LANDO, Vitale
Ultimo dei figli maschi di Marino di Vitale e di Marina Baseggio di Nicolò di Pietro, nacque a Venezia nel 1421 da ricca e prestigiosa famiglia: un fratello del nonno era il cardinale Francesco Lando e lo zio Marco era vescovo di Castello; inoltre una sorella del padre, Bianca, era andata sposa a Pietro Barbo, della famiglia del futuro papa Paolo II, e un'altra, Chiara, era sposata con uno dei principali banchieri di Venezia, Francesco Balbi di Alvise.
Approfittando di un lascito istituito dal cardinale Francesco, che aveva voluto una commissaria per studenti della sua famiglia, a partire dal 1436 il quindicenne L. frequentò a Padova i corsi di diritto civile tenuti da Leonino da Bergamo, che all'allievo dedicò un epigramma. La precoce morte del padre (1439) costrinse il L. a interrompere per qualche tempo gli studi; nello stesso anno, il 7 ottobre, la madre lo iscrisse all'estrazione della balla d'oro; lo si ritrova a Padova solo alla fine del 1442, come studente in utroque e vicerettore della facoltà giuridica, benché conseguisse il dottorato in diritto canonico e civile il 6 sett. 1445, seguito l'indomani da quello nelle arti. Le ragioni di questo prestigioso, ma lento, percorso degli studi universitari sono probabilmente da rintracciare nella pluralità degli interessi culturali del L., secondo la testimonianza del docente di medicina Pietro Carrerio da Monselice, che gli dedicò la Questio de venenis ad terminum, pubblicata per la prima volta nel 1476 in appendice all'edizione del Conciliator di Pietro d'Abano (Venezia, Gabriele di Pietro) curata dallo stesso Carrerio.
Al conseguimento del dottorato seguirono sei anni di silenzio, probabilmente spesi in buona parte nella frequentazione dei circoli culturali umanistici veneziani e padovani; sappiamo infatti che fu in corrispondenza con Giovanni Mario Filelfo, Ludovico Foscarini, Pietro Perleone, Maffeo Vallaresso e che ricevette elogi da Flavio Biondo, Michele Buono, Jacopo Franco, Teodoro Gaza, Bartolomeo Gerardino, Niccolò Leonico Tomeo, Raffaele Zovenzoni. Al L. sono attribuite anche certe Quaestiones miscellaneae super potissimas philosophiae difficultates (Degli Agostini, p. 547).
Le prime notizie sull'attività politica del L. sono del 1450, allorché fu nominato auditore delle Sentenze vecchie, carica di natura giudiziaria che tenne sino al 20 giugno 1451. Nel 1452 il L. sposò Elisabetta Zane di Paolo di Giovanni, vedova di Giacomo Contarini di Leonardo; probabilmente fu un matrimonio di interesse nel solco della consolidata strategia familiare, visto che la sposa era sorella di Lorenzo Zane, arcivescovo di Spalato e futuro vescovo di Brescia, imparentato con Pietro Barbo, in seguito papa Paolo II. A riprova dell'efficacia di questi legami, un fratello del L., Girolamo, sarebbe divenuto patriarca di Costantinopoli e due suoi figli, Marino e Marco, avrebbero goduto di sostanziosi benefici ecclesiastici.
Il 16 nov. 1452 il L. era inviato ambasciatore a Siena. Dopo la rottura dell'alleanza veneto-fiorentina, Siena aveva allacciato buoni rapporti con la Serenissima, come prova il fatto che sarebbe toccato proprio al L. far ottenere (30 ott. 1453) l'esenzione dell'imposta sul boccatico a quei senesi che si fossero stabiliti a Venezia, in luogo dei fiorentini che ne erano stati espulsi.
Siena stava allora vivendo una felice congiuntura economica, culturale e politica. Nel febbraio 1452, infatti, vi avevano soggiornato l'imperatore Federico III e la sua giovane promessa sposa, Eleonora di Portogallo; la città pertanto era un crocevia di trattative fra gli ambasciatori delle diverse potenze. L'attività diplomatica del L. fu volta soprattutto alle questioni di politica internazionale, giocata in funzione antiottomana e antisforzesca, l'una e l'altra destinate all'insuccesso per Venezia, con la caduta dell'Impero bizantino (29 maggio 1453) e la conseguente adesione del governo marciano alla pace di Lodi (9 apr. 1454).
