Viridiana
(Spagna/Messico 1961, bianco e nero, 90m); regia: Luis Buñuel; produzione: Gustavo Alatriste, Pedro Portobello per Alatriste/UNINCI/Films 59; sceneggiatura: Julio Alejandro, Luis Buñuel; fotografia: José Fernández Aguayo; montaggio: Pedro del Rey; scenografia: Francisco Canet; musica: Gustavo Pittaluga.
La novizia Viridiana, prima di diventare suora di clausura, è indotta dalla madre superiora ad andare a trovare lo zio, don Jaime, che vive in un'isolata fattoria di campagna. Nella notte, mentre don Jaime in un rito feticistico indossa il busto da sposa della moglie morta e le scarpe con il tacco, Viridiana, sonnambula, porta un cesto con alcune matasse di lana, le getta nel camino, raccoglie la cenere e la deposita sul letto dello zio. Nei giorni successivi don Jaime si lega sempre di più a Viridiana e, con la mediazione della cameriera Ramona, riesce a farle indossare l'abito nuziale della moglie. Poi le chiede di sposarlo, suscitando la reazione indignata della giovane. Preda d'un desiderio incontrollabile, don Jaime fa bere un sonnifero alla nipote, la stende sul letto, la bacia e vorrebbe violarla, ma, subito pentito, si ferma in tempo. La mattina seguente lo zio dice a Viridiana di averla posseduta. Poi smentisce. Viridiana, sconvolta, se ne va, ma mentre attende l'autobus è informata del suicidio di don Jaime. La giovane rinuncia al monastero e va a vivere nella casa che ha ereditato insieme a Jorge, figlio dello zio. Qui cerca di mettere in pratica una visione cristiana e caritatevole della vita e accoglie, nutre e cerca di spingere a comportamenti conformi alla religione un gruppo di poveri derelitti della zona. Jorge intanto riorganizza e meccanizza il lavoro nei campi. Ma un giorno, mentre Viridiana e Jorge sono fuori, i mendicanti si impadroniscono della casa, organizzando dapprima un pranzo e poi un'orgia blasfema. Quando Viridiana ritorna, cercano di derubarla e di violentarla. Jorge arriva appena in tempo a salvarla; quindi l'intervento della polizia disperde i poveri e ristabilisce l'ordine. Viridiana fa visita nella sua camera a Jorge, che intrattiene una tresca sessuale con la matura Ramona, e dopo qualche esitazione accetta l'invito a unirsi ai due per una partita a carte.
"Proibito. Blasfemo, antireligioso. Crudeltà e di-sprezzo dei poveri". Così, in sintesi, uno dei membri della commissione di censura aveva definito il film di Luis Buñuel, bloccato sino alla morte di Franco, sebbene fosse stato prodotto e girato in Spagna. Viridiana scatenò uno scandalo internazionale. Palma d'oro nel 1961, il film fu attaccato con grande durezza dall'"Osservatore romano" e venne immediatamente proibito dal regime franchista. José Muñoz Fontán, direttore generale della cinematografia spagnola, fu destituito per aver ritirato il premio a Cannes. Così Buñuel, che era stato criticato dagli esuli per avere accettato di girare in Spagna, riuscì non solo a realizzare un film di grande forza immaginaria, ma anche a creare un notevole problema politico al regime del suo paese, smascherandone le pretese di liberalizzazione culturale.
Nell'orizzonte della cinematografia del regista, Viridiana costituisce una sintesi estremamente significativa tra rappresentazione critica del presente e apertura alle figure dell'immaginario e ai fantasmi dell'inconscio. L'analisi del mondo arretrato e immobile della Spagna tradizionale e delle classi dominanti è efficacemente collegata alla critica della religione e della morale cristiana, oscurantista, repressiva e mortifera. L'ignavia e l'antistoricità di don Jaime, l'inutilità delle pratiche religiose, la doppiezza e la falsità dei personaggi che si dicono cristiani si intrecciano con la rappresentazione della funzionalità operativa delle nuove classi sociali, personificate da Jorge, che hanno un atteggiamento attivo verso la vita. Buñuel giustappone, in una scena di indubbia forza, Viridiana e i mendicanti che pregano a Jorge e agli operai che lavorano con strumenti efficaci e funzionali. Ma certo il regista non vuole contrapporre un personaggio positivo ad altri personaggi negativi. Il suo sguardo critico investe radicalmente tutto l'orizzonte sociale e i personaggi descritti, mostrando insieme la vanità improduttiva e autodistruttiva del misterioso don Jaime, l'irrealizzabilità del progetto cristiano di Viridiana e la mediocrità della prospettiva pragmatica rappresentata da Jorge. Il mondo spagnolo appare come una sorta di regno della morte.
Oltre alla critica dell'arretratezza nella Spagna contemporanea, Buñuel introduce nel film una serie di fantasmi legati alle dinamiche del desiderio. In particolare la scena notturna del feticismo di don Jaime, che si intreccia con il sonnambulismo di Viridiana, ha una forza espressiva e una capacità di oggettivare le figure del profondo di grandissima intensità. La macchina da presa, caratterizzata da una grande mobilità, scopre le ambiguità nascoste e i segreti di don Jaime, vedovo dalla prima notte di nozze, insieme alle ossessioni di morte e di autorepressione di Viridiana, in un percorso visivo estremamente suggestivo. E la sequenza del pranzo e dell'orgia dei mendicanti, che ripete nella disposizione dei personaggi la struttura iconografica dell'Ultima cena di Leonardo da Vinci, con un mendicante cieco, lascivo e delatore al posto di Cristo, trova nella danza del lebbroso, travestito da sposa con veli fluttuanti, un vertice di delirio inventivo, che fa rivivere la grande stagione dei fantasmi inconsci e surreali del primo Buñuel.
Interpreti e personaggi: Silvia Pinal (Viridiana), Fernando Rey (don Jaime), Francisco Rabal (Jorge), Margarita Lozano (Ramona), Victoria Zinny (Lucía), Teresa Rabal (Rita), José Calvo (don Amalio), Luis Heredia (el Poca), Joaquín Roa (don Ezequiel), José Manuel Martin (el Cojo), Lola Gaos (Enedina), Juan García Tienda (lebbroso), Sergio Mendizábal (el Pelón).
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Sceneggiatura: L. Buñuel, Viridiana, Paris 1962; in L. Buñuel, Sette film, Torino 1974; Viridiana, Madrid 1995.