PANDOLFI, Vito
PANDOLFI, Vito. – Nacque a Forte dei Marmi (Lucca) il 24 dicembre 1917 da Vito, maestro elementare, e da Ada Provera, maestra e scrittrice, entrambi attivisti socialisti.
Il padre morì di tisi quando Pandolfi non aveva ancora compiuto dieci anni; la madre lo lasciò tra un collegio e l’altro, presa tra l’attività di scrittrice e la politica; per quest’ultima fu mandata al confino in Libia, da dove tornò nel 1937 per morire dopo pochi mesi. Nello stesso anno Pandolfi, diplomato alle magistrali, andò a insegnare in un paesino sul lago di Lugano.
Dopo aver partecipato ai Littoriali nel 1938, vinse un concorso per entrare alla romana Accademia d’arte drammatica, nel 1940, ottenendo una borsa di studio che gli permise di mantenersi e di seguire il corso di regia di Guido Salvini. Il 28 giugno 1941 tenne al teatro Duse, come primo saggio di regia, Pulcinella delle tre spose, testimonianza del suo interesse per la commedia dell’arte. L’anno successivo propose una raccolta di autosacramental. Nel febbraio 1943 presentò al teatro Argentina, come saggio conclusivo, una provocatoria messa in scena di L’opera dello straccione di John Gay alla quale collaborarono il pittore-scenografo Toti Scialoja, il musicista Roman Vlad e, fra gli interpreti allievi dell’Accademia, Vittorio Gassman nel ruolo del protagonista, Carlo Mazzarella, Luigi Squarzina e Luciano Salce.
Il dissenso verso il regime si era già manifestato dal giugno del 1941, quando con un amico costruì una bomba e cercò di far esplodere il monolito al Foro Mussolini. Il 13 ottobre 1943 fu arrestato e trascinato a palazzo Braschi per aver firmato un manifesto antifascista apparso su La Nazione di Firenze dopo il 25 luglio.
Durante l’interrogatorio gli fu chiesta conferma di nomi di conoscenti e amici; per questa ragione, rientrato in cella, si gettò dalla finestra. Trasferito in ospedale, comunicò i nomi a una dottoressa, riuscendo così a salvare alcune persone dalla deportazione, tra queste il padre di Laura Martucci, che sposò in prime nozze quello stesso anno. La caduta gli procurò una lesione a un braccio che non recuperò più normale funzionalità.
Dimesso dall’ospedale, entrò a far parte della Resistenza agli ordini di Mario Socrate. Fu nuovamente arrestato e liberato il 4 giugno 1944, mentre le truppe tedesche si ritiravano da Roma.
Dopo la liberazione gli furono affidate molte regie, la prima delle quali fu Jegor Bulyciov e altri di Maksim Gor′kij, rappresentata al teatro Quirino nel novembre del 1944 dalla compagnia di Carlo Ninchi e Anna Magnani, che ottenne un buon successo di pubblico. In seguito affrontò una commedia di Marcel Pagnol con Luigi Almirante, Camillo Pilotto, Margherita Bagni, Ermete Zacconi e Leonardo Cortese; il 15 febbraio 1945 al teatro Quirino diresse La luna è tramontata di John Steinbeck con la compagnia di Ruggero Ruggeri, nella quale recitavano Wanda Capodaglio, Luigi Almirante, Annibale Bretone e Anna Proclemer.
Dalle esperienze con i grandi attori Pandolfi elaborò una visione del teatro nella quale la nuova figura del regista e quella tradizionale dell’attore potessero superare la semplice convivenza per creare un innovativo modo di fare spettacolo. Già negli anni dell’Accademia Pandolfi scrisse su alcune testate come Italia e Roma fascista; nel dopoguerra iniziò a collaborare con Il Dramma, Teatro, Società, Cultura sovietica, L’Unità e fu tra i fondatori del Politecnico. Per questa intensa attività nel campo giornalistico-editoriale si spostò da Roma a Milano, dove mise in scena, al teatro Nuovo nel maggio 1947, La casa di Bernarda Alba con Wanda Capodaglio, Bella Starace Sainati, Edda Albertini, Cesarina Gherardi ed Elsa Albani.
Pandolfi fece parte della commissione direttiva del Piccolo Teatro e doveva realizzare uno dei quattro spettacoli previsti per la stagione inaugurale quando ne fu estromesso da Paolo Grassi e Giorgio Strehler per divergenze. Il 1947 fu per lui un anno difficile: per l’esclusione dal Piccolo, per la chiusura del Politecnico e per la rinuncia alla pagina di critica teatrale dell’Unità.
