vita
Il termine occorre in tutte le opere, con oltre 280 presenze complessive e indici di frequenza uniformi nelle varie opere, in stretta connessione con alcuni fra i temi più significativi del pensiero e della poesia di D.; è attestato anche nel Fiore ma non nel Detto.
1. La v., anzitutto, è sentita come necessariamente antitetica alla morte (Cv IV VIII 13 lo non vivere non offende la vita, ma offende quella la morte) e come non appartenente ai composti inorganici (§ 14 le pietre non sono subietto di vita). Il richiamo alla definizione aristotelica secondo cui vivere [cfr.] è l'essere dei viventi (VII 11), indica il complesso delle operazioni (vegetare, sentire e ragionare) in cui la v. si attua. Naturalmente, il termine è usato in modo del tutto proprio con riferimento agli animali (If XXIV 109 la fenice... / erba né biado in sua vita non pasce) o alle piante: Pg I 104 null'altra pianta... vi puote aver vita; XVIII 54 si dimostra... per verdi fronde in pianta vita (qui vale piuttosto " vitalità ").
Come ha ampiamente illustrato B. Nardi (L'arco della vita, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967, 110-138), l'attenzione dantesca si è piuttosto rivolta all'analisi del processo della generazione (v.) della v., attribuito, con una dottrina di sostanziale derivazione aristotelica anche se aperta a influenze neoplatoniche e astrologiche, all'influenza dei cieli (Cv IV XXIII 6 la nostra vita... ed ancora d'ogni vivente qua giù, è causata dal cielo) anzi, con maggior esattezza, al moto del Primo Mobile, senza il quale non sarebbe qua giù né generazione né vita d'animale o di piante (II XIV 17). A sua volta, il cielo, quanto... più è presso al cerchio equatore... ha più movimento e più attualitade e più vita e più forma (III 15), attua in maggior grado le proprie possibilità. D'altra parte, è il sole a esser padre d'ogne mortal vita (Pd XXII 116), in quanto co li bei raggi infonde / vita e vertù qua giuso / ne la matera sì com'è disposta (Rime LXXXII 100), cioè fa passare all'atto di v. e di virtù la materia a ciò potenzialmente disposta; e si confronti in proposito anche Cv III XII 8 Lo sole tutte le cose... vivifica.
Restringendo il discorso alla v. umana, il vocabolo ricorre nel passo del Convivio, dov'è descritto il processo generativo: il seme maschile, quando cade nella matrice, porta con sé la virtù dell'anima generativa, la virtù del cielo e la virtù degli elementi legati, o complessione (cfr.), e dispone la materia (il sangue mestruale) alla virtù formativa, e questa prepara li organi a la vertù celestiale, che produce de la potenza del seme l'anima in vita (IV XXI 4), cioè l'anima sensitiva (v. FORMATIVO); l'anima intellettiva è direttamente infusa nel corpo dalla somma bontà di Dio: vostra vita sanza mezzo spira / la somma beninanza, Pd VII 142; e così in II 141 (per tutto ciò v. ANIMA).
Il tema della complessione è più ampiamente ripreso in rapporto con quello dell'arco della vita. La complessione, o temperamento individuale, è il risultato della mescolanza dei quattro elementi e delle loro proprietà (caldo, freddo, secco e umido) che entrano nella conformazione dell'organismo umano; le proprietà elementari possono combinarsi in maniera e secondo proporzioni assai diverse, di guisa che ogni organismo possiede una sua propria complessione individuale, e quindi una durata di v. diversa: però che l'umido radicale... più ha durare [in uno] che in un altro effetto - lo qual è subietto e nutrimento del calore, che è nostra vita -, avviene che l'arco de la vita d'un uomo è di minore e di maggiore tesa che quello de l'altro (Cv IV XXIII 7).
