VITERBO (A. T., 24-25-26 bis)
Città del Lazio settentrionale, capoluogo della provincia omonima. È situata a 42° lat. N. e 29° long. E., fra 293 e 354 m. s. m., su un piano ondulato, alle estreme falde nord-occidentali dei Monti Cimini e al limite di un altro vasto piano che lo separa dai Vulsini. Come quasi tutti i centri etruschi, il primitivo nucleo si formò alla confluenza del torrente Urciomo (Valle di Faul) col fosso Mazzetta; e sulla piccola platea formata dai due torrenti fu costruita l'attuale cattedrale di S. Lorenzo. La città si è poi andata sempre più sviluppando verso nord-est, e ora, varcata l'antica cinta di mura, si estende con case e villini anche di là da questa. La pianta di Viterbo ha forma triangolare con due angoli smussati e uno arrotondato; la città ha una cinta merlata con torri e ha sette porte: Fiorentina, Romana, della Verità, di Faul, di S. Pietro, del Carmine e infine la Porta Tiberina. Il clima di Viterbo è mite e salubre; la temperatura media annua infatti è di 14°,6; le precipitazioni, che cadono prevalentemente in autunno, inverno e primavera, si aggirano intorno ai 765 mm. annui. I venti predominanti sono quelli di nord-est freddi e asciutti e quelli di scirocco (SSO.) umidi e afosi.
Il primo dato demografico che sia il risultato di un censimento vero e proprio risale al 1656, ma questo come i successivi fino al 1853 si riferisce a tutto il comune di Viterbo. Nel 1656 si contarono 11.124 ab. esclusi quelli di età inferiore ai tre anni. Nel 1701 gli abitanti salgono a 12.120 ab. ma negli anni successivi la popolazione di Viterbo, come del resto in tutto lo stato pontificio, subisce alternative di aumenti e diminuzioni causate da carestie e da epidemie; solo dal 1816 in poi l'incremento si avvia a divenire quasi continuo: 1708: 12.761; 1736: 12.375; 1782: 12.739; 1816: 12.588: 1833: 14.612; 1853: 16.344; 1871: 20.637; 1881: 19.654; 1901: 21.292; 1911: 23.299; 1921: 25.353; 1931: 37.059. Dal 1871 al 1931 il comune di Viterbo ha visto aumentare considerevolmente i suoi abitanti; l'aumento più notevole verificatosi tra il 1921 e il 1931 (4,61%) è stata una conseguenza dell'erezione di Viterbo a capoluogo di provincia (1927) e del fatto che ha incorporato la popolazione di comuni vicini. La città di Viterbo nel 1871 contava 16.326 ab.; nel 1881, 17.086; nel 1901, 17.342, nel 1911, 16.982; nel 1921, 18.315 e nel 1931, 19.473 ab.
Dal punto di vista economico Viterbo si trova in condizione assai privilegiata essendo situata al centro di un'importante zona rurale; a essa infatti affluiscono dalle campagne circostanti, assai intensamente coltivate, i principali prodotti agricoli (grano, vino, ulivi), che parte sono consumati sul posto e parte si dirigono verso la capitale. È sede d'importanti industrie per la trasformazione dei prodotti agricoli (pastifici, oleifici, distillerie di liquori e sciroppi), di stabilimenti per l'industria della concia delle pelli e di ceramiche artistiche.
Viterbo possiede poi varî istituti di beneficenza, numerose scuole (R. Liceo-Ginnasio, Istituto tecnico commerciale, scuole professionali) e un bel teatro.
Viterbo, che dista 75 km. da Roma, è unita alla capitale da due ferrovie, di cui una elettrica.
Nelle adiacenze della città di Viterbo si trovano numerose acque minerali, tra le quali è particolarmente famosa la sorgente "Bullicame". Le varie acque sono usate per bagni, inalazioni, irrigazioni e bevanda, nel grande stabilimento, di recente ricostruito, dov'è anche un reparto per fanghi e una camera sudatoria. Indicazioni terapeutiche: forme reumatiche, artritismo, malattie del ricambio, neuropatie, affezioni ginecologiche e gastro-enteriche. Stagione dal maggio all'ottobre. Le terme di Viterbo, costituite dallo stabilimento di cura e dall'albergo annesso, sono di proprietà dell'Opera nazionale dopolavoro.
