VITALE di Aimo degli Equi (Vitale da Bologna)
Figlio di un Aimo degli Equi (o Cavalli), è documentato a Bologna dal 1330 al 1359 e a Udine tra il 1348 e il 1349. Nel 1361 risulta già morto (Pini, 2010, pp. 33 s.).
A lungo considerato dalla letteratura storico-artistica come il capostipite della scuola pittorica bolognese del Trecento, negli ultimi decenni la risistemazione cronologica dei fatti fondativi del gotico felsineo ne ha meglio precisato la figura di geniale sintetizzatore delle diverse esperienze figurative emerse in città negli anni precedenti. A fronte di numerose menzioni nelle fonti d’archivio, pochi sono invece i punti fermi nella cronologia del suo percorso artistico: la Madonna dei denti nel Museo Davia Bargellini (inv. 129) di Bologna, firmata e datata 1345, l’attività per il duomo di Udine, attestata tra il 1348 e il 1349, e il polittico della chiesa bolognese di S. Salvatore, il cui contratto fu stipulato il 6 luglio 1353.
La prima testimonianza documentaria dell’artista risale al 7 marzo 1330, quando furono pagate 40 lire «Vindalino pictori» per il completamento della cappella di Filippo Odofredi nella chiesa bolognese di S. Francesco (Rubbiani, 1886, p. 116; Filippini, 1912, p. 16). Nel 1331 «Vitalinus Aimi de Equis» fu registrato nelle venticinquine del Comune di Bologna per la cappella di S. Maria Maggiore nel quartiere di Porta Stiera (Pini, 1981, p. 358). Le venticinquine costituivano l’elenco degli atti alle armi, divisi per quartiere. Dato che nel 1331 si veniva iscritti a partire dai vent’anni d’età e che nel 1330 il nome di Vitale non compare, è verosimile che il pittore fosse nato intorno al 1310 (ibid.). L’artista fu inserito nelle venticinquine sotto la medesima cappella anche nel 1332 e nel 1333 (Filippini - Zucchini, 1947, p. 230; Pini, 1981, p. 358). «Vidalino Aymi de Equis pictore» fu inoltre teste in due atti rogati presso il convento di San Francesco il 2 e il 3 agosto 1334 (Filippini, 1912, pp. 15 s.). Nel 1338 «Vitalinus Aymi» fu censito tra i cittadini della cappella di S. Maria Maggiore (p. 16 nota 2). Ulteriori lavori di decorazione per il complesso minorita di Bologna sono testimoniati nel 1340: l’11 novembre Vitale fu pagato 18 lire per il completamento della cappella di San Lorenzo (Rubbiani, 1886, p. 116; Filippini, 1912, p. 16) e il 9 dicembre ricevette 6 lire «pro picturis foresterie» (Rubbiani, 1886, p. 144; Filippini, 1912, p. 16).
Negli anni Quaranta comincia a essere ricordata l’attività del pittore per località al di fuori di Bologna. Infatti, il 14 agosto 1343 «Magister Vitallis pintor fillius Aymi de Equis» stipulò un contratto con Guido vescovo di Ferrara presso la casa bolognese del prelato per quattro statue lignee raffiguranti l’Annunciazione, S. Giorgio e un Santo vescovo da colorare in bianco a imitazione del marmo e impreziosire con oro, che sarebbero state collocate entro edicole sulla colonna della Beata Vergine Maria all’interno della cattedrale ferrarese. La cifra pattuita era di 50 lire fino a un massimo di 60. Come fideiussore di Vitale in caso di mancata consegna dell’opera compariva l’orafo Tano di Catalano de Buschitis, abitante nella cappella di S. Maria Maggiore (Frati, 1911, p. 443). Nel 1345 il pittore firmava la tavola con la Madonna dei denti, mentre il 5 maggio 1347 Vicinello Piatesi era accusato di avere ucciso la sorella nella propria dimora ubicata nella cappella di Santa Maria Maggiore vicino all’abitazione di «Vindalinum pictorem» (Filippini - Zucchini, 1947, p. 232), apparentemente l’ultima attestazione della presenza di Vitale a Bologna prima della trasferta udinese.