La rappresentazione del corso della v. come una parabola (Cv IV XXIII 6 tutte le [terrene] vite (e dico [terrene], sì de li [uomini] come de li altri viventi), [mon]tando e volgendo, convengono essere quasi ad imagine d'arco assimiglianti) è giustificata da D. con un richiamo alla dottrina aristotelica: § 8 lo maestro de la nostra vita Aristotile... parve volere che la nostra vita non fosse altro che uno salire e uno scendere (cfr. in proposito B. Nardi, op. cit., pp. 112 e 119). In questo contesto si colloca l'affermazione, secondo cui la umana vita si parte per quattro etadi. La prima si chiama Adolescenzia, cioè ‛ accrescimento di vita ' (XXIV 1), la seconda, o gioventute, è colmo de la nostra vita (XXVI 3), rappresenta cioè il punto sommo dell'arco, la terza è la senettute, oltre la quale rimane de la nostra vita forse in quantitade di diece anni, o poco più o poco meno (XXIV 5), che costituiscono il senio, il momento decrescente della vita. Per questo Cristo, per quanto, se fosse vivuto lo spazio che la sua vita poteva secondo natura trapassare (§ 6), avrebbe potuto vivere ottantun anni, volle morire nel suo trentaquattresimo anno perché a trentacinque anni questa nostra vita è al sommo (XXIII 10), e a lui non conveniva che il suo corpo iniziasse il processo di decadenza. E si vedano ancora IV Le dolci rime 136 (ripreso in XXIII 5, XXVIII 1), IX 16, XXIII 2 e 11, XXIV 3, 5 (prima occorrenza) e 7; e I XI 8, III XIV 8 e 14. E così, con riferimento all'età raggiunta da D. al momento di essere esiliato, nell'accenno a Firenze, dove nato e nutrito fui in fino al colmo de la vita mia (I III 4). Per indicare il corso della v. ricorre anche la metafora del ‛ cammino '. Se in If I 1 questa è usata per indicarne la metà verso il trentacinquesimo anno, più frequentemente essa implica un'allusione indiretta alla caducità della v. terrena in confronto alla durata eterna della v. ultraterrena; così in Cv III XV 9, e 18 nel cammino di questa brevissima vita; IV XII 15, Pg XX 39 lo cammin corto / di quella vita ch'al termine vola. Nonostante l'apparente analogia, il tropo ha valore diverso in If X 132 da lei saprai di tua vita il vïaggio, dove si allude alle " vicende future " che D. dovrà affrontare e che gli saranno rivelate, come Virgilio suppone, da Beatrice. Senso ancora diverso è quello di Cv IV XXIV 12 l'adolescente, che entra ne la selva erronea di questa vita, non saprebbe tenere lo buono cammino, se da li suoi maggiori non li fosse mostrato: qui il passo si riferisce al comportamento, al modo di agire e non al processo vitale (e così in V 17, XII 8, XVI 5); per Rime CVI 26, v. MORTE.
Secondo la medicina del tempo, il cuore è sede della vita e dello spirito (v.) vitale: esso si forma dallo spirito naturale proveniente dal fegato e si propaga tramite le arterie a tutto l'organismo, provvedendo alla v. di esso. A questa dottrina si richiamano i passi di Vn II 4 lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare... fortemente; Rime LXVII 36 [l'anima] Ristretta s'è entro il mezzo del core / con quella vita che rimane spenta; Rime dubbie XI 13 Allor comincia a pianger dentro al core / lo spirito vezzoso de la vita.
2. Vita nova (Pg XXX 115) è propriamente l'età giovanile, il periodo della giovinezza. La stessa espressione, apposta nella forma latina in Vn I, ne costituisce il titolo che, nella grafia Vita Nuova (adottata dall'edizione critica di M. Barbi) è citato in Cv I I 16, II II 1, XII 4.