Nell’estate di quell’anno cercò di costruire una compagnia in cui si svolgesse anche ricerca scientifica. Con l’aiuto di Luigi Squarzina e il parziale appoggio del Partito comunista italiano (PCI) nacquero ‘I comici della strada’, di cui fecero parte alcuni neo-diplomati dell’Accademia come Tino Buazzelli, Rossella Falk, Nino Manfredi, Paolo Panelli, Alberto Bonucci, Achille Millo, Luciano Salce e Arnoldo Foà. Anche questa esperienza fallì e furono realizzati solo due spettacoli, che debuttarono a Praga nell’ambito del Festival mondiale della gioventù: L’uomo e il fucile di Sergio Sollima e La fiera delle maschere testo-collage realizzato da Squarzina e Pandolfi con la regia di quest’ultimo.
Parallelamente Pandolfi elaborava la sua visione del teatro e propose a Einaudi la pubblicazione di Teatro contemporaneo, respinta dall’editore; allargò la rete di collaborazioni con riviste non solo teatrali e partecipò anche a trasmissioni radiofoniche con lo pseudonimo di Orecchio di Dionisio. Come regista realizzò nel 1948, per il Maggio musicale fiorentino, Les mariés de la Tour Eiffel da un testo di Jean Cocteau. Le scene, i bozzetti, i figurini e le luci furono opera di Toti Scialoja.
Si trattò di uno dei primi spettacoli sperimentali del dopoguerra, tra surrealismo parigino ed espressionismo berlinese, che non fu apprezzato dalla critica. Suscitò scandalo nella ‘buona società’ Hinkemann (Il mutilato) di Ernst Toller, messo in scena il 2 aprile 1949 per la prima volta in Italia e prodotto dal Circolo del teatro di Firenze, con musiche di Kurt Weill e scene che riproducevano disegni di George Grosz. Anche lo spettacolo successivo fu una prima italiana: Le malentendu (Il malinteso) di Albert Camus, che debuttò il 28 dicembre 1949 alla Soffitta di Bologna con le scene di Scialoja. Pur nella povertà dei mezzi in dotazione l’aspetto visivo risultò ancora centrale. Il regista richiese agli attori una recitazione astratta e antinaturalistica, che si esprimeva attraverso l’urlo nei dialoghi reali e in un tono caldo e profondo nella voce del subcosciente, nei movimenti a scatti da burattini.
Nella prima metà degli anni Cinquanta Pandolfi concepì i tre testi che testimoniano la sua militanza teatrale: Spettacolo del secolo (Pisa 1953), Antologia del grande attore (Bari 1954) e Copioni da quattro soldi (Firenze 1958). Nel primo descrisse il teatro contemporaneo, ripercorrendo il passato prossimo con l’affermarsi della figura del regista, quindi descrivendo le produzioni teatrali nelle maggiori capitali europee; nell’epilogo si concentrò su due personaggi, Antonin Artaud e Bertolt Brecht.
In Antologia del grande attore presentò ritratti di grandi interpreti italiani dalla riforma goldoniana, soffermandosi sul fecondo rapporto tra l’attore popolare e l’autore che tuttavia, proprio a partire dagli anni Cinquanta si era spezzato, provocando un inaridimento del teatro. Da quel momento Pandolfi abbandonò progressivamente l’attività registica per intraprendere la strada di intellettuale del teatro, scrivendo raccolte, antologie e saggi, collaborando con riviste, come Teatro d’oggi, periodico promosso dal PCI.
Nel 1950, invitato a Bruxelles per tenere una conferenza sull’evoluzione del teatro italiano, propose invece uno spettacolo-collage per illustrare la nostra teatralità (dal ‘contrasto’ di Cielo d’Alcamo a Petrolini), riscuotendo grande successo. Fu invitato a Certaldo per commemorare con una rappresentazione la figura di Boccaccio, ma la scelta di mettere in scena la novella di Frate Cipolla fu bocciata dalla censura. Senza scoraggiarsi, l’anno successivo Pandolfi propose quattro novelle di Calandrino, che debuttarono il 15 settembre 1951 nel castello medievale e segnarono l’inizio di un ciclo di rappresentazioni boccacciane conclusosi nel 1956. Per alcune di queste chiese la collaborazione di illustri scrittori, come Vasco Pratolini e Carlo Bernari (per la trasposizione teatrale di Gualtieri e Griselda e Andreuccio da Perugia, che non ebbero grande successo), e Carlo Emilio Gadda (per Gonnella Buffone, accolto invece positivamente da stampa e pubblico).
