Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Coluccio Salutati, uomo politico e intellettuale fiorentino, potrebbe essere definito un “filosofo della libertà”: egli sostiene infatti con forza la libertà dell’uomo contro ogni forma di determinismo, esalta le opere umane, difende il valore della libertà politica contro la tirannia. A questi temi si uniscono l’amore per le lettere, lo studio e la diffusione delle opere degli antichi. Tutto ciò fa di Salutati uno dei padri dell’umanesimo.
Tra attività politica e studio
Salutati incarna un modello di intellettuale diffuso in età umanistica, diviso tra attività politica e studio. A rendere ancora più emblematico Salutati, è l’esaltazione che egli fa della vita attiva contrapposta a quella contemplativa, la difesa della libertà come caratteristica dell’uomo e come condizione politica, di cui individua il modello nell’antica Roma.
Nato nel 1331 a Stignano in Valdinievole, compie studi notarili e di retorica a Bologna, all’epoca ancora uno dei centri principali per lo studio del diritto, dove era riparata la sua famiglia. Lascia Bologna nel 1351; esercita l’attività notarile in vari centri della Toscana e è cancelliere a Todi e a Lucca. Nel 1374 diviene cancelliere della Repubblica fiorentina, una carica che tiene fino alla morte. Si batte con forza per la libertà di Firenze dallo Stato di Milano, all’epoca in piena espansione territoriale. Nel contesto di questa lotta elabora la sua dottrina della libertas fiorentina. Morì nel 1406.
Salutati umanista
Salutati è un convinto assertore del valore dello studio degli antichi. Egli ritiene che debba essere la base di ogni attività umana, che fornisca una formazione utile in ogni campo, che indichi valori fondamentali come quello della libertas. Queste convinzioni, che ne fanno uno dei primi umanisti, emergono in molte sue scelte. Egli fa istituire nello Studio fiorentino una cattedra di greco, alla quale chiama il bizantino Manuele Crisolora (1350 ca. - 1415), contribuendo alla riscoperta in Italia della lingua di Platone (428/427 a.C. - 348/347 a.C.) e Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.); va egli stesso alla ricerca di opere degli antichi romani, recuperando le Lettere ai familiari di Cicerone da manoscritti di Vercelli e Verona. Contro questa diffusione del sapere degli antichi si scagliano quanti, come il cardinale Giovanni Dominici (1357-1419), appartenente all’ordine dei Domenicani, giudicano tale studio una causa di corruzione morale. Per Salutati, al contrario, proprio la lettura degli antichi favorisce il consolidarsi dei valori morali, primo fra tutti quello dell’impegno nella dimensione della civitas. L’opera di Salutati ha un’importanza cruciale per lo sviluppo dell’umanesimo: al suo insegnamento e al suo esempio si ispirano Poggio Bracciolini (1380-1459) e Leonardo Bruni (1370 ca. - 1444).
Uno degli aspetti in cui si manifesta l’interesse per gli studia humanitatis e che unisce insieme l’interesse per la parola scritta e per le azioni umane riguarda la poesia. Salutati in questo contesto mette l’accento sul valore della poesia, che inserisce tra le arti del linguaggio, facendole spazio all’interno del trivio. Il compito del poeta, scrive nel De laboribus Herculis, è lodare o criticare gli uomini e le loro gesta. Il poeta deve essere un uomo di grande moralità per valutare le azioni altrui.
L’attenzione per la parola conduce Salutati lontano dalle prassi universitarie, dalle dispute e dall’astrattezza dei termini. Le parole, infatti, “sono nate insieme alle cose”: occorre recuperare questo valore profondo che è stato perso o è mascherato degli usi dei termini. Conoscere bene le parole e il loro significato non solo è fondamentale per capire la parola di Dio, ma indica anche un orientamento della filosofia di Salutati, ossia la volontà di recuperare la concretezza dei discorsi e un rapporto più stretto con le cose e con l’azione umane.