La trama del racconto si apre con l'indicazione del periodo di tempo nel quale Beatrice era in questa vita già stata (Vn II 2) quando D. la vide per la prima volta, e si conclude con l'auspicio del poeta che la sua vita duri per alquanti anni (XLII 2) per aver modo di esaltare degnamente la gentilissima. Altre occasioni all'uso del vocabolo sono offerte dalla narrazione della morte del padre di Beatrice che, di questa vita uscendo, a la gloria etternale se ne gio (XXII 1), dalle meditazioni di D. infermo (XXIII 21 29 io pensava la mia frale vita, / e vedea 'l suo durar com'è leggiero; e così al § 3 ritornai pensando a la mia debilitata vita), dal turbamento suscitato nell'animo dall'incontro con la donna gentile ... apparita forse per volontade d'Amore, acciò che la mia vita si riposi (XXXVIII 1). Ma il tema dominante è quello dello struggimento provocato dalla passione amorosa, delle trepidazioni, smarrimenti, angosce che la vicinanza della donna amata e Amore stesso suscitano in D.: Amor m'assale subitanamente, / sì che la vita quasi m'abbandona (XVI 8 6); alla presenza di Beatrice, egli si sente a l'estremitade de la vita condotto (XIV 2); anzi: fuoro sì distrutti li miei spiriti per la forza che Amore prese... che non ne rimasero in vita più che li spiriti del viso (§ 5) e si vedano ancora XIII 1, XIV 8 e 14, XVI 3 e 5; persino l'esempio di VII 4 9 Amor... / mi pose in vita... dolce e soave, non si sottrae a questa tematica perché quella dolcezza è ormai perduta (cfr. vv. 2-3 guardate / s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave). Questa sofferenza è acuita dalla notizia della morte di Beatrice (XXXI 15 60 quale è stata la mia vita, poscia / che la mia donna andò nel secol novo, / lingua non è che dicer lo sapesse; § 10 27) né, a lenire il ‛ travaglio ' de l'acerba vita (§ 16 65; e così XXXII 6 12), vale la pietà della Donna gentile: la v. del poeta rimane vile (XXXV 3) e oscura (§ 6 6), anche quando uno spiritel novo d'amore... / e la sua vita, e tutto 'l suo valore, / mosse de li occhi di quella pietosa (XXXVIII 10 12).
Motivi analoghi sono largamente presenti anche nelle Rime. La consapevolezza del dominio di Amore (CIV 4 Amore / ... è in segnoria de la mia vita) si risolve nell'accettazione del servizio reso alla donna amata (L 43 sol per voi servir la vita bramo; e così in Rime dubbie VIII 2) e nella necessità interiore di rimanerle fedele fino alla morte (VIII 13 questa superba / convegno amar fin che la vita spira; Rime C 52).
Traluce qua e là la speranza che questa fedeltà venga ricambiata (Rime dubbie III 5 12 Amor... mi rammenta / la dolce mano e quella fede pura / che doveria mia vita far sicura) e che uno sguardo di Madonna conforti il poeta (Rime XCI 14 io l'addimando per aver più vita / da li occhi che nel lor bello splendore / portan conforto ovunque io sento amore; e così al v. 48 e in LXVI 12, XC 20); ma su tutti dominano i temi del tormento d'amore (XC 50 guarda la vita mia quant'ella è dura, / e prendine pietate; Rime dubbie II 4) e del rischio di morire per una passione non ricambiata: Rime LXXXVII 21 io che per veder lei mirai fiso, / ne sono a rischio di perder la vita; CXVI 48 Qual io divegno sì feruto, Amore, / sailo tu, e non io, / che rimani a veder me sanza vita. E così in LXVII 30, LXXXIX 6 e 13, XC 64, CIII 23 e 41; Rime dubbie VII 6, X 2 e 10, XXVII 7, XXVIII 2 e 10.
Oltre ai temi dottrinari già illustrati, sono identificabili nel Convivio altri motivi unitari intorno ai quali è possibile raccogliere gli esempi del vocabolo.
