VISIONE
Storia delle religioni. - La parola, applicata alla storia delle religioni, si riferisce a un insieme di fenomeni assai differenti - dal semplice sogno sino alle forme complesse dell'estasi mistica - e tutti considerati come strumenti di una rivelazione soprannaturale, che secondo i casi può avere origine divina o diabolica ed effetto salutare o terribile. La visione nel senso ristretto della parola rientra nel campo dei fenomeni sensorî, se non sempre ed esclusivamente dell'ordine visuale: per es., il fatto di udire delle voci può essere giustamente classificato fra i fenomeni visionarî. Ma si dànno anche visioni che si possono chiamare intellettuali, o interiori, situate nel campo del pensiero, e che consistono in un'illuminazione, una rivelazione astratta; in tale caso, secondo la metafora usuale, il soggetto vede con gli occhi della mente. Come le forme, variano anche l'intensità, il contenuto, la precisione, il carattere di obiettività della visione. Ora essa rimane indistinta, si limita, per es., alla percezione di una luce viva; ora invece il soggetto è in grado di dare della sua teofania un rendiconto completo: descrive minutamente il personaggio che gli è apparso e non esita a identificarlo con precisione con la tale o la talaltra divinità particolare. L'oggetto della visione non è di necessità un personaggio; può essere anche un avvenimento o una serie di avvenimenti appartenenti al presente, al passato o, nel caso della visione profetica, all'avvenire; in generale questi si presentano al veggente sotto una forma allegorica, che deve poi essere interpretata.
Anche le condizioni nelle quali si verifica la visione mutano assai. La facoltà di essere visionario è in generale il privilegio di temperamenti mistici. Ma esistono dei casi di visioni collettive in cui, per una specie di contagio, il dono di vedere si estende a un gruppo, e persino a tutta una folla. Talvolta anche la visione sembra essere funzione non di una persona ma di un luogo, e assume allora un certo carattere di automaticità: così nel tempio di Asclepio in Epidauro il dio appariva in sogno a tutti coloro che venivano a consultarlo. Anche l'evocazione, mediante la magia, di potenze celesti o infernali, o di personaggi defunti, costituisce un tipo di visione provocata. Un altro tipo ancora è rappresentato dalle visioni rituali, che in taluni misteri dell'antichità classica erano come il coronamento delle cerimonie d'iniziazione.
Il fenomeno visionario assume tutta la sua importanza nelle religioni di tipo primitivo, in cui non è frenato da nessun controllo o discriminazione. Esso perde invece progressivamente tale libertà nelle religioni superiori, specie in quelle che si organizzano secondo principî di autorità e dotate di un'ortodossia: poiché allora il visionario è sorvegliato e considerato con sospetto. Ma il tipo non scompare completamente. La visione accompagna sempre le forme mistiche o profetiche di religione: è previlegio della maggior parte dei fondatori di religioni (per esempio, Maometto), è spesso il punto di partenza di una conversione o di una vocazione e può talvolta assumere un'importanza veramente storica (visione di Costantino).
Teologia cattolica. - Nel linguaggio teologico visione ha un doppio senso soprannaturale che si riferisce alla cognizione di Dio e delle cose divine; cioè cognizione non avuta mediante il semplice uso naturale della ragione umana, ma per via di un'illustrazione soprannaturale, sia questa immaginaria o accompagnata da apparizioni interne o impressioni sensibili esterne, sia meramente intellettuale.
Essa è pertanto un proprio carisma, o gratia gratis data, non dimostrativa perciò e molto meno costitutiva della santità, come la gratia gratum faciens; ma ordinata a far conoscere le perfezioni o i voleri divini o i futuri eventi, come quella concessa ai profeti d'Israele (visio prophetica) nell'Antico Testamento. Più alte, nel Nuovo Testamento, sono le visioni di S. Giovanni (Apocalissi) e quelle di S. Paolo (II, Cor. XII); e di altro genere sono quelle dei mistici, le cui narrazioni, anche se storicamente accertate, non richiedono altra fede che storica e umana.
La visione intuitiva, così detta per antonomasia dai teologi, è invece la sola cognizione di Dio il quale non può vedersi in sé né con gli occhi corporali né con visione immaginaria o mistica, ma solo con l'intelletto, e la ottiene l'uomo, non più "viatore" ma "comprensore" cioè beato, nel termine raggiunto del suo ultimo fine, che si dice appunto "visione beatifica". Essa è in fatti "cognizione immediata ed intuitiva (ma non comprensiva per la limitazione della mente umana) di Dio qual è in sé"; congiunta quindi necessariamente con l'adesione della volontà che è l'amore, e il conseguente godimento o fruitio di Dio, e perciò fonte della beatitudine soprannaturale.
La cognizione della visione intuitiva beatifica si ha dalla sola rivelazione (v.), e anzitutto dalla Scrittura sacra, dell'Antico e più del Nuovo Testamento; essa è riaffermata dalla tradizione, e da prima implicitamente nella professione di fede dei simboli primitivi, confermata dai Padri, e continuata dai teologi medievali, dagli scolastici nominatamente, con sempre più sottile analisi dei dati della rivelazione. Sono famose le disquisizioni intorno all'essenza della visione beata: se essa risieda nell'intelletto (S. Tommaso) nella volontà (S. Bonaventura) o nel gaudio del bene raggiunto (Scoto) o in tutte e tre queste cose insieme (Dante, Paradiso, XXX, 40); e la controversia circa il momento della visione beatifica rinviata da alcuni a dopo il giudizio finale, ammessa da altri immediatamente all'ingresso dell'anima beata in cielo. E quest'ultima sentenza fu poi confermata dal concilio di Firenze (1431).
Bibl.: Articoli Theophanie e Vision, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, V, Tubinga 1931; H. Delacroix, Études d'histoire et de psychologie du mysticisme, Parigi 1908; T. K. Österreich, Einführung in die Religionspsychologie, Berlino 1917; Heilige und Seherinnen, in Velhagen und Klasings Almanach, ivi 1927; G. Cornoldi, La visione beatifica dell'essenza divina, Roma 1889; G. Joannes, La vie de l'au de là dans la vision béatifique, Parigi 1928. Per un più largo significato del termine, cfr. Gregorii monachi Cyprii, De theoria sancta, quae syriace interpretata dicitur "Visio divina", ed. con trad. lat. e commento a cura di I. Hausherr, Roma 1937.