Vita activa e vita contemplativa
Le opere a cui Salutati pensa hanno a che fare con la grandezza della città, con la difesa della libertà, con la realizzazione terrena di grandi imprese e della virtù.
La valorizzazione delle opere umane si esprime in forma polemica nel De nobilitate legum et medicinae, dove contrappone il valore delle leggi a quello della medicina, ossia della ricerca naturale. Secondo Salutati le leggi possiedono un primato per molte ragioni. Innanzitutto esse possono essere conosciute pienamente, perché sono state promulgate dagli uomini; le leggi della natura, studiate dalla fisica, sono invece incerte, dipendono dall’esperienza, che è fonte di inganno. Le leggi della città sono un mezzo fondamentale per regolare la vita degli uomini, per permettere la sopravvivenza della città e per raggiungere il bene comune. Proprio in quanto strumento per operare il bene, esse ci rendono dei collaboratori di Dio. È da aggiungere che Salutati ritiene che le leggi umane siano o debbano essere ispirate da Dio. Questa preferenza di Salutati segnala bene alcuni caratteri dell’umanesimo come il disinteresse per la ricerca naturale, il mettere al centro gli uomini e i problemi della convivenza: “… la vita attiva, in quanto si distingue dalla speculativa, è da preferirsi in ogni modo alla speculativa, così nel pellegrinaggio mondano come nella patria celeste” (De nobilitate legum et medicinae, a cura di E. Garin, Vallecchi, Firenze 1947, pp. 191 e 193).
Inoltre Salutati si mostra convinto dell’importanza dell’azione concreta e dell’operosità umana, tanto per ottenere il bene comune in terra quanto per guadagnarsi la salvezza. Da questo punto di vista, Salutati non contrappone la vita attiva e l’interesse per le cose di questo mondo ai temi religiosi della salvezza e dell’obbedienza a Dio, ma traccia invece una stretta connessione. Il bene comune da ricercare è un “bene divinissimo”. L’uomo saggio per Salutati è insomma un servitore di Dio che opera nel mondo e qui profonde i suoi sforzi. Il prototipo, benché pagano, è Socrate (469 a.C. ca. - 399 a.C.), filosofo impegnato nella vita civile.
Il primato della volontà sull’intelletto
Il primato delle scienze pratiche su quelle teoretiche e della vita attiva su quella contemplativa trovano una rispondenza nella gerarchia che Salutati stabilisce tra la facoltà della volontà e quella dell’intelletto. Prendendo posizione su un dibattito che a partire dalla definizione del libero arbitrio di Pietro Lombardo (1095 ca. - 1160) come “facoltà della ragione e della volontà”, aveva diviso i filosofi tra sostenitori del primato dell’intelletto (come Tommaso d’Aquino, 1225-1274) e sostenitori del primato della volontà (come Duns Scoto, 1265-1308, e Guglielmo di Ockham, 1280 ca. - 1349 ca.), Salutati abbraccia questa seconda tendenza, affermando che la “volontà è come l’imperatrice” dell’anima. La volontà mette in moto le altre facoltà, e benché ne riceva indicazioni su che cosa sia meglio fare, non è causata da esse: “la volontà dunque è più nobile dell’intelletto per la dignità del comando” (De nobilitate legum et medicinae, a cura di E. Garin, Vallecchi, Firenze 1947, p. 185). In questa presa di posizione si individua il progetto di valorizzare la libertà dell’uomo e la sua capacità di modificare il mondo in cui vive.
Contro il determinismo astrologico
Nell’esaltazione dell’attività umana Salutati va a caccia delle dottrine che possano limitarla, come l’astrologia. Tale disciplina, infatti, presenta una forma di determinismo, perché prevede eventi e comportamenti umani che dipendono all’influsso sulla terra degli astri, i cui moti osserviamo nel cielo. Dal punto di vista di Salutati, che dedica alla sua critica il De fato, l’astrologia presenta due gravi difetti, uno di esattezza e l’altro di principio. Il primo riguarda i molti errori che a partire dallo scienziato alessandrino Claudio Tolomeo (II sec.) in poi ci sono stati nella conoscenza degli astri. Questi errori mostrano l’inaffidabilità della disciplina. Il secondo errore riguarda la pretesa stessa di fare previsioni che incatenano le scelte dell’uomo: secondo Salutati, non si può dimostrare con la ragione che l’uomo sia libero, ma lo si può provare mediante l’atto di volontà e la percezione che ne ha l’uomo stesso.