Se la trasfigurazione dell'amore per la Donna gentile in contemplazione della filosofia offre poco più di uno spunto in II Voi che 'ntendendo 14 (Suol esser vita de lo cor dolente / un soave penser, ripreso in IX 1) e 44 (quella bella donna che tu senti, / ha transmutata in tanto la tua vita, / che n'hai paura; e così, nella stessa canzone, al v. 7 [ripreso in VI 5], in II 2, VII 5 e 9, e in III I 1); larga parte ha, invece, il tema della v. intesa come esercizio della facoltà più alta dell'uomo, la ragione (v.): II VII 3 quando si dice l'uomo vivere, si dee intendere l'uomo usare la ragione, che è sua speziale vita e atto de la sua più nobile parte, e I 3 coloro che non hanno vita di scienza e d'arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre: senza di esso la v. è misera (I I 10). E poiché si riconosce che si parte da l'uso del ragionare chi non ragiona lo fine de la sua vita (IV VII 12), problema centrale della razionalità umana diventa appunto l'identificazione di questo fine; e che, per D., si tratti di un problema che investe tutto il genere umano è confermato dal fatto che l'espressione la umana vita (o la vita umana) ricorra quasi esclusivamente in relazione a questo tema specifico (IV VI 7, 9 e 20, IX 1, XII 18).
Tale fine è identificato nell'acquisto della felicità (IV 1 la umana civilitade... a uno fine è ordinata, cioè a vita felice), consistente, in armonia alla dottrina aristotelica, nella operazione secondo virtude in vita perfetta (XVII 8; e così in III XV 12) e promossa dall'accettazione della Morale Filosofia, senza la quale non sarebbe generazione né vita di felicitade (II XIV 18; si vedano ancora, per spunti analoghi, I VIII 12 [due volte], IV XXIV 9, XXV 1, 4 e 11).
Ma l'uomo può vivere secondo virtù in due modi (I V 11 dicemo uomo virtuoso che vive in vita contemplativa o attiva); di conseguenza, due sono i ‛ tipi ' di felicità (v.) che l'uomo può conseguire quaggiù: è da sapere che noi potemo avere in questa vita due felicitadi, secondo due diversi cammini, buono e ottimo, che a ciò ne menano: l'una è la vita attiva, e l'altra la contemplativa; la quale, avvegna che per l'attiva si pervegna... a buona felicitade, ne mena ad ottima felicitade e beatitudine, secondo che pruova lo Filosofo nel decimo de l'Etica (IV XVII 9). Il discorso dantesco riprende così la distinzione classica tra i due ideali che l'uomo, vivendo secondo ragione, e dunque in modo virtuoso, può conseguire: l'ideale della v. attiva (il βίος πρακτικός dei Greci) e quello della v. contemplativa (βίος θεωρητικός), e riafferma la superiorità del secondo sul primo (per cui v. Mn I III 9-10), confortato non solo dall'Etica a Nicomaco di Aristotele (X 7-9; v. BEATITUDINE; FELICITÀ), ma anche dalla tradizione esegetica del Nuovo Testamento. Nel Vangelo infatti l'ideale della contemplazione è presentato come superiore a quello della v. attiva e indicato in Maria di Betania (v.) che secondo Luc. 10, 38 ss. (citato da D. al § 10) sedeva ai piedi del Salvatore ascoltando le sue parole e scegliendo così " optimam partem... quae non auferetur ab ea ", mentre la sorella Marta (v.) " satagebat circa frequens ministerium ", pure considerato " necessarium " da Cristo; l'episodio evangelico è interpretato moralmente (v. SCRITTURA: Sensi della Scrittura) da D. nel senso che volse lo nostro Segnore in ciò mostrare che la contemplativa vita fosse ottima, tutto che buona fosse l'attiva; da ciò il poeta