Nel 1958 pubblicò Copioni da quattro soldi, nel quale trattò in una prima sezione delle feste popolari e dei rituali legati ai cicli naturali, in una seconda delle forme dello spettacolo popolare, dai cantastorie ai burattini, dal circo all’avanspettacolo, dallo sport al luna-park; e ancora si soffermò sulla figura dell’attore-autore, dedicando un capitolo a Petrolini e uno a Napoli definita città-tipo nello spettacolo.
Nelle estati del 1960 e del 1961 partecipò ancora a un’esperienza di teatro popolare a Montepulciano, dirigendo gli abitanti in due bruscelli, spettacoli di origine medievale: furono le ultime regie perché non riuscì più a sostenere la tensione nervosa che gli procuravano. La Storia universale del teatro drammatico (Torino 1964) riprese temi e discorsi di Spettacolo del secolo, ma con posizioni e spirito differenti. Tra il 1957 e il 1961 pubblicò La Commedia dell’Arte (I-VI, Firenze) in cui si alternavano canovacci e narrazione storica, criticati da vari studiosi per la scarsa correttezza filologica; Isabella comica gelosa (Roma 1960), è invece un lungo racconto che attraverso le vicende di Isabella Andreini ricostruiva la nascita dell’attore e il formarsi della sua coscienza. Da questo racconto fu tratto un copione teatrale messo in scena prima dallo stesso Pandolfi e in una seconda edizione, del 1971, da Franco Enriquez con Valeria Moricone.
Nel 1962 Pandolfi ottenne la libera docenza in storia del teatro e quattro anni più tardi l’incarico all’Università di Genova. Come critico teatrale collaborò con Il nuovo corriere, Sipario, Il punto, La Sera (nel 1956 fu insignito del premio Silvio D’Amico per questa attività).
Fu anche critico cinematografico e scrisse Il cinema nella storia (Firenze 1957). Nel 1962 girò Gli ultimi, su soggetto e sceneggiatura di David Maria Turoldo e nel 1965 il documentario Provincia di Latina. Entrambi trattarono il mondo del lavoro, visto in tutta la durezza e con le sue dinamiche di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Gli ultimi fu accolto positivamente e ottenne il premio speciale della giuria al Festival internazionale del cinema per la gioventù di Cannes.
Dal luglio 1964 fino al 1969 Pandolfi fu chiamato alla direzione artistica del Teatro di Roma, un organismo troppo legato a logiche politiche. Nei cartelloni delle stagioni da lui dirette si notarono poche tracce della sua visione teatrale: Raffaele Viviani, una novità di Eduardo, lavori sperimentali con la regia di Antonio Calenda, Fedra diretta da un giovane Luca Ronconi, complessi internazionali come ‘Dietro la porta’ di Otomar Kreiča e l’Hessische Theater. Questa faticosa esperienza, che gli minò la salute, fu raccontata in un soggetto cinematografico mai realizzato, La nomina. Dal maggio 1964 Pandolfi entrò nel comitato direttivo di Marcatré, rivista legata all’avanguardia letteraria del Gruppo 63; alcuni scritti confluirono nell’ultimo progetto incompiuto, Fenomenologia dello spettacolo. Pandolfi sposò nel 1970 in seconde nozze Paola Faloja, dalla quale nel 1971 ebbe il figlio Libero.
Dal 1971 cominciò a soffrire di una malattia di carattere psichico che lo portò alla morte, avvenuta a Roma il 20 marzo 1974.
Opere. Oltre a quelle citate, Teatro italiano del dopoguerra (Bologna 1956); Confidenze di autori, attori, registi, in Il Ponte, n. speciale Lo spettacolo in Italia (agosto-settembre 1957); Teatro borghese dell’Ottocento (Milano 1962); In margine a un’esperienza di teatro stabile, in Il Ponte (ottobre 1969); Regia e registi nel teatro moderno (Bologna 1973).
