In alcuni casi oltre al nome del proprietario appare una seconda abbreviazione di nome, quella dell'operaio. Distinzione tra fabbricante e mercante non è possibile fare; si crede che fossero una sola persona. Appaiono nomi completi dei tria nomina, altri di due, altri di un solo elemento; anche nomi di donna. All'infuori, quindi, di quanto può dare una rilevazione onomastica, non sicuramente localizzata né datata, niente ci dice questo materiale epigrafico sulla condizione sociale del v., probabilmente dalla sua attività portato ad una condizione analoga a quella di altri artigiani di manufatti in serie. A differenza forse dei diatretarii (v. vol. iii, p 91) che lavoravano ad uno ad uno i vasi diatreti, trasformando semplici prodotti usciti dalle officine del V., come sembra di capire da un passo di Ulpiano (Dig., ix, 2, 27, 29). Un problema non ancora compiutamente risolto costituisce l'iscrizione ΒΟΥΝΝΕΡΙ ΚΕΡΑΜΙ sul vetro dorato inserito nella cosiddetta croce di Desiderio al museo di Brescia (v. vol. vi, fig. 855), variamente interpretata come nome del padre della famiglia rappresentata (Albizzati), o, più verosimilmente, nome dell'artefice (Morey, Volbach); in quest'ultimo caso κεραμεύς viene considerato sinonimo di vitrarius, con un genitivo caratteristico del greco dei papiri egiziani, che testimonierebbe l'origine alessandrina del pezzo, confermandone la datazione al III secolo. Su basi stilistiche quel vetro, tuttavia, viene anche assegnato al IV sec. (Volbach) o al 400 circa (Crome).
Come molti altri artigiani, il v. fu in Egitto sottoposto ad una tassa (Pap. Ryl., 374, della fine del I o inizio del II sec. d. C.); più tardi anche a Roma insieme a molte altre artes, quella del v. fu tassata da Alessandro Severo (Hist. Aug., Sev. Alex., 24, 5), e i proventi del vectigal destinati alla manutenzione dei bagni popolari. Furono compresi nell'esenzione dai munera concessa nel 377 da Costantino a una serie di artigiani, tra i quali anche i diatretarii, a condizione che si perfezionassero nel mestiere e lo insegnassero ai figli (Cod. Iust., x, 66, 1).
Bibl.: H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei Griechen und Römern, IV, Lipsia 1887, p. 386; A. Kisa, Das Glas im Altertum, III, Lipsia 1908, p. 923 ss.; Gummerus, in Pauly-Wissowa, IX, 2, 1916, c. 1507, s. v. Industrie und Handel; G. Kuehn, De opificum romanorum condicione privata quaestiones, Halle 1930, p. 51; Singer, A History of Technology, II, Oxford 1956, p. 322 ss.; M. Calvi, M. Tornati, M. L. Scandellari, Ricerche storiche e tecnologiche sul vetro romano di Aquileia, in Vetro e Silicati, VI, 1962, p. 10 ss.
Per ΒΟΥΝΝΕΡΙ ΚΕΡΑΜΙ: C. Albizzati, Vetri dorati del III sec. d. C., in Roem. Mitt., XXIX, 1914, p. 240; M. L. Trowbridge, Philological Studies in Ancient Glass, Urbana (Illinois), 1928; C. R. Morey, Early Christian Art, Princeton 1953, p. 127 e nota 246; W. F. Volbach, Arte Paleocristiana, Firenze 1958, p. 69; J. E. Crome, Due medaglioni di vetro dorato dell'anno 400, in Felix Ravenna, 1960, p. 115.