Monumenti. - Pochi tratti di mura, probabilmente di costruzione etrusca, esistenti presso la Piazza del Duomo, sono l'unica testimonianza del periodo più antico della città. L'aspetto medievale di Viterbo, ancora integro in molte parti, e soprattutto nel quartiere di S. Pellegrino, sorge a ogni passo tra le cose posteriori, ora grandioso, ora intimo, nelle chiese e negli ospizî, nei palazzi e nelle case, nei chiostri, nelle fontane, spesso in suggestivi complessi, più pittoreschi per l'irregolarità del terreno e dei fabbricati. Esso risale al più florido periodo della città, che fu tra il sec. XI e il XIV, quando a Viterbo si raccolse e si moltiplicò l'attività artistica che operava anche nelle terre vicine - a Corneto (Tarquinia), a Toscanella (Tuscania), a Vetralla, a Vitorchiano, - con caratteri suoi proprî, prima romanici, poi gotici, nei tipi costruttivi, negli ornati, nell'uso del materiale locale, un tufo poroso, grossolano ma atto a forti effetti pittorici. Allora la città, che si andava sviluppando da un primo oscuro castello, venne cinta a mano a mano dall'alta cerchia di mura, ancora conservata in gran parte: e doveva servirle di porta anche la gotica torre di S. Biele (1270). Più tardi (sec. XIV) fu munita della rocca poi ricostruita ? 1el sec. XV. Del periodo precedente non rimane forse che il campanile di S. Maria della Cella, supposta del sec. IX. Grandeggiano invece le chiese romaniche edificate nei secoli XI e XII.
I costruttori viterbesi vi preferirono le forme basilicali a tetto o con colonne, e se usarono decorazioni architettoniche lombarde e archi a ghiera raddoppiata, vi mostrarono nei capitelli e nelle proporzioni interne uno studio sempre più accurato di modelli antichi, dalle rozze navate di S. Sisto, a quelle di S. Giovanni in Zoccoli, ai nobili colonnati di S. Maria Nuova certo costruiti assai dopo il 1080 - anno dell'atto di donazione - e non molto prima della cattedrale, edificata probabilmente circa il 1192, e anche più classicamente ariosa. Ma la parte terminale della chiesa di S. Sisto, ricostruita nella seconda metà del sec. XII, ha in vòlte a botte l'altissimo presbiterio, presentando l'imminente affermarsi dell'architettura borgognona nella vicina abbazia cisterciense di S. Martino al Cimino.
Lo stile gotico, diffuso nel Lazio dai cisterciensi, fu trattato dai costruttori viterbesi con un proprio senso pittorico, in fantastici contrasti di luce e d'ombra, soprattutto nell'architettura civile che ebbe grande sviluppo nel sec. XIII, quando la città, così forte da sostenere l'assalto di Federico II, ospitò lungamente i papi.
Il palazzo papale (1266) e l'attigua sua loggia (1267) mostrano al sommo gli originali caratteri dell'architettura viterbese del sec. XIII. Tutto vi è gotico negli ornati e nella struttura (archi rampanti sostengono verso valle il palazzo, ch'è occupato in gran parte da una vastissima aula a tetto) ma con particolare accento di semplicità e di forza. La scala esterna con ripiano su un voltone, il grande arco sul quale s'innalza la loggia, e questa - ch'era cinta di arcate a trafori da un lato e dall'altro, e coperta di vòlta - formano un insieme fortemente chiaroscurato, nel quale la policromia vivissima della loggia (ne restano tracce in molte parti) accresceva l'effetto pittorico. Nel palazzo degli Alessandri, nella casa Poscia, e in altre case con scala esterna a balcone (v. profferlo), nella piccola dimora signorile accanto alla cattedrale, come poi ancora nel palazzo dei Mazzatosta e in quello dei Farnesi, si spiegano e si svolgono le stesse qualità della scuola viterbese, attiva e omogenea fino al sec. XV, alle quali doveva essere improntato anche il palazzo del Comune, iniziato nel 1264, poi nobilmente rifatto nella seconda metà del Quattrocento restando del primo edificio soltanto il loggiato. Il chiostro di S. Maria in Gradi, quello del Paradiso, e quello di S. Maria della Verità (sec. XIV), segnando la progressione ai modi gotici più ornati, mostrano anche una crescente originalità in quella robustezza di contrasti che pone tra le opere principali degli architetti e scultori viterbesi della fine del sec. XIII la tomba poi detta di G. Landriani nella chiesa di S. Francesco. Quivi il mausoleo di Clemente IV - già in S. Maria in Gradi; ma non integro -, opera di Pietro Oderisi, e quello arnolfiano di Adriano V, nelle sculture marmoree e nei musaici contrastano con le nude ma forti opere dei lapicidi viterbesi intagliatori di tufo e di peperino, cui invece appartiene la Fonte Maggiore (1279), lineamento indimenticabile della città, con altre fonti minori, come la fonte di Pianoscarano - ricomposta nel sec. XIV - dello stesso tipo, a vasca con stelo al centro. Tra le costruzioni sacre del sec. XIII prossime ai modelli cisterciensi è la cripta di S. Andrea di Pianoscarano, doveva essere S. Maria in Gradi, poi trasformata dentro (sec. XVIII). La chiesa di S. Francesco (sec. XIII) nelle grandiose volte ogivali del transett0 e nel quadrato coro ricorda costruzioni dell'Umbria, come la policroma facciatina di S. Maria della Salute (sec. XIV), mentre il campanile della cattedrale, ricostrutto nel 1369, sembra di architetto senese.