conclude che la felicitade de la vita contemplativa è più eccellente che quella de l'attiva (§ 11); la seconda infatti è quasi imperfetta perché la vita attiva si risolve ne le operazioni de le morali virtudi, mentre la prima è perfetta quasi in quanto consistente nelle operazioni de le intellettuali (XXII 18). Inoltre, al fine di dimostrare che l'uso speculativo dell'intelletto è più pieno di beatitudine (anche se in questa vita perfettamente l'uomo non può averlo se non in quanto... mira Dio, sommo intelligibile e perciò sommo bene dell'intelletto, attraverso i suoi effetti, § 13), e di conseguenza che la beatitudine (cfr.) della v. contemplativa è superiore a quella della vita attiva (§ 14), D. utilizza l'episodio evangelico (Marc. 16, 2 ss.) delle tre Marie che, recatesi al sepolcro di Cristo e non trovato il Salvatore, furono esortate da un angelo a riferire a Pietro e agli altri discepoli che Cristo li avrebbe preceduti in Galilea: le tre Marie rappresentano infatti le tre sette de la vita attiva (§§ 15 e 16) cioè Epicurei (v.), Peripatetici (v.) e Stoici (v.), che non trovano la beatitudine (il Salvatore), la quale invece precederà noi in Galilea, cioè ne la speculazione (§ 16). la distinzione tra v. attiva e v. contemplativa e l'affermazione del primato della seconda sulla prima è ripreso in II IV, a proposito dell'identificazione tra le Intelligenze separate, di angeli dotati di v. contemplativa accanto alle Intelligenze motrici, che godono della v. attiva: con ciò sia cosa che... l'umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com'è quella de la vita civile, e quella de la contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle [le Intelligenze angeliche] avere la beatitudine de la vita attiva, cioè civile, nel governare il mondo, e non avessero quella de la contemplativa (§ 10, e due volte al § 12); e ancora: non è contra quello che par dire Aristotile nel decimo de l'Etica, che a le sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loro, pure a ia speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mondo governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa ne la speculazione de li motori (§ 13; per questo luogo, v. SPECULATIVO; per i rapporti contemplazione-speculazione, v. SPECULAZIONE).
Nella Commedia il nucleo essenziale intorno a cui con maggior frequenza s'incentrano gli esempi di v. è dato dall'antitesi fra la condizione ultraterrena delle anime e l'esistenza umana, a seconda degli episodi di volta in volta rivissuta nella memoria come motivo di nostalgia o di consapevole superamento dalle sue seduzioni.
Questo motivo, naturalmente, è presente anche nel Convivio, dove, anzi, la fede nell'aldilà (IV XXVIII 17) e nella salvezza (II V 2 Cristo... fu morto da noi, per che ci recò vita) è affermata a più riprese come un'indefettibile certezza interiore suffragata dalla ragione; lo dimostrano VIII 8 intra tutte le bestialitadi quella è stoltissima, vilissima e dannosissima, chi crede dopo questa vita non essere altra vita (altri due esempi al § 11); III VII 15 la nostra fede... per la quale campiamo da etternale morte e acquistiamo etternale vita (e l'espressione vita eterna, o altre consimili, torna anche in Vn XXXIV 1, Cv IV XXVIII 5, Pg XXX 18, Pd III 38). Quel che muta nel poema, è la prospettiva, l'angolazione visuale, il modo di porsi dello scrittore di fronte alle due realtà, l'esistenza terrena e l'aldilà, che egli considera.