I dipinti che rappresentano gli inizi noti di Vitale nel corso degli anni Trenta, la Crocifissione Johnson nel Philadelphia Museum of art (inv. 1164), la tavola di medesimo soggetto nel Musée d’Histoire et d’Art del Lussemburgo (inv. 1942.74.8), e il S. Giorgio e il drago nella Pinacoteca nazionale di Bologna (inv. 6394), firmato con un monogramma sulla groppa del destriero, mostrano una violenza espressiva degna del pathos irruento del Maestro dei Polittici di Bologna, ma anche di alcuni dei miniatori attivi nei codici giuridici destinati ai frequentatori dello Studium, in particolare l’Illustratore, così come una capacità caratteristica del gotico oltremontano di ridurre i movimenti più avventanti in sigle formali autosufficienti, già riscontrabile nel Maestro del 1333 e nel cosiddetto Pseudo-Dalmasio. Allo stesso tempo, in alcuni passaggi emergono una ricerca naturalistica “a fior di pelle” e una tenerezza nelle stesure, verosimilmente desunta dai pittori riminesi in parte per il tramite dello stesso Maestro dei Polittici, che sarebbero diventate qualità sempre più importanti del linguaggio di Vitale. Si possono scalare ancora durante il quarto decennio l’affresco staccato con la Madonna del cucito, proveniente da S. Francesco, oggi parte delle Collezioni d’arte e di storia della Fondazione Carisbo, e alcuni dipinti murali raffiguranti la parabola evangelica di Lazzaro e il ricco epulone recuperati negli anni Ottanta del secolo scorso nella chiesa carmelitana di S. Martino (D’Amico, 1986, pp. 62 s.; del Monaco, 2018a, pp. 12-14).
Il grande affresco con l’Ultima cena e santi staccato dalla parete di un ambiente del convento di S. Francesco e depositato in Pinacoteca è stato collegato fin dalla sua riscoperta nel 1935 ai lavori di Vitale per la foresteria documentati nel 1340 (Brandi, 1935/1936 [1936]). Con quest’opera si riscontra un allentamento dell’oltranza espressiva più antica in direzione di un’eleganza preziosa e di un accostante naturalismo di superficie nelle soffici stesure degli incarnati. Intorno al dipinto di San Francesco si possono raggruppare le tavole con l’Ultima cena del Brooklyn Museum (inv. 16.443) e l’Incoronazione della Vergine nella Pinacoteca civica di Budrio, nonché l’affresco con la Madonna col Bambino in S. Michele dei Leprosetti a Bologna. Si possono mettere in relazione con la documentata attività di Vitale per Ferrara negli anni Quaranta opere quali la tavola firmata con la Madonna col Bambino dalla chiesa dell’ospedale dei Battuti Bianchi di Ferrara (Città del Vaticano, Musei Vaticani, inv. MV 40017), gli affreschi raffiguranti Storie di s. Maurelio staccati dalla chiesa di S. Stefano, oggi al Museo di Casa Romei, e alcuni lacerti in S. Maria di Savonuzzo presso Copparo (FE), chiesa costruita nel 1344 (Volpe, 1998). Ad anni non lontani risale anche l’intervento sulle pareti della chiesa pedecollinare di S. Maria di Mezzaratta, aula di culto di una società di devoti alla Vergine. L’Annunciazione e la Natività nella controfacciata, il Battesimo e la Madonna col Bambino nella parete occidentale, staccati negli anni Quaranta e collocati nella Pinacoteca nazionale di Bologna (invv. 6346-6351, 6356) insieme al resto degli affreschi superstiti, sono stati considerati a partire da Roberto Longhi ([1934-1935], 1973, p. 27) in stretto rapporto con la Madonna dei denti datata 1345. Tuttavia, di recente è stato richiamato un documento del 3 maggio 1338, che attesta l’avvenuto