Il L. aveva lasciato Siena appena qualche mese prima, il 30 genn. 1454, e il 29 agosto fu eletto senatore; alla scadenza del mandato entrò nella zonta del Pregadi (1° ott. 1455) e in tale veste, grazie alla competenza giuridica e all'abilità diplomatica che gli venivano attribuite, il 27 ott. 1455 fu incaricato di portarsi a Ferrara per discutere col marchese Borso d'Este talune questioni concernenti i debitori del banco Soranzo e l'utilizzo delle acque del Tartaro; ma un sollecito rivoltogli dal Senato in data 30 dicembre sembra indicare che il L. intraprese la missione con scarso entusiasmo. In seguito fu per breve tempo (16 novembre - 31 dic. 1456) savio di Terraferma, segnalandosi in una trattativa fra il Consiglio dei dieci e alcuni mercanti che si erano offerti di rifornire di grani la Terraferma veneta vessata dalla carestia. In seguito (8 luglio 1457) ebbe modo di servire la Signoria, insieme con Giacomo Corner, in qualità di arbitro circa una controversia in materia di acque, che opponeva Padovani e Vicentini. Eletto nuovamente savio di Terraferma il 25 apr. 1458, il 21 luglio aderì alla proposta, peraltro fortemente contrastata, di inviare un'ambasceria straordinaria a Ferdinando I d'Aragona, allora succeduto al padre sul trono di Napoli, la cui legittimità non era stata riconosciuta dal papa Callisto III. Il L. avrebbe dovuto far parte della legazione, che però non fu effettuata nei termini previsti a motivo della sopravvenuta morte del pontefice.
"Da chi fosse insignito il nostro Vitale delle onorifiche equestri divise, non è a nostra contezza": così il Degli Agostini (p. 543); dato che il L., fregiato già del titolo di cavaliere, nel marzo 1461 si recò a Innsbruck per una breve missione presso l'imperatore, è evidente che conseguì quella dignità fra il 1459 e il 1460, ma non si sa dove, né a opera di chi.
Qualche mese dopo il L. fu eletto podestà e capitano a Ravenna, dove fece il suo ingresso il 24 giugno 1461; la città era entrata a far parte dei domini della Serenissima da circa un ventennio, per cui le principali attenzioni del L. furono rivolte alla prosecuzione dei lavori nell'imponente rocca Brancaleone. Fra tante vestigia della grandezza romana il L. poté anche trovare quelle gratificazioni alle quali era sensibile la sua formazione culturale, come testimonia un'opera sulle antichità ravennati dedicatagli da Desiderio Spreti (De amplitudine, eversione, et restauratione urbis Ravennae), stampata poi a Venezia nel 1489. Lasciata Ravenna nell'ottobre 1462, il L. ricoprì l'incarico di savio di Terraferma ancora per il primo semestre del 1463, ma prima dello scadere del mandato fu nominato provveditore in Istria nel conflitto che opponeva la Repubblica a Trieste.
Le ostilità erano iniziate nel 1461, per via di certi privilegi commerciali accordati dall'imperatore Federico III ai Triestini, con detrimento dei traffici che dalla Carniola facevano capo a Muggia e Capodistria. La situazione era precipitata nella primavera del 1463, proprio quando Venezia si preparava alla difficile guerra di Morea contro i Turchi di Maometto II.
Il 4 luglio il L. pose l'assedio a Trieste, rafforzato in ottobre con il blocco del porto; subito dopo però (24 ottobre) ottenne la licenza di rimpatriare, accusando precarie condizioni di salute. Di lì a poco (17 novembre) la mediazione di papa Pio II, che un tempo era stato cancelliere di Federico d'Asburgo e vescovo della città giuliana, pose fine alle ostilità.
Savio di Terraferma per l'intero 1465, quindi consigliere ducale nel 1466, il 22 febbr. 1467 il L. si recò a Brescia in qualità di capitano della città, dove redasse nuove norme per l'alloggiamento delle truppe, nell'ambito di un più generale piano di rafforzamento del dispositivo militare nella Lombardia veneta.