Se ne ha una prova anche nel lessico: nel Convivio, l'espressione la nostra vita (IV XII 19, XVII 4 [due volte], XXV 3) indica la v. terrena, in Pd VI 125 è invece riferita alla condizione dei beati; lo stesso può dirsi per questa vita che designa l'esistenza umana in Cv III IV 10, VI 7, XIII 3, XV 9, IV XXII 13 e, eccezionalmente, in Pd XXX 29, mentre è usata a proposito della beatitudine celeste in XV 62. Perciò Forese e Adriano V alludono alla loro v. terrena con la locuzione quella vita (Pg XIX 110, XXIII 118); per la stessa ragione D., per esprimere la sua speranza di salvarsi, usa nel Convivio le parole l'altra vita (II VIII 12 e 16), mentre Vanni Fucci e Stazio se ne servono per ricordare il periodo trascorso in terra (If XXIV 135, Pg XXII 32). Una diversa, ma analoga, sfumatura semantica è percepibile in Pd IX 42 vedi se far si dee l'omo eccellente, / sì ch'altra vita la prima relinqua, dove la prima è la v. terrena (e così in Pg VIII 59, come in If VII 41 la vita primaia), mentre altra vita è la sopravvivenza della fama nella memoria dei posteri (allo stesso tema si allude in Pd XVII 98 poscia che s'infutura la tua vita). Così, a seconda del contesto, vita futura indica l'esistenza ultra-terrena dopo la morte (If VI 102) o le ulteriori vicende della v. terrena di D. (Pd XVII 22). Vada qua anche la vita presente / d'i miseri mortali (XXVIII 1), l'attuale corruzione degli uomini.
Il contesto assume una più ricca validità espressiva allorquando a v. è attribuito un aggettivo qualificativo. In If XII 50 Oh cieca cupidigia e ira folle, / che sì ci sproni ne la vita corta, / e ne l'etterna poi sì mal c'immolle!, l'aggettivazione è di per sé rivelatrice di un giudizio morale sull'inanità della v. terrena, qualora la si ponga a confronto con quella dell'aldilà, che non può non promanare dalla coscienza etica e religiosa di D. (e così, Pd XVI 81 le vite son corte, l'esistenza umana dura poco). Quando invece nell'Inferno si allude all'esistenza terrena definendola vita serena (If VI 51, XV 49), bella (v. 57) e lieta (XIX 102), sia D. personaggio o un dannato a parlare, o quando, nel Purgatorio, Adriano V ricorda l'illusoria felicità della vita bugiarda (Pg XIX 108), la qualificazione contribuisce a definire la psicologia dei dannati o degli spiriti espianti, in quanto delinea il loro modo di ricordare il loro passato di viventi.
Anche usato assolutamente, il vocabolo può alludere al modo con cui si vive, agli aspetti che la v. può assumere per effetto di particolari contingenze: Pg VI 70 di nostro paese e de la vita / ci 'nchiese; Pd III 108 Iddio si sa qual poi mia vita fusi; e così in Cv IV XII 8, XXVIII 9; Fiore XCI 6, CI 2 (dove anzi ricorre il plurale vite per indicare i vari modi di vivere).
Più frequentemente, questi aspetti vengono precisati mediante opportune determinazioni, come quando i chierici sono definiti gente onesta / di vita spiritale (Rime LXXXIII 81), o Falsembiante dichiara di far mostra ched i' faccia vita agresta (Fiore CXXI 6), cioè di " vivere in campagna ".
Questo procedimento ricorre largamente nella Commedia, con riferimento ai valori morali, o alla mancanza di essi, che caratterizzarono l'esistenza terrena degli spiriti: If VII 53 la sconoscente vita che i fé sozzi; XXIV 124 Vita bestial mi piacque e non umana; XIII 135 la tua vita rea; Pg VII 110 sanno la vita sua viziata e lorda, e 130 la semplice vita di Arrigo d'Inghilterra; XIII 107 la vita ria di Sapia; XVIII 138 sé stessa a vita sanza gloria offerse; Pd III 97 Perfetta vita e alto merto inciela santa Chiara; XI 95 e XIII 32 [la] mirabil vita di s. Francesco. In senso lievemente diverso, la vita pura e disonesta (XXVI 140) è il periodo di tempo trascorso da Adamo nel Paradiso terrestre rispettivamente prima e dopo il peccato originale. E si veda ancora vita onesta (Fiore XCIII 2), santa vita (CXXX 2).