La vita monastica e la scelta della povertà
Dopo questa accentuazione della dimensione dell’impegno, può stupire l’attenzione che Salutati dedica al tema della vita monastica. In uno scritto d’occasione il De saeculo et religione, rivolto all’amico Niccolò da Uzzano (1359-1431) in procinto di entrare in monastero, egli mette in luce il valore di questa scelta come rinuncia attiva, accettazione delle prove del mondo, ricerca dell’incontro con Dio. La stessa scelta della povertà viene lodata. Se pure Salutati in molte lettere aveva celebrato i mercanti che trascorrono la loro vita a guadagnare denaro come motivo di grandezza per la città, aveva anche sottolineato come il mercante deve possedere un’etica, fondata sull’onore e sulla parola data: venire meno alla parola data significa ingannare gli altri uomini, ostacolare il commercio, impedire le relazioni sociali. La libertà nei commerci deve andare di pari passo con il mantenimento di un codice di comportamento.
La sete di ricchezza, infatti, può causare la rottura delle amicizie o arrecare una cattiva fama che si ripercuote sulla patria. In questa ottica la nozione stessa di povertà deve essere intesa in modo attento: non è giusto intendere la paupertas, la povertà, che si abbraccia insieme con la vita monastica come inanitas e carentia, ossia come mancanza e bisogno. È solo l’uso comune dei termini che le identifica, perché la paupertas come scelta di vita, è anzi divitiae, ricchezza. Come si può essere poveri se la via che passa attraverso l’abbandono delle ricchezze è quella della perfezione? – sostiene Salutati. In pagine che hanno un forte sapore medievale, per la contrapposizione tra la vita secolare e quella monastica, tra la valorizzazione della ricchezza e la lode della povertà, emerge ancora il tema dell’impegno e dello sforzo che caratterizza la vita activa in Salutati.
La libertà politica
Il pensiero politico di Salutati nasce dalla sua stessa attività di cancelliere. Buona parte delle sue considerazioni ruotano attorno al tema della libertas. Salutati ritiene che Firenze sia erede della libertas romana e debba difenderla contro i nemici, innanzitutto contro i Visconti di Milano, accusati di essere dei tiranni. La libertas è intesa da Salutati in un duplice modo. In primo luogo essa è l’autonomia rispetto a poteri esterni. Una città libera, come Firenze, è una città che non è subalterna ad un potere esterno. Per mantenere questo tipo di libertà, Firenze dovrà lottare contro Milano. Il secondo tipo di libertà si identifica invece con le istituzioni repubblicane. Salutati manifesta una netta preferenza per un sistema di governo in cui vi sia accesso alle cariche per i cittadini, in cui vigano le leggi e non l’arbitrarietà del governante. In questo modo la libertà è sia libertà dei cittadini sia libertà della città: “che cosa vi può essere di più onorevole, di più sicuro che godere della libertà tanto a lungo desiderata?” (Missive, reg. 17, c. 50v, in D. De Rosa, Coluccio Salutati: il cancelliere e il pensatore politico, La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 136). La Milano dei Visconti è invece per Salutati il modello opposto, quello di una città retta da un tiranno che vuol estendere il proprio potere oppressivo anche al di fuori dei confini del suo dominio.
Contro il tiranno
Nel De tyranno (1399-1400) Salutati affronta un tema tradizionale del pensiero politico medievale: la definizione del tiranno e l’individuazione delle modalità di resistenza.