Il Rinascimento, che ha lasciato molte opere in costruzioni civili e sacre (tra cui il tempietto della Madonna della Peste; la chiesa di S. Giovanni; il chiostro della Trinità, del 1515), si spiega appieno nel santuario di S. Maria della Quercia, nei dintorni della città.
La chiesa del santuario, fondata nel 1470, così squisitamente fiorentina nell'architettura da rammentare Giuliano da Sangallo (essa è stata alterata soltanto nel coro), è ornata di terrecotte della bottega di Andrea della Robbia (1508), del soffitto disegnato da Antonio da Sangallo il Giovane per la navata maggiore (1518), di stalli di Domenico del Tasso e compagno; ha una pala di fra Bartolomeo, compiuta da fra Paolino, un grande tabernacolo (1490) di Andrea Bregno per l'immagine miracolosa. Ma nell'attiguo convento qualche maestro locale riprese nel chiostro piccolo, nell'ordine inferiore, le forme gotiche del chiostro di S. Maria in Gradi, con cui è in piena dissonanza l'ordine secondo, costruito per certo nel sec. XVI. Anche la pittura ebbe dal Rinascimento nuova attività. Nel 1453 il Gozzoli aveva dipinto in S. Rosa un ciclo di affreschi, poi distrutto (sec. XVII): la sua influenza, con quella di Melozzo da Forlì, informa gli affreschi (1469) della cappella Mazzatosta in S. Maria della Verità, capolavoro di Lorenzo da Viterbo. Più tardi Antonio da Viterbo operò nell'orbita del Perugino e del Pinturicchio.
Nei secoli più recenti la città ha avuto nell'arte un'importanza assai minore che nei passati, benché abbia dato pittori come G. F. Romanelli e D. Corvi, e sia stata accresciuta di altre opere considerevoli. Nel Museo civico, che occupa la chiesa di S. Maria della Verità, sono riuniti dipinti, sculture, oggetti d'arte: grandeggia su tutto la Pietà di Sebastiano del Piombo, già in S. Francesco.
V. tavv. CV e CVI.
Storia. - Sembra che sul luogo dell'attuale città esistesse un vico etrusco col nome di Surrena e poi un piccolo centro romano chiamato forse Vicus Elbii. La prima menzione di un Castrum Viterbii è dell'anonimo geografo ravennate della fine del sec. VII. Il luogo acquistò importanza nel sec. XI per effetto del progressivo inurbarsi di popolazione campagnola, soprattutto piccola nobiltà. Nel 1095 Viterbo fu, secondo la tradizione, cinta di mura e intornti alla stessa epoca ebbe un ordinamento comunale. La città continuò a progredire nel sec. XII attraverso aspre guerre contro i comuni vicini e contro Roma. In quel tempo essa cominciò a ospitare i papi: nel 1146 vi si rifugiò Eugenio III in lotta con i Romani, nel 1164 vi ebbe sede l'antipapa Pasquale III. Nel 1167 Viterbo ebbe dal Barbarossa molti privilegi. Pochi anni dopo i Viterbesi distrussero la vicina città di Ferento e ne trasportarono gli abitanti nella loro città (1172). Così, quando nel 1192 fu elevata a sede vescovile, Viterbo era ormai divenuta la principale città della Tuscia romana. Innocenzo III soggiornò qualche tempo in Viterbo dove riunì nel 1207 un grande parlamento. Nel 1210 la città resistette vittoriosamente a un assedio di Ottone IV. Continuavano frattanto le lotte con Roma mentre s'iniziavano violente discordie interne fra le famiglie dei Gatti, guelfi, e dei Tignosi, ghibellini. Approfittando di queste lotte Federico II s'impadronì nel 1240 della città ponendovi un presidio tedesco, ma nel 1243 la città insorse, condotta dal cardinale Raniero Capocci e da Raniero Gatti. Gl'imperiali chiusisi nella rocca vi furono assediati dagli insorti, mentre l'imperatore, accorso con un esercito dalla Puglia, assediava la città. I Viterbesi superarono bravamente la difficile prova, costringendo l'imperatore a levare l'assedio e il presidio a lasciare la rocca. La guerra con Federico continuò negli anni successivi fino al 1247 quando i ghibellini imposero alla città, stremata da una lunga carestia, la dedizione