trasferimento dei devoti presso il nuovo edificio, evento in corrispondenza del quale Vitale avrebbe potuto dare avvio ai lavori di decorazione (M. Medica, in D’Amico - Medica, 1986, p. 112; Volpe, 2005, pp. 3 s., 45). I dipinti di Vitale appaiono realizzati in tempi molto ravvicinati tra la Cena di S. Francesco e la Madonna dei denti. La sintesi tra i diversi elementi del linguaggio dell’artista diventa piena in quest’ultima opera, che nei suoi appunti Carlo Cesare Malvasia descrive all’interno dell’oratorio di S. Apollonia, poco distante da Mezzaratta, come parte di un medesimo polittico insieme a quattro Sante laterali di minori dimensioni (Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, ms. B.17, c. 286r, in Malvasia [1678], 2012, p. 329), di cui due ricomparvero nella collezione Lanckoronsky a Vienna (Sandberg Vavalà, 1929, p. 461), e alle due tavole oggi presso le Collezioni comunali d’arte (invv. P.73-74) con un Santo papa (Pietro?) e un pellegrino e i Ss. Antonio Abate e Giacomo Maggiore, rispettivamente a sinistra e a destra del gruppo celeste. Nelle quattro Storie di s. Antonio Abate del Museo di S. Stefano esposte in Pinacoteca, un tempo sull’altare della chiesa dedicata a questo santo, la scattante narrativa di Vitale va calandosi sempre più in una cifra formale di superiore astrazione, così come nel S. Ambrogio dei Musei civici di Pesaro (3995).
Alcune attestazioni documentarie indicano Vitale a Udine nel 1348 e nel 1349. Il 28 giugno 1348 fu tra i testimoni della redazione di un testamento in S. Francesco (Casadio, 1990, p. 77 nota 37). Al 1348, dopo le spese effettuate dalla Fraternita di S. Nicolò dei Fabbri per la messa del mese di maggio e prima di quelle di dicembre, risale un pagamento al pittore «qui impentavit cuvam», relativo verosimilmente alla decorazione della cappella officiata dalla fraternita in duomo (Coletti, 1933, p. 226). Altri pagamenti per la medesima impresa sono registrati dopo le spese per la messa di gennaio e prima di altre in data 4 ottobre dell’anno successivo, con la menzione esplicita di «Vitalis pictor» (pp. 226 s.).
L’anno stesso Vitale era già nuovamente elencato a Bologna nelle venticinquine per la cappella di S. Maria Maggiore (Pini, 1981, p. 365). Poco dopo datava «1351» la decorazione dell’abside della chiesa abbaziale di Pomposa, se si accoglie l’autenticità dell’iscrizione (Brach, 1902, pp. 104 s.; Volpe, 1999, p. 108). Il 6 luglio 1353, Vitale stipulava un contratto con il priore di San Salvatore a Bologna, Rainiero dei Ghisilieri, per una «tabulam decem figuris et istoriis et etiam storiis pulcris et honorificis» da eseguire «de manu propria» in modo che fosse collocata sull’altare di S. Tommaso di Canterbury entro il Natale successivo. Per l’opera erano pagate in anticipo 100 lire e tra i testimoni dell’atto compariva il pittore Berto di Guglielmo (Frati, 1909, p. 171). Il 3 ottobre dello stesso anno, il pittore Balduccio di Francesco s’impegnava a lavorare con Vitale per un anno dietro il versamento di un salario, primo indizio documentario della creazione da parte dell’artista di una squadra di aiuti che gli permettesse di far fronte alle numerose commissioni (Pini, 2005, p. 75). Il 2 luglio 1357 Vitale era testimone a un contratto in cui il medesimo Balduccio s’impegnava a prestare stabilmente la propria opera di pittore a favore del vescovo della città Giovanni da Gallarate (Filippini - Zucchini, 1947, p. 234; Pini, 2005, pp. 