Nuovamente a Venezia, il 22 ag. 1468 entrò a far parte dell'Avogaria e nel gennaio 1469 fu uno dei dodici nobili mandati ad accogliere l'imperatore Federico III che si recava a Venezia; l'incontro avvenne a Treviso e nell'occasione fu il L. a rivolgere all'Asburgo un'elegante orazione latina (Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 2855, c. 187). Savio di Terraferma per il semestre ottobre 1469 - marzo 1470, quindi savio del Consiglio da aprile a settembre del 1470, il 2 sett. 1470 assunse un altro rettorato in qualità di podestà a Verona, dove dovette restare poco più di un anno, dal momento che il 23 nov. 1471 faceva parte degli elettori che portarono al dogato Nicolò Tron. Fu poi ancora avogador di Comun dal 12 luglio 1472, mantenendo l'incarico sino al settembre 1473; in tale veste fece annullare alcune deliberazioni del podestà di Vicenza ritenute lesive degli statuti della Comunità di Schio. L'influenza di cui ormai godeva il L. è testimoniata dalla sua assidua presenza fra il ristretto gruppo degli elettori ducali, di cui fece parte nell'agosto 1473 (doge Nicolò Marcello) e dicembre 1474 (doge Pietro Mocenigo); inoltre fu con ogni probabilità savio del Consiglio per tutto il 1474 (sicuramente dal 10 febbraio al 27 ottobre); nel gennaio 1475 si recò a Milano in compagnia di Vettore Soranzo, per ottenere aiuto nella guerra contro i Turchi.
Il duca Galeazzo Maria Sforza riservò un'ottima accoglienza agli inviati della Serenissima e, soprattutto, consegnò loro 30.000 ducati per armare dieci galere. Qualche mese dopo, l'8 maggio, il L. entrava luogotenente della Patria del Friuli.
La frontiera sull'Isonzo era minacciata dai Turchi, ormai saldamente insediati nella Bosnia e vittoriosi in Grecia nel lungo conflitto che li opponeva alla Repubblica. Il pericolo di scorrerie ottomane nell'Istria e nel Friuli era dunque concreto, poiché costituiva un diversivo per indebolire lo sforzo veneziano in Albania e nell'Egeo; infatti sin dal 1471 reparti turchi si erano affacciati ai confini istriani e in seguito la minaccia era andata crescendo di intensità, come conseguenza dell'accordo austro-ungherese del 1472, che di fatto sbarrava agli akinci (razziatori) di Maometto II l'area settentrionale e orientale. Ne era seguita (settembre 1472) una devastante incursione dei Turchi, che si erano spinti sin quasi a Udine; tra le misure adottate, il Senato veneziano aveva deciso la costruzione di un vallo di straordinaria lunghezza, che dal ponte di Gorizia giungesse sino ad Aquileia.
Alla prova dei fatti l'opera si sarebbe dimostrata inefficace, ma alla sua realizzazione il L. dedicò la maggior parte dei suoi sforzi nel corso del reggimento, protrattosi sino all'estate del 1476.
Rimpatriato, fu eletto membro del Consiglio dei dieci dall'ottobre 1476 al settembre 1477, ma sin dal 7 dic. 1476 entrò a far parte dei savi del Consiglio e vi rimase per tutto l'anno seguente, rifiutando nuovi incarichi fuori di Venezia: l'8 luglio 1477 rinunciò alla nomina di provveditore in Lombardia per controllare l'efficienza di quelle truppe e lo stesso fece l'11 novembre, essendo risultato dei quattro nobili incaricati di rivedere le difese sull'Isonzo, dopo la scorreria dei Turchi di Omer bey, avvenuta qualche settimana prima.
Nell'agosto 1478 il cinquantasettenne L. si ritrovava all'apice della carriera politica e consigliere ducale con ottime prospettive di ulteriori soddisfazioni, allorché fu incriminato dal Consiglio dei dieci con l'accusa di aver rivelato segreti di Stato. Era successo che l'ambasciatore presso la S. Sede aveva confidato ai Dieci che a Roma v'erano persone a conoscenza delle deliberazioni senatorie prima ancora che pervenissero a lui; la difficile congiuntura politica seguita alla congiura dei Pazzi sollecitò l'azione investigativa del Consiglio, che risalì al vescovo di Brescia, Lorenzo Zane. Il prelato, cognato del L., si valeva della complicità dei congiunti per ottenere informazioni che faceva pervenire al nipote del papa, Girolamo Riario. Il L. fu incarcerato e torturato; confessò di avere ricevuto 200 ducati annui dallo Zane, più altri 700 sotto forma di benefici ecclesiastici concessi al figlio Marco. Il 28 ag. 1478 il L. fu condannato a una pena tutto sommato non troppo severa: l'esilio decennale a Vicenza.
Si chiudeva così la sua carriera politica: il raffinato umanista, il colto brillante oratore non aveva resistito alle lusinghe di una vita giocata su più alti livelli, com'era stato, qualche anno prima, per Cristoforo Cocco, Andrea Donà, Jacopo Foscari. Sappiamo ancora che il suo caso fu riesaminato dai Dieci fra il 23 febbraio e il 31 maggio 1482 e che gli fu concesso di recarsi ai bagni di Abano per curarsi.