all'imperatore. Morto Federico, la città tornò alla Chiesa e da allora seguì quasi sempre la parte guelfa. Nel 1251, in un momento di tregua tra le fazioni, vennero codificati gli statuti cittadini. Nel 1257 Alessandro IV, in lotta con i Romani e con Manfredi, si rifugiò a Viterbo dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1261. Da allora fino al 1281 i papi soggiornarono quasi sempre a Viterbo, ove si tennero anche molti conclavi. Furono eletti in Viterbo tutti i pontefici da Urbano IV a Martino IV, tranne Innocenzo V. Famoso restò il conclave da cui uscì eletto Gregorio X, durato due anni e dieci mesi (1268-71), che finì solamente quando Raniero Gatti, capitano del popolo, dopo avere per consiglio di S. Bonaventura chiuso i cardinali nel palazzo papale, fece scoperchiare la sala delle riunioni e diminuire i viveri ai prigionieri. È questa l'epoca della maggiore floridezza della città, la cui storia quasi si confonde con quella della Chiesa. La presenza della corte papale portò a un grande aumento della popolazione e provocò un'intensa attività commerciale e un notevole sviluppo edilizio. La città assunse in quegli anni la fisionomia artistica che tuttora conserva: sorsero in quel tempo il grande palazzo papale e molte chiese, palazzi e fontane. Nel 1281 le intemperanze dei Viterbesi che, dopo l'elezione di Martino IV, arrestarono due cardinali, portarono all'abbandono della città da parte del papa. Cominciò allora una lenta decadenza. Nel sec. XIV, la città, dilaniata dalle fazioni, e sempre in guerra con Roma, ebbe un governo signorile. I Gatti e i Prefetti di Vico si disputarono a lungo il potere. Verso la metà del secolo Giovanni di Vico riuscì ad affermare il suo governo sulla città ed estese la sua signoria a quasi tutta la Tuscia romana, ma nel 1357 fu cacciato dall'Albornoz, che restaurò in Viterbo il governo della Chiesa. Urbano V soggiornò alcuni mesi in Viterbo nel 1367. I Vico signoreggiarono ancora la città con Francesco, figlio di Giovanni, dal 1375 al 1387 e con Giovanni, figlio di Sciarra, dal 1391 al 1396. Ma la loro signoria non poté assodarsi per la resistenza della fazione avversa e per l'opera dei legati pontifici. La potenza della famiglia fu annientata dal cardinale Vitelleschi che nel 1435 fece decapitare l'ultimo rappresentante di essa, Giacomo di Vico, e stabilì definitivamente in Viterbo il governo della Chiesa. Nel sec. XV e al principio del XVI la città fu ancora turbata da discordie fra le principali famiglie fra cui di nuovo prevalsero i Gatti, estintisi con Giovanni nel 1498. Clemente VII nel 1524 e Paolo III nel 1536 riformarono l'ordinamento di Viterbo, riducendo l'autonomia comunale e pacificando definitivamente la città. Questa visse tranquilla nei secoli XVII e XVIII. Nel periodo napoleonico e durante il Risorgimento seguì le sorti del Lazio. L'11 settembre 1860 la città insorse contro il governo pontificio con l'aiuto di volontarî venuti dall'Umbria e chiese l'annessione all'Italia che le fu negata per l'opposizione di Napoleone III. Finalmente il 12 settembre 1870 veniva occupata dalle truppe italiane.
Arte della stampa. - Un solo libro è noto impresso a Viterbo nel secolo XV, trattatelli grammaticali di Maurus Servius Honoratus, Libellus de ultimis syllabis. Accedit Centimetrum, Viterbii 12 januarij 1488, volumetto in-4° di 22 carte di cui si conosce il solo esemplare conservato nel British Museum. Il nome del tipografo è sconosciuto e i bei caratteri romani non furono mai adoperati altrove: il loro tipo primitivo può far ritenere, come pensa Victor Scholderer (Catalogue of Books primed in the XV Century now in the British Museum, VII, Londra 1935, p. lxxxvii) errata la data, che potrebbe invece essere 1478. La 1ª edizione dello stesso libro apparve a Cagli nel 1476.
La provincia di Viterbo.