75 s.). Qualche mese dopo, l’11 novembre, Vitale vendeva a nome suo e del figlio Francesco, erede della madre Giovanna del fu Lorenzo merciaio, una casa del valore di 50 lire per comprarne una stimata 70; erano presenti in qualità di testimoni i pittori Tommaso di Baldo della cappella di S. Mamolo e Andrea di Deolao de’ Bruni, artista ben noto tra i principali seguaci di Vitale (Frati, 1911, p. 444; Pini, 2010, p. 36). Il nome di Vitale è ancora riportato per la cappella di S. Maria Maggiore nelle venticinquine del 1357, del 1358 e del 1359 (Filippini - Zucchini, 1947, p. 234; Pini, 1981, p. 365). Il 4 giugno 1359 l’artista fu tra i testimoni di un atto stipulato nel capitolo del convento di S. Maria dei Servi su ordine del priore Andrea da Faenza insieme ai pittori Berto di Guglielmo della cappella di S. Maria delle Muratelle e Gregorio di Paolo da Venezia (Filippini - Zucchini, 1947, pp. 234 s.). All’8 dicembre dello stesso anno risale l’ultima attestazione in vita di Vitale, quando ne fu registrato il testamento nei Provvisori del Comune di Bologna con la designazione del figlio Francesco a erede universale (Pini, 2010, pp. 33 s., 41 nota 7). Costui era ormai indicato come «q(uondam) magistri Vitalis» in un atto di vendita immobiliare del 31 luglio 1361 (Filippini - Zucchini, 1947, p. 235). Da un successivo atto del 22 settembre 1367 relativo alla medesima transazione si evince l’esistenza di una figlia dell’artista di nome Giovanna, già morta a tale data, così come di una sorella, Franceschina (ibid.).
Dell’attività di Vitale a Udine, a parte il Compianto all’inizio della parete destra di S. Francesco (Santini, 1991), si è preservato un gruppo di affreschi frammentari all’interno del duomo. Nella cappella maggiore, la cui decorazione fu probabilmente voluta dal patriarca di Aquileia Bertrand de Saint-Geniés (Skerl del Conte, 1975, p. 30), è tuttora visibile il registro inferiore di un più vasto ciclo riemerso a partire dal 1968 con Storie di Cristo e dell’Antico Testamento (Casadio, 1990, pp. 60-66). È possibile ricostruire l’impianto iconografico dei dipinti grazie alla replica eseguita da un anonimo pittore vitalesco nel duomo di Spilimbergo prima del 1358 (Zuliani, 1985). Già dal 1911 si conoscevano le Esequie di s. Nicola, dipinte nell’adiacente cappella della Fraternita dei Fabbri, per la cui decorazione sono noti diversi pagamenti all’artista. Ulteriori porzioni delle Storie del santo furono riscoperte tra gli anni Cinquanta e Sessanta (Casadio, 1990, pp. 66-68). Altri frammenti di affresco sono infine riconducibili all’intervento del pittore nella cappella di S. Antonio lungo la navata destra (Skerl Del Conte, 1987). Se in quest’ultima e nella cappella di S. Nicola il fare più appesantito si deve verosimilmente all’ampia presenza di collaboratori, è nei dipinti superstiti dell’abside maggiore che l’artista si lascia pienamente apprezzare per la forza icastica della narrazione, unita a una ricerca di sottili osservazioni naturalistiche. Questi aspetti vengono però calati in un’atmosfera rarefatta, così da essere proiettati su un piano di fiaba aristocratica. Per l’affinità con tali caratteri di stile e la somiglianza compositiva con la Crocifissione al centro della cappella maggiore di Spilimbergo, si può collocare intorno agli anni del soggiorno udinese anche la Crocifissione su tavola del Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid (inv. 425; Casadio, 1990, p. 65).