L’opera nasce drammaticamente nel pieno dello scontro tra Firenze e Milano e prende spunto da un quesito che viene posto a Salutati, ossia se Cesare sia stato un tiranno oppure no. La risposta (negativa) prende le mosse da una classificazione delle forme di tirannia, che distingue tra la tirannia ex defectu titutli (ossia quando il governante non ha alcun titolo o diritto al governo) e la tirannia ex parte exercitii (che consiste in un abuso di potere da parte di un governante legittimo). La classificazione deve molto al giurista Bartolo da Sassoferrato (1313-1357) e a Tommaso d’Aquino. Il primo tipo di tiranno, in quanto nemico della città, può essere ucciso da qualsiasi cittadino. Ben diverso è il secondo tipo di tiranno, perché in origine si trattava di un governante legittimo. La resistenza è in questo caso subordinata alle decisione del superiore del governante (o del popolo, se non c’è un superiore). In ogni caso un cittadino non può agire di propria iniziativa, senza un pronunciamento formale dell’autorità: “Perché senza dubbio ogni cittadino è obbligato a servire la Patria, al punto da dover sacrificare alla salvezza dello Stato persino la vita, ciò non significa che esista l’obbligo di garantire l’utile pubblico anche a costo di commettere un delitto” (Coluccio Salutati, Il trattato “De Tyranno” e lettere scelte; a cura di Francesco Ercole, Zanichelli, Bologna 1942, p. 170). Questa posizione esprime sia la paura che l’azione individuale possa trascinare la città nella più completa anarchia sia la grande importanza che Salutati conferisce alle leggi, che sono tanto il segno quanto l’elemento strutturale della civiltà umana.
Coluccio Salutati
La nobiltà delle leggi
De nobilitate legum et medicinae
Ho considerato gli uomini come individui, ed ho visto che l’arte nostra null’altro può fare se non restaurare e rafforzare la natura del loro corpo, onde con maggior facilità ed efficacia cacci le malattie; ho quindi considerato le leggi, il cui compito è di insegnare l’onestà, di proibire l’iniquità, mirabilmente costringendo il volere a non abbandonare la via della giustizia, sia per timore delle pene, sia per amor dell’innocenza, e di tutte le virtù. Ho visto, ho considerato, ho detto fra me: quanto maggiore della nostra è la dignità delle leggi. Noi esaminiamo i corpi degli uomini, come dice il Filosofo [= Aristotele]; ed esse devono scrutare le menti e le anime. Noi curiamo le malattie dei corpi, pur sempre danneggiandoli un poco; esse invece allontanano i vizi rendendo perfette le anime onde li hanno tolti.
C. Salutati, De nobilitate legum et medicinae. De verecundia, a cura di E. Garin, Vallecchi, Firenze, 1947
Coluccio Salutati
L’unione della comunità
Missive
In un libero comune è della massima importanza che i cittadini siano uniti fra loro, che si eliminino i motivi di odio e di risentimento, che si cancellino dalla memoria degli offesi i ricordi di ingiurie ricevute e che tutti vogliano sopportare vicendevolmente i difetti degli altri piuttosto che temere sempre di perdere la libertà e di restare in mezzo a manifesti pericoli.
in Coluccio Salutati: il cancelliere e il pensatore politico, a cura di D. De Rosa, Firenze, La Nuova Italia, 1980
Coluccio Salutati
Domanda ai romani
Lettera a Ser Antonio di Ser Chello
E, innanzi tutto, credete voi, o uomini forti, procreati dal seme dei Romani ed eredi dei Romani, che di fronte al pericolo di una morte non certa, sia lecito abbandonare la città e la patria, anzi per parlare a voi tutti, la vostra patria, che è la città principe della Toscana, e la massima in Italia, e la più illustre al mondo, e che – il più alto decoro di un popolo -, non solo è libera, ma è dovunque genitrice della libertà?
C. Salutati, Il trattato “De Tyranno” e lettere scelte, a cura di F. Ercole, Bologna, Zanichelli, 1942