Dente, Vitaliano del
Padovano, indicato dalla maggioranza dei commentatori antichi della Commedia (Iacopo, Lana, Ottimo, Benvenuto, ecc.) come il Vitaliano che, a detta di Reginaldo degli Scrovegni, dopo morto dovrà sedere nel girone degli usurai al di lui sinistro fianco (If XVII 68-69), significandone in tal modo la maggiore colpevolezza.
Non si conosce né l'anno in cui nacque, né quello di morte. Di cospicua famiglia (i Dente, che comprendevano anche i Lemici o i Lemizzoni, figurano come banchieri nelle cronache locali già dai primi del secolo XIII), sposò una figlia di Reginaldo. Come parente, prese forse parte anch'egli, pur se indirettamente, alle liti e ai giudizi arbitrali che gli Scrovegni ebbero con Gherardo da Camino a causa di un prestito a usura che questi aveva contratto con loro. Il 28 aprile 1303 diede in isposa all'allora potente Bartolomeo della Scala la propria figlia; ma, morto costui l'anno dopo, ed essendo la donna tornata alla casa paterna, egli pretese da Alboino, che al fratello era succeduto, la restituzione per intero della dote. Le cronache dell'epoca che s'interessano di lui, a cominciare da quella di Albertino Mussato, che ne aveva sposato la sorellastra Marbilia, lo dicono uomo magnanimo, grande e generoso, politicamente attento - specie nel primo semestre del 1307, quando ricoperse la carica di podestà di Padova - a mantenere la dominazione della sua città su Vicenza, dimostrando polso fermo e disprezzo dei pericoli nei quali poteva incorrere coll'attraversare i disegni ambiziosi di Alberto della Scala. Non si è rintracciato finora il minimo accenno che possa avvalorare la taccia di usuraio. Solo in un documento, conservato nell'archivio delle pergamene di Torre-Vicenza e scoperto dal Bortolaro, si legge che il sindaco del comune vicentino, Rinaldo Cambio, ricevette l'8 dicembre 1296 (giorno in cui il documento fu redatto) la somma di duemiladuecento lire di piccoli denari veronesi, da restituire entro sei mesi, " mutuo sub usuris a domino Paulo quondam domini Vitaliani de Lemicis pro domino Vitaliano quondam domini Guglielmi Dentis de Padua ". E si potrà inoltre ricordare che Vitaliano nel 1300 prestò una notevole somma di denaro a Gualpertino fratello di Albertino Mussato, perché potesse simoniacamente insediarsi come abate in Santa Giustina a Padova; ma nulla autorizza a pensare, data anche la stretta parentela con Albertino, che lo facesse imponendo diritti d'usura.
Bibl. - E. Morpurgo, D. e Padova, Padova 1865, 212 ss.; A. Belloni, in " Giorn. stor. " XLIV (1905) 392; V. Bortolaro, I prestatori padovani a Vicenza al tempo di D., Padova 1912; G. Biscaro, D. e il buon Gherardo, in " Studi Medievali " n.s., i (1928) 86 ss.; G. Billanovich, Tra D. e Petrarca, in " Studi Mediol. e Volgari " VIII (1965) 9-10.