virtuosamente (vertuosamente)
Avverbio che vale " in modo virtuoso ", o " con virtù " . Nella Vita Nuova occorre a qualificare l'influenza di Beatrice sull'animo di D., sul quale ella opera ‛ secondo la virtù ', e cioè secondo la ‛ perfezione ' e l'‛ atto ' che le son propri e che ella è in grado di comunicare ad altri (v. VIRTÙ; virtuoso).
L'azione di Beatrice, fin dal primo apparire, si esercita sulla vita organica e sugli ‛ spiriti ' del poeta (II 4-6) ponendosi insieme come principio di perfezione morale; in quanto capace di distruggere ogni vizio e potenziare ogni virtù (X 2).
In tal modo ella attua nel poeta le potenzialità affettivo-intellettive e morali, e si pone come fonte di beatitudine (III 1 mi salutoe molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine, e X 3 voglio dare a intendere quello che lo suo salutare in me vertuosamente operava). ‛ Operare ' (v.), in questi passi, vale " esercitare un'influenza " come conseguenza del possesso di una virtù o di un potere connaturato a chi lo possiede (lo stesso valore in XXVI 14 dico di quelle cose che vertuosamente operava in altrui, che è da confrontare col § 4 Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente, dove la considerazione è fatta " a parte obiecti ").
Altrove sono indicate le varie modalità dell'operazione che procede ‛ da virtù ': Questo sonetto si ha in tre parti... La prima si divide in tre; che ne la prima parte dico sì come virtuosamente [ella] fae gentile tutto ciò che vede, e questo è tanto a dire quanto inducere Amore in potenza là ove non è; ne la seconda dico come reduce in atto Amore ne li cuori di tutti coloro cui vede; ne la terza dico quello che poi virtuosamente adopera ne' loro cuori (Vn XXI 6).
L'azione della donna vale dunque a ‛ seminare ' Amore nei cuori che ne siano sprovvisti, che è quanto dire disporli, renderli degni, e ‛ farli gentili ', capaci cioè di accogliere Amore; vale poi ad ‛ attuare ' le potenzialità d'amore (e in ciò consiste l' ‛ accogliere amore ', appunto); infine, attraverso gli occhi e la bocca, e quindi tramite il ‛ sorriso ', conduce l'uomo alla beatitudine.
Altro è il senso del termine nel Convivio. In IV XXII 11, nella trattazione del doppio uso (contemplativo e attivo) dell'animo umano, D. precisa che l'uso pratico si è operare per noi virtuosamente, cioè onestamente, con prudenza, con temperanza, con fortezza e con giustizia, dove il riferimento è evidentemente alla conformità alle virtù cardinali, che deve caratterizzare le azioni dell'uomo. Sempre in connessione con l'operare secondo virtù il termine ricorre in I II 11, dove le dignitadi virtuosamente acquistate riguarda gli onori dovuti a chi ha acquisito dignità ‛ attraverso le operazioni virtuose ' che attuano la perfezione dell'essere.
In latino l'avverbio occorre al comparativo (virtuosius), a qualificare l'operazione che consegue come propria all'essenza e alla natura di qualcosa.
Così in Quaestio 67, dove a proposito della virtus elevandi (l'energia atta a determinare l'emersione della terra abitata) si afferma che se a esercitare tale virtus fosse la luna, siccome gli agenti più vicini operano " in modo più potente " (cum agentia propinquiora virtuosius operentur), di conseguenza la luna eserciterebbe con più vigore la sua virtù su quella parte della terra alla quale è più vicina, data l'eccentricità della sua orbita.
Più interessanti le occorrenze di Mn III dove, nell'ambito della discussione sui rapporti tra il potere del papa e quello dell'imperatore, è affrontato il problema dell'interpretazione da dare ai " duo luminaria " (sole e luna) di Gen. 1, 16.
D. afferma che non solo l'esse, ma anche la virtus e l'operatio della luna non dipendono dal sole, giacché il moto di essa trova origine nel motore proprio del cielo, e l'influenza deriva dai suoi raggi in quanto la luna è di per sé dotata di una qualche luce (IV 18 motus eius est a motore proprio, influentia sua est a propriis eius radiis: habet enim aliquam lucem ex se); dal sole la luna riceve solo un'abbondanza di luce, in virtù della quale la propria influenza risulta potenziata: Sed quantum ad melius et virtuosius operandum, recipit aliquid a sole, quia lucem habundantem: qua recepta, virtuosius operatur (§ 19). Altrettanto autonomo nell'essere, nella virtù (o autorità) e nell'operazione è l'imperatore per rapporto al papa, dal quale tuttavia riceve ut virtuosius operetur per lucem gratiae quam in caelo et in terra benedictio summi Pontificis infundit illi (§ 20).
Allo stesso modo D. argomenta alla fine del libro III: l'uomo, composto di due parti essenziali - anima e corpo - è corruttibile e incorruttibile insieme, partecipando così di due nature. A queste due nature corrispondono duo ultima (XV 6), due fini, distinti e perciò perseguibili con mezzi diversi: per phylosophica documenta si perviene infatti alla ‛ beatitudo ' huius vitae, e per documenta spiritualia - che humanam rationem transcendunt - si consegue la ‛ beatitudo ' vitae aecternae. Dopo aver così ben distinto i due ambiti - naturale e soprannaturale - nei quali si esercita l'azione dell'imperatore e quella del pontefice, D. conclude: Illa igitur reverentia Caesar utatur ad Petrum qua primogenitus filius debet uti ad patrem: ut luce paternae gratiae illustratus virtuosius orbem terrae irradiet, cui ab Illo solo praefectus est, qui est omnium spiritualium et temporalium gubernator (§ 18).
L'accordo e l'armonia tra i due poteri (indicati qui dalla reverentia e dal virtuosius e al § 17 dal quodammodo) trova in realtà il suo fondamento nell'unità del gubernator che ‛ provvede ' alla salute del genere umano, decaduto, attraverso due vie: il potere imperiale e quello della Chiesa, collaboranti all'attuazione dell'unico disegno divino.