Marin Sanuto afferma di averlo incontrato a Vicenza nella primavera del 1483. È l'ultima notizia sicura sul L.; genealogie e cronache asseriscono che morì nel 1498 e fu sepolto nella chiesa di S. Vitale a Vicenza, ma il testamento della vedova del figlio Marino (Arch. di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 1186/37), redatto il 22 febbr. 1495, non ne fa menzione; M.L. King ne anticipa la scomparsa a prima del 21 sett. 1485, data di un privilegio concesso appunto a suo figlio Marino, in cui il L. risulterebbe già morto, ma il tenore del documento (Ibid., Senato, Terra, reg. 9, c. 162r) è ambiguo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 221, 223; Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 163, c. 294r; Segretario alle Voci, Misti, regg. 4, cc. 139v, 144r, 147r; 5, c. 7r; 6, cc. 7r, 16v, 49v, 91r; 14, c. 103r; Collegio notatorio, reg. 11, cc. 43v, 142v, 154v, 168r; Consiglio di dieci, Misti, regg. 15, c. 114r; 18, cc. 1v, 92v, 98v, 170r, 173r, 185r; 19, cc. 5r, 16r, 79r-80v (la condanna); 20, cc. 46v, 131v-132r (riesame); Senato, Terra, regg. 3, cc. 37v, 43v, 71r, 95r, 181v, 188r, 190r; 4, cc. 163r, 165r; 5, cc. 57r, 107r, 112v, 139r, 156r; 6, cc. 42v, 80r, 87v, 168r; 7, cc. 7v, 29r, 30v, 145r, 160v; 9, c. 162r; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 2855, c. 187: Oratio ad Caesarem Augustum imperatorem (discorso pronunciato a Treviso in onore di Federico III); 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio, II, c. 129r; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Arch. stor. italiano, VII (1843-44), 1-2, pp. 109, 208, 668-670; M. Sanuto, Le vite dei dogi, 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1999, p. 527; II, ibid. 2001, pp. 3, 11, 87, 91, 127 s., 130, 164; M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, II, Venezia 1718, p. 723; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche… degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 542-547; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 184 s.; IV, ibid. 1834, p. 462; V, ibid. 1842, pp. 486, 557 s., 642; VI, ibid. 1853, pp. 575, 844; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, p. 160; P. Labalme, Bernardo Giustiniani: a Venetian of the Quattrocento, Roma 1969, p. 143; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, a cura di G. Zonta - G. Brotto, II, Padova 1970, pp. 154, 220 s.; S. Chojnacki, Kinship ties and young patricians in fifteenth-century Venice, in Renaissance Quarterly, XXXVIII (1985), p. 254; V. Fontana, De instauratione urbis Ravennae. Architettura e urbanistica durante la dominazione veneziana, in Ravenna in età veneziana, a cura di D. Bolognesi, Ravenna 1986, p. 296; M.L. King, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattrocento, Roma 1989, pp. 35, 58, 86, 115, 243, 387, 393 s., 396, 402, 416, 548, 562-564, 615, 655, 661; A. Viggiano, Governanti e governati. Legittimità del potere ed esercizio dell'autorità sovrana nello Stato veneto della prima età moderna, Treviso 1993, pp. 76, 121 s., 146; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de' Veneziani, a cura di G.M. Varanini, Trento 1996, p. 1; G. Del Torre, "Dalli preti è nata la servitù di quella Repubblica". Ecclesiastici e segreti di Stato nella Venezia del Quattrocento, in Venezia. Itinerari per la storia della città, a cura di S. Gasparri - G. Levi - P. Moro, Bologna 1997, pp. 147 s.; G. Trebbi, Il Friuli dal 1420 al 1797. La storia politica e sociale, Udine 1998, p. 44; D. Girgensohn, Ein Kardinal und seine Neffen. Prälaten der Venezianer Familie Lando im 15. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXX (2000), pp. 178 s.; P. Benussi, L'età medievale, in I collegi per studenti dell'Università di Padova. Una storia plurisecolare, a cura di P. Del Negro, Padova 2003, p. 93; G. Bonfiglio Dosio, Cancellerie, archivi, istituzioni a Padova nel Quattrocento, in Tempi, uomini ed eventi di storia veneta. Studi in onore di Federico Seneca, a cura di S. Perini, Rovigo 2003, p. 182.