Molte sono le locuzioni in cui entra a far parte il termine. In sua vita (If XVI 38), in vita (Pg IV 131, Pd XIX 75) e a la tua vita (Fiore LXXV 10) alludono al periodo di tempo in cui il soggetto era vissuto o vive (ma in If IV 77 L'onrata nominanza / che di lor suona sù ne la tua vita, l'espressione indica " la vita terrena ", in cui tuttora D. vive). Molte considerano la v. nel suo svolgimento, in senso cronologico: intrare nel mare di questa vita (Cv IV XXVIII 2), " nascere "; dal principio de la... vita (I XI 6, XIII 8), " dagli anni della fanciullezza o dell'adolescenza "; lo processo de la... vita (II 14), " il suo svolgimento "; ‛ essere ' in vita (IV XXIV 17) e star... in vita (Fiore LXXXV 6), " vivere "; lunga vita ancora aspetta (If XXXI 128), " deve vivere ancora a lungo "; Poca vita mortal m'era rimase: (Pd XXI 124), " ero vicino alla morte "; l'orlo de la vita (Pg XI 128), e lo stremo / de la... vita (XIII 125), " il momento della morte "; lo fine di questa vita (Cv IV XXVIII 7), " la morte "; ‛ partire ' d'erta vita (Cv I V 9, II VIII 5, IV XXVIII 19 [due volte]), ‛ uscire ' di vita (If XX 58, Pg V 56) e ‛ mutare ' vita (XXX 125), " morire "; e così, in un contesto metaforico, cadere... di vita in morte (Rime CVI 26); dopo la vita (Cv II X 10) " da morti ".
In un altro gruppo di esempi, il riferimento alla durata della v. si precisa in circostanziati particolari del suo svolgimento o della sua fine: la lunga esperienza de la vita (Cv IV XXVII 16); ‛ consumare ' (If XXIV 49) o ‛ perdere ' (Pg XXIII 3) sua vita, " trascorrerla in occupazioni futili "; li Deci e... li Drusi... puosero la loro vita per la patria (Cv IV V 14), " la sacrificarono per essa "; amor di nostra vita dipartille (If V 69), " morirono per amore "; chi a vita ci spense (v. 107), " chi ci uccise ", e così molti di vita... priva (Pg XIV 63); chi... vita rifiuta (I 72), " chi si uccide "; reducere in vita (Cv IV VII 4), " far risorgere da morte ". Anche, in un contesto metaforico, donar vita (Rime LXXXIII 108).
Il riferimento ai mezzi materiali di cui si dispone per vivere è piuttosto raro nelle opere certamente autentiche: Da queste due... convene / prender sua vita e avanzar la gente (If XI 108), è necessario che l'uomo tragga " i mezzi per sostentarsi " e per far progredire il genere umano da queste due, cioè dalla natura e dall'industria; Pd VI 141 se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe / mendicando sua vita a frusto a frusto, / assai lo loda, e più lo loderebbe; e vada qui anche Cv IV XIII 12 Oh sicura facultà de la povera vita! (in traduzione da Phars. V 527 " O vitae tuta facultas / pauperis angustique laris ").