Il percorso di Vitale prosegue coerentemente negli affreschi dell’abside di Pomposa con la Deesis, gli Evangelisti e le Storie di s. Eustachio, volute dall’abate Andrea da Fano, raffiguratovi come donatore. Le consonanze stilistiche con gli affreschi di Udine e ancor più con il polittico di S. Salvatore, documentato nel 1353, consentono di accogliere la data «1351» iscritta alla base del catino absidale (Volpe, 1999, p. 108). Le pareti della navata centrale sono decorate con Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, l’Apocalisse e il Giudizio finale da una serie di collaboratori, che, se non tutti necessariamente allievi di bottega, appaiono comunque rifarsi al linguaggio vitalesco (Volpe, 1999, pp. 120-124; Benati, 2017, pp. 38-40; del Monaco, 2018b, pp. 36-39). Nel polittico di S. Salvatore emerge una predilezione per gli ornati in metallo prezioso, forse esito del contatto con la pittura veneziana, sulla quale è chiaramente esemplata la carpenteria del retablo. Altre opere su tavola riferibili a questi anni sono l’Incoronazione Stoclet del Louvre (R.F. 1996-19) e un gruppo di dipinti per la devozione personale: la Madonna del beato Marcolino (Forlì, convento del Corpus Domini, in deposito presso i Musei S. Domenico), la Madonna col Bambino e angeli nel Museo Poldi Pezzoli di Milano (inv. 1574), la Madonna col Bambino nel Museo civico di Viterbo (inv. 144), la Madonna col Bambino già in collezione Gold a Petts Wood (Bologna, coll. privata), l’Imago pietatis e santi nella Pinacoteca nazionale di Bologna (inv. 6994) e infine il dittico con l’Adorazione dei Magi e l’Imago pietatis e santi diviso rispettivamente tra la Scottish National Gallery a Edimburgo (NG 952) e la Fondazione Longhi di Firenze. Nel dialogo sofisticato tra le figure e il fondo dorato che caratterizza queste tavole sono stati individuati rapporti con i modi dei pittori senesi attivi ad Avignone (Benati, 2010, p. 29). È vero altresì che la conduzione più grafica delle ombre nel dittico Edimburgo-Firenze lascia pensare alla collaborazione con un aiuto, da individuare nel giovane Simone di Filippo (Benati, 1992, p. 44; del Monaco, 2018b, pp. 175 s., 243 s.). Con quest’ultimo artista Vitale si trovò forse a lavorare a pochi metri di distanza anche nella cappella absidale sinistra di S. Maria dei Servi, poi inglobata nel deambulatorio eretto nel 1470, dove restano alcune tracce di decorazione sui pilastri di sostegno della prima campata, tra cui è riferibile al pittore più anziano la Trinità.
L’attività di Vitale nella chiesa servita, che giustifica la sua comparsa come testimone insieme a due probabili aiuti nell’atto rogato presso il capitolo dei frati nel 1359, è rappresentata al massimo grado di qualità dagli affreschi frammentari con Storie della Maddalena e della Vergine, firmati con un monogramma sulla groppa di un cavallo così come nel S. Giorgio giovanile, rinvenuti negli anni Cinquanta nelle prime due campate del lato meridionale del tornacoro (R. D’Amico, in D’Amico - Medica, 1986, p. 61), corrispondenti in origine alla cappella in cornu Epistulae. Gli affreschi preservatisi stupiscono per la preziosità dei materiali impiegati e la dolcezza sopraffina delle stesure, dando ragione a chi ha indicato nella pittura di Vitale uno dei precedenti della civiltà cortese dell’Europa tardo-gotica (Longhi [1935-1936], 1973, p. 97). I dipinti pur frammentari dei Servi risarciscono almeno in parte la nostra conoscenza dell’attività tarda dell’artista nel campo della pittura su muro, altrimenti limitata alla Resurrezione della Pinacoteca, staccata dall’arcosolio sepolcrale dei Lambertini, edificato dopo il 1352 nel chiostro dei Morti di S. Francesco, dove fu scoperta nel 1935 (M. Medica, in D’Amico - Medica, 1986, pp. 129-131) e alla Testa di Cristo crocifisso in S. Martino, parte di una più ampia scena della Crocifissione (del Monaco, 2018a, p. 17).
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