Saggi della R. Accademia d’arte drammatica: La danza della morte, autosacramental ridotto e messo in scena da V. Pandolfi (Roma, teatro Quirino, 3 aprile 1942); La vita è sogno di Pedro Calderón della Barca, costumi L. Petrassi con A. Pierfederici e gli allievi dell’Accademia (Roma, sala dell’Oratorio del Borromini, 29 giugno 1943).
Altri spettacoli: La foire aux masques (commedia dell’Arte: Praga 18 agosto 1947); Sette canzoni (sette espressioni drammatiche di G.F. Malipiero, direttore G. Gavazzeni); Les mariés de la Tour Eiffel (soggetto di J. Cocteau, musiche di D. Milhaud et al., sketches di G. Apollinaire et al.: XI Maggio musicale fiorentino, teatro della Pergola, 12 maggio 1948); Scenario (Theatre du rideau de Bruxelles, 6 marzo 1950); Calandrino in Commedia (Certaldo, 15-16 settembre 1951); Aucassin et Nicolette (di M. Castelnuovo Tedesco: XV Maggio musicale fiorentino, 2 giugno 1952); Gualtieri e Griselda (testo rivisitato da V. Pratolini, e Andreuccio da Perugia, rivisitato da C. Bernari: Certaldo 30-31 agosto 1952); Gli amori Decamerone (Certaldo 25-26 luglio 1953); Giulietta e Romeo (di V. P.) e Il Buffone (di Carlo Emilio Gadda, entrambi tratti da Bandello: Urbino, Palazzo ducale, 14-15 agosto 1953); Aminta (di T. Tasso: Ferrara, 26-28 giugno, 1°-3 luglio 1954); Torquato Tasso (di W. Goethe: Ferrara, 27-29 giugno, 3 luglio 1954); Le Beffe del Decamerone (di V. P.: Certaldo 31 luglio -1° agosto 1954); Europa incontro all’alba (di V. P. - G. Pirelli: Ferrara, 7 luglio 1955); Anfitrione (di Plauto, trad. di C. Vico Lodovici: Palazzo dei Diamanti, Ferrara 7 luglio 1955); Il gaio Decamerone (novelle del Decamerone sceneggiate da V. P., Certaldo, 6-7 agosto 1955); Le feste di Folgore (dizione dei Sonetti dei mesi di Folgore da San Gimignano); Giulietta e Romeo (da Bandello: adattamento per scena V. P.); Il buffone Gonnella (di M. Bandello: adattamento per scena C.E. Gadda, premio Viareggio 1954, San Gimignano, 1°-2 settembre 1956); Il fiore del Decamerone (adattamento di V. P.: Certaldo 4-5 agosto 1956); Beatrice Cenci (di A. Moravia: Rocca della Rovere, Senigallia, 14 agosto 1957 e Roma, Ridotto del teatro Eliseo, 22 aprile 1958); La donna al balcone (di H. von Hofmannsthal, trad. di L. Traverso: Rocca della Rovere, Senigallia 25-26 agosto 1958); Nembo (di M. Bontempelli, Rocca della Rovere, Senigallia 25-26 agosto 1958); Isabella comica gelosa (di G. Dessì - A. Frassinetti, da un racconto di V. P.: La compagnia dei Gelosi, San Gimignano, 15-16 agosto 1959 e Palazzo ducale di Mantova, Salone Arcieri, 23-25 settembre 1961); Arlequin serviteur de deux maitre (Théâtre de Poche, stagione 1958-59); Il montanino toscano (di G. Tigri, adattamento scenico di V. P., regia di R. Guicciardini, San Gimignano, 13-14 agosto 1960); Isabella comica gelosa (di F. Enriquez - V. P., regia F. Enriquez, scene e costumi E. Luzzati, teatro Olimpico, Vicenza, 4-8 settembre 1971).
Fonti e Bibl.: Genova, Museo biblioteca dell’attore, Fondo V. P.; Certaldo, Biblioteca comunale «Bruno Ciari», Arch. storico, FI. 0012; A. Mancini, Teatro da quattro soldi. V. P. regista, Bologna 1990; D. Evola, L’utopia propositiva di V. P.: teatro, cinema, televisione in Italia dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, Roma 1991; B. Schacherl, Il critico errante. Anni Sessanta e dintorni a teatro in cerca di storia, Firenze 2005, ad ind.; S. De Matteis, Il teatro delle varietà. Lo spettacolo popolare in Italia da café chantant a Totò, Firenze 2008, ad indicem.