La concretezza realistica che caratterizza il poemetto spiega perché esempi analoghi siano più numerosi nel Fiore: 'n trar sua vita mette pena e ana (XC 14), " guadagna faticosamente la sua vita "; CXIV 2, CXV 7; van cherendo lor vita per Dio (CXIII 2), " vanno elemosinando "; i' non avea che mia vita ir passando / potesse (CXX 3), " non avevo altri mezzi " per mantenermi; e si veda inoltre CXIX 12. Del resto, anche al di fuori da questi spunti, il tessuto narrativo del Fiore offre il destro per un fraseggiare colorito e vivace, d'intonazione popolaresca: menar vita gioiosa (CLIV 11; un esempio analogo in LXXX 10); è vita troppo dura, / quando tu hai paura di morire (CCXI 13); e' fu de la vita in avventura (CCXII 4), " corse il pericolo di perderla "; con lo stesso senso: ‛ essere ' a gran rischio de la vita (CCXV 4; v. anche CLXXX 5); campar la vita (CCVI 6), " riuscire a salvarla ". In formule deprecative: Se... Cristo ti dà vita (CLVIII 12), se Dio ti dona vita (CLXIV 3). Invece: sermonar la vita a tutti i Santi (XVII 8), narrarne " la biografia ".
Un atteggiamento concettuale del tutto diverso rende disponibile il vocabolo a esprimere " lo stato ", " la condizione " delle anime nell'aldilà. Anche in questo caso, la proprietà e la finezza dell'aggettivazione consente di percepire in quale misura la fede religiosa di D. gradui la miseria dei dannati, la felicità, pur nelle pene, degli spiriti espianti e la perfezione di gioia dei beati. Per i pusillanimi posti nell'Antinferno la lor cieca vita è tanto bassa, / che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte (If III 47); miglior vita (Pg XVI 123, XXIII 77) è quella del Purgatorio (e si noti la pregnanza implicita nell'uso del comparativo: ‛ migliore ' di quella terrena, ma non ancora assolutamente gioiosa); vera vita (Pd XXXII 59), vita intègra d'amore e di pace (XXVII 8), dolce vita (IV 35, XXV 93) è solo quella del Paradiso; di qua la grandezza della grazia concessa a Traiano, il quale poté fare esperïenza / di questa dolce vita e de l'opposta (XX 48), cioè dello stato dei beati e di quello dei limbicoli. Altrettanto significativi di questa idoneità del termine a esser riferito alla sopravvivenza dell'anima sono due esempi inseriti in un contesto dottrinario: come, con il peccato originale, l'uomo si torse / da via di verità e da sua vita (Pd VII 39), cioè si allontanò dalla finalità sovrannaturale per cui era stato creato, così a Dio convenia con le vie sue / riparar l'omo a sua intera vita (v. 104): solo Dio, con la sua misericordia e giustizia, avrebbe potuto reintegrare l'uomo nella pienezza della sua condizione primitiva.
Poiché l'anima è il principio vitale da cui il corpo riceve la sua attualità di corpo umano, v. è usato talvolta come sinonimo di " anima " con riferimento agli spiriti beati del Paradiso; l'esclusività delle appartenenze alla sola terza cantica non è priva di significato, in quanto in tal modo il vocabolo pregnantemente dà rilievo al fatto che l'anima umana attua pienamente sé stessa solo nella beatitudine eterna; Pd IX 7 già la vita di quel lume santo / rivolta s'era al Sol che la riempie (" l'anima di Carlo Martello, che è per così dire il principio vitale del lume ", Sapegno); XII 127 Io son la vita di Bonaventura / da Bagnoregio; e così in XIV 6, XX 100, XXI 55, XXV 29.
A quanto è stato detto sembra però contraddire un passo della preghiera di s. Bernardo alla Vergine in favore di D.: Or questi, che da l'infima lacuna / de l'universo infin qui ha vedute / le vite spiritali ad una ad una, / supplica a te (Pd XXXIII 24). Il passo è discusso, in quanto, a seconda che per lacuna (v.) s'intenda tutto l'Inferno o la sola ghiacciaia di Cocito, nelle vite spiritali dovranno essere comprese tutte le anime dei tre regni dell'oltretomba o solo quelle del Purgatorio e del Paradiso; il Mattalia, anzi, precisa: " l'attuale vivere nell'oltretomba degli angeli, sostanze pure; e degli uomini in condizione di ‛ spiriti ', di sostanze momentaneamente separate dalla loro materia o corpo ".