Secondo la circoscrizione fissata dal decreto 31 marzo 1927 la provincia di Viterbo ha una superficie di 3645,54 kmq. e una popolazione (aprile 1931) di 230.180 ab. Confina a nord con la provincia di Grosseto e con quella di Siena, a est con la provincia di Terni e quella di Rieti, a sud con la provincia di Roma e con il Mar Tirreno nel tratto compreso tra il fiume Mignone e la foce del Fosso Chiarone.
Gli apparati vulcanici dei Monti Vulsini e Cimini occupano il cuore della provincia abbracciando circa due terzi della superficie totale. I Monti Vulsini, situati a nord, si congiungono con una serie di colline al gruppo dei Monti Cimini, dando origine a una zona collinosa e accidentata con quote che vanno dai 150 ai 500 m., e oltrepassano i 1000 m. nel M. Cimino (1055 m.). Dai due apparati vulcanici s'irradia poi a guisa di ventaglio una serie di valli percorse da piccoli corsi d'acqua, che si dirigono a est verso la valle del Tevere e a ovest verso il mare. Mentre a est le ultime propaggini dei M. Vulsini e Cimini giungono fin quasi alla valle del Tevere, la zona che si estende verso il mare costituisce una vasta pianura interrotta solo qua e là da collinette a sommità spianata e incise dalle valli dell'Arione, della Marta, del Mignone e da altri minori corsi d'acqua che terminano al Tirreno.
Il clima mite lungo la zona costiera, diviene più rigido nell'interno con il crescere dell'altezza; la zona costiera pianeggiante è la meno piovosa (600-800 mm. all'anno), mentre sui M. Cimini si riscontra il massimo delle precipitazioni (piovosità media 1400-1500 mm. annui; eccezionalmente anche 2000 mm.).
La base dell'economia è l'agricoltura; difatti, secondo il censimento del 1931, più del 60% della popolazione era dedita a essa. Le colture prevalenti sono i seminativi (semplici 49,8% e arborati 16,4% della superficie agraria e forestale) e le colture legnose specializzate (7,8% superficie agraria e forestale). La coltura della vite e dell'ulivo è intensissima, specie intorno al Lago di Bolsena (Bolsena, Grotte di Castro, Gradoli, ecc., vite e olivo) e sulle pendici sud-orientali dei M. Cimini (Vallerano, Vignanello, Carlognano, Fabbrica di Roma, vite). Dato il carattere prevalentemente agricolo della regione, l'industria è poco sviluppata; progredite sono le industrie alimentari. Tra le industrie connesse con l'agricoltura merita di essere ricordata, l'industria molitoria e l'industria della pasta, localizzata a Viterbo, Vetralla, Civita Castellana e Montefiascone. Numerosi sono anche i vinifici e gli oleifici.
La provincia di Viterbo ha due direttrici principali di transito, una interna, segnata dalla Via Cassia che lambisce il margine orientale degli apparati vulcanici, e l'altra litoranea, segnata dalla Via Aurelia; sono collegate l'una all'altra per mezzo della Tarquinia-Tuscania-Viterbo. Inoltre le linee ferroviarie Roma-Orte-Firenze; Roma-Pisa; Roma-Viterbo e la linea elettrica Roma-Civita Castellana-Viterbo uniscono la provincia alla capitale.
La provincia di Viterbo conta 59 comuni e in essi la popolazione vive quasi tutta agglomerata in centri. La popolazione sparsa in campagna rappresenta solo il 16,3% della totale. Dei centri abitati solo 6 superano i 5000 ab.: Cassarola, Civita Castellana, Ronciglione, Soriano al Cimino, Tarquinia e Viterbo, e circa una trentina i 2000 abitanti.
Bibl.: C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, voll. 4, Roma 1887-1913; F. Cristofori, Le tombe dei papi in Viterbo, Siena 1887; C. Pinzi, Memorie e documenti su S. Maria della Quercia, Roma 1890; id., Il Palazzo papale di Viterbo, Viterbo 1910; id., I principali monumenti di Viterbo, 5ª ed., ivi 1916; A. Mortier, S. Maria della Quercia, Firenze 1904; A. Muñoz, Il ripristino della chiesa di S. Maria Nuova, ecc., Roma 1912; Per l'inaugurazione del Museo civico di Viterbo, Viterbo 1912; P. Egidi, Viterbo, Napoli 1912; A. Scoiattoli, Viterbo nei suoi monumenti, Roma 1920; id., I più notevoli monumenti di Viterbo, Viterbo 1929. E inoltre: A. Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano 1901 segg.; III segg., passim; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, passim; R. van Marle, Italien Schools of Painting, L'Aia 1923 segg., V e XV, passim.